Crocifisso, Noi Siamo Chiesa: Da Strasburgo nessuna marcia indietro

Vittorio Bellavite

, portavoce di Noi Siamo Chiesa

La questione del crocifisso è del tutto aperta davanti alla Corte di Strasburgo. Tanti sono i credenti che, in nome del Vangelo, sono in radicale disaccordo con quanti usano il crocifisso per campagne fondate su una vecchia idea di cristianità oppure per propaganda politica.

Il funzionamento della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, di fronte alla enorme quantità di ricorsi (50.000 all’anno), prevede dei filtri, il primo per l’ammissione al primo grado di giudizio, il secondo per poter accedere all’appello presso la Grande Chambre, composta di 17 membri. Il lasciapassare per l’appello viene deciso da un collegio di cinque giudici che devono solo valutare se esistono “gravi problemi di interpretazione o di applicazione” o se “ci si trova di fronte a “un’importante questione di carattere generale”. Ciò premesso, era quindi del tutto prevedibile il via libera al secondo grado, su ricorso del governo italiano, nei confronti della sentenza sul crocifisso del 3 novembre, stante l’importanza del caso e il clamore suscitato.

La questione è quindi completamente aperta e si attende nei prossimi mesi la sentenza definitiva. E’ quindi curioso che si sostenga, come fa il ministro degli Esteri Frattini “che sono stati accolti i numerosi e articolati motivi di appello presentati dall’Italia”. Ugualmente mi sembrano fuori luogo le tante voci di esultanza di diversa provenienza di cui si ha notizia. La “Padania” di oggi, poi, apre in prima pagina a caratteri cubitali con “Sì ai crocifissi, retromarcia UE” aggiungendo “Il carroccio per primo aveva dato l’allarme, in pericolo la libertà religiosa e le nostre radici cristiane”. Una tale arroganza appare ridicola da parte di un partito che da settimane usa il crocifisso per la propria propaganda, mentre contemporaneamente non ha mai abbandonato l’adorazione del dio Po.

Ugualmente la dichiarazione del card. Bagnasco sembra dare per acquisita una marcia indietro della Corte, che, allo stato dei fatti, mi sembra avere scarso fondamento nella realtà.

Su questo problema in Europa ci sono opinioni molto diversificate, tutt’altro che a senso unico, e comunque, fuori dal nostro paese, l’interesse è stato fino ad ora modesto. In Italia sembra che esista un consenso ampio nella critica alla sentenza a causa dell’appoggio bipartisan al ricorso del governo alla Grande Chambre. Sicuramente sono fuori da questo coro emotivo e di tipo nazionalpopolare tanti credenti, che hanno poca voce o nessuna voce nei media e che ritengono sostanzialmente corretta la sentenza, per niente ostile ai valori della religione o della spiritualità e non espressione di vecchio laicismo.

Mi piace esprimere questo collettivo punto di vista con le parole della Presidente delle Teologhe italiane Marinella Perroni (in un’intervista a Marco Politi su Il Fatto quotidiano del 6 novembre): ”Sono discussioni che hanno poco a che fare con Gesù Cristo e con il modo di vivere la fede”, “il richiamo alla croce rimanda ad altre questioni: il richiamo all’identità, la difesa dell’italianità e, più nel profondo, la paura dell’immigrazione e dell’Islam”. “È terribile che la croce possa servire a fare violenza, anche solo verbale. La croce è un testo, una narrazione della morte e resurrezione di Cristo, che invita ad un comportamento da tenere. Guai se diventa un pretesto. Perché non si riesce a fare una riflessione ad alto livello sulla sentenza della Corte di Strasburgo?”. “Il fatto è che l’Italia è la prima e ultima provincia del Vaticano. E dunque assume un valore esemplare”. “Vorrei che la Chiesa aprisse una riflessione con tutte le anime della cattolicità e del cristianesimo del nostro Paese su ciò che significa essere testimoni della fede oggi in Italia”.

(3 marzo 2010)

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