Crocifisso e “decreto interpretativo”: le due facce del “buonsenso”

Francesca Lacaita

Il ricorso del governo italiano contro la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) sull’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è stato accolto, la questione passa ora alla Grande Chambre che si pronuncerà fra non molto. Quelli che hanno criticato la Corte di Strasburgo già cantano vittoria, come se l’accoglimento del ricorso implicasse di per sé una sconfessione della sentenza di novembre. Chi l’ha sostenuta resta al momento in speranzosa attesa. Del resto, in queste ore c’è altro a cui pensare. Con il “decreto interpretativo” del governo sulla presentazione delle liste, che ha avuto la firma del Presidente della Repubblica, è stato inferto un vulnus senza precedenti all’equità delle regole del gioco e allo stesso sistema democratico. Tuttavia la questione del crocifisso e quella del “decreto interpretativo” non sono così lontane come appare: in ambedue i casi si contrappongono ad arte “forma” e “sostanza”, “regole” e “buonsenso”, con lo scopo di cristallizzare e di perpetuare, dandole per scontate, le situazioni di potere esistenti. Le prime vittime sono la democrazia e il principio di uguaglianza.

La rimozione del crocifisso dai luoghi istituzionali, come stabilita dalla sentenza CEDU, non è affatto ostile o in antitesi alle religioni, e nemmeno alla Chiesa cattolica. Semplicemente vuol dire accettare la separazione tra la sfera sociale e civile – in cui tutti, inclusa ovviamente la Chiesa cattolica, hanno diritto di agire in piena libertà, con i propri simboli, nel rispetto delle regole della convivenza -, e la sfera istituzionale dello Stato, che è tenuto alla neutralità verso simboli particolari proprio per farsi al meglio garante della legittimità e dell’uguaglianza delle varie identità e posizioni nella cosa pubblica. La laicità cioè è un principio di pluralismo a fondamento della convivenza e dei diritti di cittadinanza; nel caso specifico significa il riconoscimento e il rispetto dell’esistenza (magari anche solo potenziale, in un’ipotetica comunità composta al 100% di cattolici praticanti) e della pari dignità di non credenti o di diversamente credenti.

È proprio contro l’idea stessa di pluralismo e di uguale dignità che si sono perlopiù scagliati i detrattori della sentenza CEDU. Si sono invocate le “tradizioni”, le “radici”, la “cultura”, l’“identità nazionale”, la “volontà della maggioranza” degli italiani, come negli anni del nazionalismo trionfante, quando i diritti di cittadinanza erano declinati nei termini della “cultura” della maggioranza, a prescindere dal fatto che il maggior clamore sia provenuto dal mondo politico e mediatico, e che nessuna reazione in merito sia giunta dal mondo della scuola, dove peraltro i crocifissi sui muri sono in costante diminuzione da anni senza che nessuno ne denunci la mancanza, e dove aumentano al contrario gli alunni che scelgono di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. Oppure si è invocato il presunto valore etico “universale” del crocefisso, che “non dà fastidio a nessuno” e ha assunto nel frattempo vari significati al di là della religione in quanto tale, come l’umanesimo o la democrazia. Solo che non si capisce allora perché qualcuno si sia scandalizzato quando di recente il Consiglio comunale di Goito ha approvato un regolamento che richiede per l’iscrizione all’asilo comunale l’accettazione da parte delle famiglie dell’“ispirazione cristiana della vita”, che altro non è che una “tradizione di gestione”, e che comunque rappresenta valori dalla portata “universale”.

Soprattutto, è stato invocato il “buonsenso”. “Buonsenso” significa sostanzialmente astenersi dal mettere in discussione ciò che appare “senso comune”, o anche solo “volontà della maggioranza”, così come apoditticamente proclamata dai suoi interpreti. Chi sfida il “buonsenso”, come la famiglia Lautsi-Albertin, può essere fatto oggetto di insulti e minacce, dai media, da amministratori pubblici e da cristianissimi signori senza avere uno straccio di solidarietà da nessuno che “conta”. È concepibile chiedere di togliere il crocifisso dai luoghi istituzionali per affermare l’uguaglianza soggettiva delle posizioni individuali in materia religiosa nella sfera pubblica? Ohibò! Davanti al “buonsenso” il carattere laico della Costituzione italiana o la giurisprudenza europea sui diritti umani sono destinate a sgretolarsi come le Mura di Gerico. Il “buonsenso” produce con se stesso un mondo immobile da cui è esclusa ogni dinamicità; regole e diritti appaiono astratti e irreali a fronte di ciò che è “convenzionale” o “tradizionale” – inclusi i rapporti di forza esistenti. Non si potrà mai parlare di uguaglianza in termini di “buonsenso”.

Il “buonsenso” è stato anche invocato subito dopo l’esclusione delle liste di Polverini e Formigoni, ben prima del pasticcio del “decreto interpretativo”. È concepibile escludere dalla competizione elettorale liste di partiti o di personaggi potenti la cui unica colpa è stata l’incapacità di effettuare una presentazione secondo le procedure e le regole? Ohibò! Equivarrebbe negare ai cittadini il diritto di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi! Ovviamente non importa che vi fossero in effetti programmi e schieramenti alternativi, che non sarebbero comunque state elezioni a partito unico. Non importa che si facciano così palesi discriminazioni tra le liste presentate secondo le regole e quelle salvate per decreto. O tra quelle salvate per decreto e quelle non salvate. O tra gli elettori della lista del maggior partito politico di governo, che se la vedono servita su un piatto d’argento, e quelli delle altre liste che devono accontentarsi di quel che passa il convento, magari turandosi il naso. O i tra politici potenti, i politici meno potenti, i cittadini alle prese con la documentazione per un concorso o il pagamento della tassa sui rifiuti, e i migranti alle prese con i timbri o l’originale del permesso di soggiorno. Sono discriminazioni talmente scontate da apparire naturali. La “sostanza” è che alle elezioni deve partecipare il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo anche se si sono esclusi per colpa propria. È il buonsenso, bellezza! In realtà, per dirla con Zagrebelsky su “Repubblica”, “nelle elezioni non ci sono ‘principali’ a priori”, e se il “buonsenso” sembra suggerire il contrario, è perché un “virus” è “entrato nelle nostre coscienze: il numero, la forza del numero determina un plusvalore in tema di diritti”. A quando la vittoria per decreto?

In questo modo, con la retorica del buonsenso la destra costruisce la sua egemonia by default, e agli altri con resta che sperare che non “ecceda”. Se si tratta di affermare “radici” e “tradizioni” nella sfera istituzionale, chi meglio della destra? Gli altri possono solo arrancare. Come arranca il disegno di legge dei senatori del Pd dietro al truce progetto firmato Pdl che prevede fino a sei mesi di galera o mille euro di ammenda per chi rimuove o rifiuta di esporre il crocifisso, che diventa obbligatorio
non solo nelle scuole, ma anche negli uffici pubblici, negli ospedali, nelle stazioni e negli aeroporti. Il Pdl si limita a introdurre il crocifisso per legge, decretando che “in ogni aula scolastica, con decisione del dirigente scolastico, è affisso un crocifisso”, e prevedendo procedure in caso di contestazioni che ben richiamano il lavoro delle Commissioni Ideologiche in un tempo ormai andato. Non dice cosa ne sarà di chi staccherà il crocifisso di sua iniziativa o si farà trovare senza nel proprio ufficio, come la preside di Chiusa Sclafani che a novembre si è beccata una multa di 500 euro. Visto però il silenzio del Pd su quest’ultimo caso possiamo ben trarre le nostre conclusioni.

A opporsi al “buonsenso” non può essere ovviamente la legge o la politica, ma soltanto la follia o l’ideologia. Ne consegue il clima di conflitto permanente con il potere giudiziario, ma anche la solitudine, reale o costruita, dei potenziali oppositori. Nel caso del “decreto interpretativo” tutto si è per ragione di cose poggiato sulle fragili spalle del Capo dello Stato. Nel caso dell’esposizione del crocifisso, in cui il “buonsenso” è bipartisan (così come in altre questioni elettoralmente non redditizie, i diritti dei migranti o dei rom in primo luogo) la politica ha rinunciato da tempo a propugnare i principi di laicità e di uguaglianza, lasciando la loro difesa unicamente alla magistratura, salvo poi lamentarne le “ingerenze” della politica. Tutto resta ora nelle mani della Grande Chambre. Il Ministro degli Esteri Frattini si è attivato presso il Consiglio di Europa per raccogliere il più ampio consenso possibile intorno alla posizione italiana; i giornali del centrodestra già parlano di “strada spianata”. C’è chiaramente una pressione enorme sulla Corte. Che cosa accadrà qualora la sentenza CEDU venga riconfermata? Oppure, qualora venga rovesciata, a seguito di un ipotetico riconoscimento delle competenze degli Stati in materia di simboli religiosi? O un conflitto acutissimo con le istituzioni europee o un regresso a rotta di collo in materia di laicità, uguaglianza e diritti civili. Sei mesi di galera a chi rimuove il crocifisso e accettazione di un’ispirazione cristiana della vita per l’ammissione nella scuola pubblica…

In ogni caso, la regressione in materia di Europa è già vistosa e preoccupante. Non solo per il ritorno del nazionalismo nelle politiche, nei discorsi e negli abiti mentali di gran parte del mondo politico e mediatico, come appunto il privilegiare una specifica identità culturale nell’ambito dei diritti di cittadinanza, proprio quando la società si via facendo sempre più plurale, e quando, anzi, la sfida odierna è creare in Europa una vera democrazia sovrannazionale e transnazionale. Questo è solo un aspetto della pochezza, dell’arretratezza, dell’ansia di controllo e di esclusione che caratterizzano le classi dirigenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Tuttavia la questione del crocifisso mostra anche il desiderio di svuotare lo spazio pubblico europeo per riempirlo con quanto lo stato nazionale riesce ad affermare in base ai suoi rapporti di forza. All’Europarlamento, che pure non aveva competenza alcuna sulla sentenza CEDU, un gruppo bipartisan di eurodeputati italiani aveva presentato una mozione in difesa del “pieno diritto di tutti gli Stati membri a esporre anche simboli religiosi all’interno dei luoghi pubblici o delle sedi istituzionali”. Anche in questo caso è stato pudicamente evitato di parlare di eventuali pene per eventuali dissidenti (tanto, è tutto “buonsenso”…). Ma è certamente significativo l’auspicio di separare l’individuo dall’Europa, di ricacciare i suoi diritti individuali sotto la sovranità degli Stati nazionali (o dei livelli subnazionali).

Che fare ora? Per quanto riguarda il “decreto interpretativo” si è arrivati veramente a un punto di svolta. Occorre però rendersi chiaramente conto che la Seconda Repubblica è stata punteggiata durante tutta la sua esistenza da vari tentativi, alcuni riusciti, altri no, e molto spesso bipartisan, di forzare le regole e ridurre l’uguaglianza fra i cittadini e fra le parti per favorire determinati assetti elettorali e politici. E occorre rendersi ancora conto che anche il crocifisso e la laicità sono una questione di regole di convivenza e di uguaglianza tra le persone e i cittadini. Noi abbiamo lanciato un appello in sostegno della sentenza CEDU di novembre, che ha sinora raccolto oltre 500 firme. Andremo avanti così.

(9 marzo 2010)

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