Crocifisso: Il clericalismo bipartisan prepara un ddl “ad Ecclesiam”
Michele Martelli
In attesa della sentenza definitiva della Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo in merito all’esposizione del crocifisso nelle scuole italiane, ragioniamo un po’ di Stato e laicità. Quando la Corte, il 3 novembre 2009, accolse il ricorso della signora «Leitsu contro l’Italia», sanzionando la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche, ci fu un coro unamine di condanna, a destra e a sinistra. Della destra sappiamo, né più ci meravigliamo. Sorprendente fu solo Gianfranco Fini, laico a fasi alterne come il verde dei semafori. Che alla notizia della sentenza, disse che non bisognava salutarla come «giusta affermazione della laicità delle istituzioni»; altrimenti sarebbe «laicismo». Come dire: l’istituzione-scuola pubblica è laica, quando è “presenziata”, occupata dal crocifisso, che è simbolo religioso di parte; cioè è laica quando laica non è. Se questo non è clericalismo!
Di tale siffatta (il)logica è intessuto il ricorso presentato alla Corte Europea dal governo italiano. Vediamone la sintesi, a cura del Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio. Dopo aver genericamente accennato ai (1) dubbi governativi sulla «corretta interpretazione ed applicazione» della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il ricorso si richiama (2) al principio «della regolamentazione nazionale sulle questioni religiose», affermando infine che (3) il governo italiano interpreta «il concetto di neutralità confessionale dello Stato» non nel senso dell’«adozione di un atteggiamento agnostico o ateo», bensì in quello di garantire gli sforzi per «conciliare al meglio le differenze religiose».
Tre punti di cui l’uno contraddice l’altro. Se la Convenzione Europea, con l’art. 9, sulla «libertà di pensiero, di coscienza e religione», e l’art. 2, protocollo 1, sul «diritto all’istruzione», assicura a tutti i cittadini uguali libertà e diritti, perché mai nella scuola pubblica, che è di tutti, dovrebbero sovrastare simboli religiosi che sono di parte? Dunque, la sentenza della Corte è giuridicamente e politicamente corretta. E in secondo luogo, nell’ipotesi che si esponga solo il crocifisso (e non altri diversi simboli religiosi) si conciliano, o si acuiscono le differenze religiose? Infine, se il conciliazionismo religioso del governo non fosse finto, una maschera di Pulcinella, ma sincero, e fosse coerentemente applicato, la scuola pubblica non sarebbe presto trasformata in uno strano e bizzarro bazar di segni e simboli religiosi? E perché poi escludere, azzerare a priori le eventuali richieste degli agnostici e degli atei? O dei club di caccia e pesca, della Juve e del Milan? O della polisportiva del mio paesino?
La laicità dello Stato, al contrario di quanto pensa, si fa per dire, il governo, consiste nella sua rigorosa estraneità a qualsiasi religione o irreligione, scelta, ideologia e fede di parte. Non per discriminarle, ma per garantirne l’uguale libertà di espressione. Ma fuori dei luoghi istituzionali.
Tre punti, tre sofismi con cui il governo cerca di mascherare la sua scelta clericale. Il suo pontificale disegno di vaticanizzare l’Italia. Più di quanto già lo sia. Di trasformarla definitivamente in Vaticalia, come dice qualche blogger.
Ma la sinistra, che fa la sinistra? Le piccole formazioni (neo)marxiste sono da sempre estranee al tema della laicità. Un’eredità che viene da lontano. Dal Pci di Togliatti, che firmò l’art. 7 della Costituzione chiamando sprezzantemente «ultimi mohicani» gli azionisti laici che vi si opponevano. E il Pd? Non solo si è pronunciato, per bocca del neosegretario Bersani e di altri esponenti piddini contro la sentenza della Corte, ma ha messo a punto, in concorrenza col governo, su iniziativa dei senatori Chiti e Ceccanti, il ddl n. 1947, ben forte di 11 firme. Distinto anch’esso in tre punti: 1) affissione del crocifisso in ogni aula scolastica; 2) in caso di contestazione, facoltà di decidere «l’esposizione di ulteriori simboli religiosi»; 3) altrimenti, ricerca di soluzioni equilibrate e mediane che trovino «il più ampio consenso possibile».
Insomma, o una scuola confessionale monoreligiosa, catto-cristianizzata, papalina, o una scuola multireligiosa (una torta appetitosa, affettata e divorata da vescovi, rabbini e imam in litigiosa famelica competition), ma che discriminerebbe d’autorità i non credenti, o il caos istituzionalizzato (esito inevitabile di un probabile impossibile accordo).
La laicità del Pd? Un clericalismo che si vergogna. Ma non tanto, se riflettiamo sulla straordinaria affinità tra il ricorso governativo alla Corte di Strasburgo e il progettato ddl del Pd. Tutte le ovvie differenze politiche esistenti tra Pd e Pdl, maggioranza e opposizione, in tema di crocifisso diventano insignificanti, vicine allo zero. Anche se il governo, in dispregio delle erculee fatiche piddine di Chiti e Ceccanti, sta preparando da solo, con clericale baldanzosità, un proprio, più meritevole e più incostituzionalmente efficace ddl ad Ecclesiam.
Pd e Pdl? Di fronte alla Chiesa/Stato vaticano, due partiti di veri signori.
O meglio, di veri “Signorsì”.
(11 marzo 2010)
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