Da Catania a Verona: in piazza contro la violenza di genere e per i diritti

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di Maria Concetta Tringali

Succedeva nel napoletano all’inizio del mese, si ripeteva a Catania nella notte tra il 16 e il 17 marzo: una donna e il branco. La scena è delle peggiori, tre uomini che la immobilizzano e la stuprano, a turno.

La ragazza di Portici parla chiaro: “Erano attimi in cui la mente sembrava come incapace di comprendere, di totale perdizione dell’essere”. Torniamo con la memoria al monologo di . Per lei la violenza e le sevizie avvenivano dentro a un camioncino, era la sera del 9 marzo del 1973. Per la ventiquattrenne campana il luogo dell’orrore è un vano ascensore, di quelli della Circumvesuviana, a San Giorgio a Cremano. A Catania, invece, siamo in pieno centro. In Piazza Europa, in una zona dove la città si affaccia sul mare della scogliera. Tre giovani italiani abusano di una diciannovenne, lei è statunitense. La invitano con l’inganno e la tengono segregata dentro a un’auto dove la stuprano e la filmano. Per vantarsi, per sfregiarla, ancora e ancora. Lei racconta di aver provato a chiamare aiuto, un amico dapprima e poi il 112. Senza riceverne però, da nessuno.

Due dei tre aggressori napoletani sono di nuovo liberi, scarcerati per decisione del tribunale del riesame a qualche settimana dal fatto. I catanesi sono invece ancora sotto misura cautelare, al momento. La loro vittima è rientrata negli Stati Uniti, si trovava in Sicilia come ragazza alla pari da alcuni mesi.

E poi c’è la città che si è radunata nel luogo della violenza sessuale. Una moltitudine di gente, le associazioni, gli amministratori locali, la CGIL, i centri antiviolenza.

Lo slogan della manifestazione ripesca la retorica della donna che non si tocca nemmeno con un fiore, ma il messaggio è forte: Io non ci sto, “Catania si mobilita per dire ‘stop alla brutalità’. Ma anche per promuovere la cultura del rispetto e la dignità della donna”.

Bisogna dirlo, mentre una piazza si schiera contro gli abusi e la violenza, un’altra è luogo di una nuova resistenza. A Verona la marea femminista cerca di opporsi al tredicesimo Congresso mondiale delle famiglie che da 29 al 31 ha portato attorno a un tavolo a discutere di aborto, di divorzio, di omosessualità, le frange più radicalizzate di cattolici e di ultra cattolici, le destre più estreme. Diritti negati, nel nome di una famiglia definita “tradizionale”, bollata come unica possibile, imposta come unica lecita. Tra i relatori il ministro Salvini, Giorgia Meloni, il ministro Fontana e il governatore della regione Veneto, Luca Zaia, tutti dichiaratamente nel loro ruolo istituzionale. Tra i gadgets distribuiti in apertura di quei lavori un pupazzo, un feto di plastica gommosa, a ricordare che l’attacco frontale all’autodeterminazione passa dalla 194 ed è obiettivo ultimo di questo congresso e forse non solo di questo.

Che le donne siano nel mirino è chiaro, e non è più soltanto un’aggressione fisica. Che in molti abbiano deciso di dire che non ci stanno è un altro dato di fatto e come tale va registrato.

Non basta, però. Non risolverà. Non se rimane un momento isolato, almeno. Di questo avviso è Loredana Mazza l’avvocata catanese che molti anni fa ha fondato e oggi presiede il Centro Antiviolenza Galatea. L’associazione di volontariato a Catania si occupa di combattere, dalla parte delle donne maltrattate, la violenza domestica e di genere. Ha preannunciato che il Centro si costituirà parte civile nel processo a carico dei responsabili dello stupro della ragazza americana, ha raccontato che in piazza è andata per ricordare a tutti che le passerelle non sono sufficienti, che incontrarsi va bene se significa abbracciare la vittima ma che bisogna pretendere di più. Da ognuno di noi e da ognuna di noi, intanto, e poi dalla politica.

C’erano molti sindaci al raduno in Piazza Europa nella città etnea. C’era tra gli altri Marzo Nunzio Rubino, il primo cittadino di un comune pedemontano (Sant’Agata Li Battiati) che sta per dare avvio ai lavori di ammodernamento e riqualificazione della biblioteca del piccolo centro. Ha reperito con la sua amministrazione fondi europei per circa un milione di euro e ha assicurato che li spenderà nel rispetto e nella promozione della parità. Tra tutti poi c’è un progetto pretenzioso che attende di essere realizzato. Riservare un capitolo di quelle somme affinché nasca una sezione interamente dedicata ai libri delle donne. Dalle favole, alla letteratura, alla saggistica, mettere a disposizione di tutte e di tutti il sapere femminista è la maniera per provare davvero a invertire la rotta. Perché la violenza è un fatto che affonda radici nella nostra cultura ed è da quella che si deve ripartire.

Nel frattempo però ci sono anche i giudici della Corte d’Appello di Messina che annullano il risarcimento riconosciuto agli orfani di Marianna Manduca dal tribunale in primo grado. Lei era una trentaduenne, oggi è un’altra vittima di femminicidio che aveva denunciato il marito violento per 12 volte, prima di finire ammazzata. Per il collegio messinese niente e nessuno le avrebbe potuto evitare la morte, non ci sono responsabilità del sistema giustizia dunque. Bisognerà forse attendere la Cassazione per sapere se denunciare ormai non serva davvero più!

(3 aprile 2019)






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