Da Eboli al Litorale Domitio-Flegreo: il tour campano di “Stop Biocidio”

Emanuela Marmo

Raniero Madonna è un ingegnere ambientale e attivista di Stop biocidio. Mi ha condotto in giro per la Campania chiedendomi di portare all’attenzione di MicroMega le ferite che la nostra regione conta sulla propria pelle e che da decenni motivano l’azione spontanea, eppure sempre più coordinata, di attivisti, collettivi e movimenti, fino a giungere all’avventura elettorale che sotto la sigla di Terra racchiude le voci rappresentative di queste battaglie che non promuovono risoluzioni circoscritte, bensì una visione globale e integrata. La conversione ecologica della produzione e del governo territoriale, secondo gli attivisti di Stop biocidio, non è un mero atto di “ripulizia”, deve costituire la parte fondante di un modello anche economico, foriero di ricadute virtuose sul lavoro e sulla giustizia sociale.

Il nostro cammino inizia ad Eboli: Come in un viaggio al principio del tempo, Cristo si è fermato a Eboli racconta la scoperta di una diversa civiltà. È quella dei contadini del Mezzogiorno: fuori della Storia e della Ragione progressiva, antichissima sapienza e paziente dolore, scrive Levi nella prefazione del suo libro.

Da Eboli a Battipaglia attraversiamo punti nauseabondi: in raggio di meno 3 km ci sono circa venti impianti di stoccaggio: «Questa storia – spiega Antonio Pappalardo, anche lui attivista di Stop biocidio residente di zona – inizia quando Bassolino era a capo della regione e fu autorizzata l’installazione di due discariche provvisorie che hanno finito coll’assorbire più di quanto potessero. Le discariche di Eboli e di Battipaglia non sono mai state bonificate. Nei giorni di pioggia il percolato scende a valle. Ci hanno interrato di tutto: si narra che vi sia stato seppellito un rimorchio».

La lotta al consumo di suolo, in favore della quale attivisti come Raniero e Antonio sensibilizzano le autorità e noi tutti, si fonda su un dato che non possiamo ignorare più: il suolo contiene tonnellate di CO2, in quantità sei volte superiore a quella che l’atmosfera ha accumulato dall’età preindustriale ad oggi. Ciò dipende da come la respirazione e l’ossidazione riescono ad equilibrare la cattura di sostanza organica e la decomposizione. Come è noto, il recupero della fertilità mitiga i fenomeni alluvionali, ma non solo. «Se il suolo viene gestito nei modi opportuni, è possibile rimuovere dall’atmosfera una grande quantità di anidride carbonica: terra, aria, acqua, fuoco… I famosi quattro elementi sono interdipendenti non solo nei miti e nelle favole, ma nella realtà concreta delle cose» dice Raniero, sorridendo. In effetti, la Fao ha stimato che una gestione sostenibile dei suoli potrebbe aumentare la produzione di cibo fino al 58%: «Porsi i nostri obiettivi come prioritari non significa avere un’idea romantica della natura: significa perseguire un obiettivo sociale e produttivo che collabora, e prospera, nell’ecosistema terrestre».

Il viaggio prosegue ad Avellino, dove conosco Michele Solazzo, un attivista contro l’eolico selvaggio.

Gli impianti eolici, che hanno il pregio di sfruttare una fonte di energia rinnovabile, possono destabilizzare un intero habitat, se non sono asserviti alla guida di un piano energetico. Michele precisa che «al momento mancano parametri uniformi per stabilire limiti di istallazione e i MW massimi per zona. Questo vuoto normativo fa sì che ci si affidi alla propria discrezione o alla mera previsione di vantaggio economico. E così, nell’avellinese, le pale eoliche si sono sviluppate come erbe infestanti, provocando danni acustico elettromagnetici, oltre che un’alterazione importante dell’effetto luci-ombre: le torri sono alte 150 metri e le pale hanno un diametro di 117 metri». Nonostante la Regione Campania, già quattro anni fa, abbia dichiarato saturo il territorio dell’Alta Iripinia, si continuano ad installare campi eolici, ad esempio quello di Terna da 380 KW, sebbene nelle vicinanze ce ne sia uno da 150 KW: «Noi, invece, sosteniamo il principio dell’autonomia energetica e alimentare dei cittadini – conclude Michele – In questo modo, ciascuno è responsabilizzato nell’uso delle risorse, ma anche liberato tanto dal ricatto camorristico quanto dalle logiche del profitto, che non dovrebbero insistere sui beni e i servizi essenziali».

Da Avellino ci spostiamo a Benevento, per parlare dello stato di inquinamento delle acque fluviali e in particolare del Calore Irpino. L’inquinamento è dato da solidi sospesi, alluminio, piombo e – ben oltre i limiti previsti dalla normativa vigente – anche da concentrazioni di azoto ammoniacale, azoto nitrico e dal batterio E-coli, indicatore primario di contaminazione fecale. Un parte rilevante di responsabilità è stata attribuita alla mala gestione di 12 depuratori, amministrati dalla GE.SE.SA. spa e oggi posti sotto sequestro, con conseguente indagini pendenti su gestori, responsabili comunali e laboratori di analisi.

Dopo circa un’ora e un quarto di viaggio, raggiungiamo la quarta meta del tour e ci troviamo in località Lo Uttaro, che cela i resti archeologici dell’antica Calatia, ormai caduti nel degrado in quanto confinanti con un’area di cui non ci si può dimenticare: la discarica Lo Uttaro fu aperta nel 2006 nella cava Mastopietro, per effetto di un protocollo d’intesa firmato tra gli altri dall’allora Commissario Straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, Guido Bertolaso.

Ricordo benissimo i fatti perché le anomalie del protocollo furono subito denunciate. I cittadini si opposero per tre giorni, pertanto furono sgomberati da trecento uomini delle forze armate e l’area fu militarizzata. Non era anomalo solo il protocollo di intesa, c’erano anche diverse deficienze tecnico-strutturali, ad esempio mancava un impianto di recupero del percolato. Michele Fiorillo illustra la vicenda e conclude: «Lo Uttaro non è mai stato bonificato del tutto. Fu smaltita solo la parte superficiale, il cosiddetto panettone, mentre non è stata trattata quella sottostante, che ha continuato ad inquinare. Nel 2015 i valori dell’arsenico presenti in prossimità della cava superavano ancora la soglia prevista per legge e nella falda si registrò la presenza di alifatici clorurati. Oggi continuano ad essere ritrovati rifiuti di ogni tipo, per lo più derivanti da attività edili, lasciati direttamente sul terreno. Le attività economiche che si erano sviluppate da queste parti sono cessate. Molti edifici sono stati abbandonati e sono diventati simboli di sprechi, oltre che di incuria, ad esempio il macello, costato più di sei milioni di euro e oggi scenario di scorribande e vandalismo».

Michele ci lascia poi a Orta di Latella, dove mi accoglie Vincenzo Tosti, attivista della rete Cittadinanza e comunità ed ex consigliere comunale.

Enzo mi porta in un luogo che il pentito Carmine Schiavone chiamava “la pattumiera d’Europa”. Ci troviamo, cioè, presso quello che resta dell’Eurocompost, un’azienda cos
truita con i fondi europei e che avrebbe dovuto produrre compost azotato biologico. Le ispezioni però dimostrarono che il compost era stato trattato con materiale altamente inquinante, anche fanghi tossici. Dopo circa dieci anni di enormi danni ambientali, l’impianto fu chiuso. Ancora oggi la cittadinanza protesta e si ribella per la mancata bonifica dell’area. La struttura è stata depredata di macchinari, arredo, porte, servizi igienici, acciaio, persino cavi elettrici. Dà rifugio a tossicodipendenti e microcriminali. È un cimitero di auto rubate. Soprattutto, continua ad essere meta di rifiuti illeciti. Tra i roghi tossici che hanno appestato il luogo, Enzo ricorda quello del 2013 che fu di tale impatto da rendere necessarie le segnalazioni dai medici dell’ospedale. Neanche quell’episodio bastò a fermare il disastro: l’ultima denuncia di Enzo Tosti risale al 2017. La convocazione da parte dei magistrati è pervenuta solo due anni dopo: «E qualcuno dice pure che la Terra dei Fuochi è un’invenzione mediatica escogitata dagli attivisti» esclama con rammarico.

Ed è per questo che Raniero decide di portarmi a Caivano, altro cuore sofferente della Terra dei fuochi. Domenico Laurenza ci aspetta nelle vicinanze di un impianto. Si tratta di uno Stir, ovvero di uno stabilimento di tritovagliatura ed imballaggio rifiuti. Negli impianti di questo tipo vengono raccolti i rifiuti solidi urbani che devono essere trasformati in combustibile. Da qui, cioè, escono le ecoballe, normalmente destinate ai termovalorizzatori.

«A Caivano sono stoccate 700 mila tonnellate di ecoballe – dice Domenico. La regione vuole smaltirle, ma ciò comporterà la produzione di nuove ecoballe, del cui destino non si ha certezza: sebbene le autorità dichiarino che saranno prese dai cementifici, una parte di questi non accetteranno.

Procediamo verso le campagne, perché Domenico ci suggerisce di toccare le frazioni di Casolla e Pascarola e di attraversare il tratto che va da Nola a Villa Literno: «Queste zone sono interessate da sversamenti illegali di rifiuti che vanno dai fanghi termonucleari agli scarti aziendali, rifiuti che arrivano dal nord Europa e nord Italia. È qui che sono allestiti i letti di combustione che danno origine ai fuochi tossici».

Mentre guardo dal finestrino, Domenico mi fornisce ulteriori informazioni: «La zona di Caivano è colpita da una delle incidenze di tumori più alte della Campania. Qui sono diffusi tumori e patologie che normalmente si sviluppano in aree a inquinamento nucleare».

«Che il problema non sia risolto – aggiunge Raniero – lo dimostrano i controlli che sono stati eseguiti recentemente e che hanno coinvolto svariati comuni, Casamarciano, Nola, Saviano, Palma Campania, Capua e Santa Maria Capua Vetere: sono state sequestrate sette aziende; sigilli per quasi 3 chilometri quadrati».


SOSTIENI MICROMEGA

L’informazione e gli approfondimenti di MicroMega sono possibili solo grazie all’aiuto dei nostri lettori. Se vuoi sostenere il nostro lavoro, puoi:
abbonarti alla rivista cartacea

– acquistarla in versione digitale:
| iPad

Quando risaliamo in auto, Raniero riprende a raccontare: «C’è un reticolo di canali artificiali che unisce Napoli, Caserta, Avellino e Benevento: i Regi Lagni. È un’opera idraulica del periodo borbonico. Modernissima. Servì a sanificare il retroterra napoletano, a bonificare paludi e zone malariche per metterle a coltura. I Regi Lagni abbracciano 99 comuni. Fino agli anni ’70 ci lavoravano la canapa. Si faceva il bagno.

Al canale centrale, che è lungo 57 chilometri, ancora oggi arrivano i canali secondari che prendono le acque piovane e drenate dai terreni e le portano in mare».

Le acque drenate dai terreni che raggiungono il mare…

I Regi Lagni sono una delle aree eccellenti, ormai inquinate, del Litorale Domitio-Flegreo ed Agro Aversano. È dal 1998 che questa parte di territorio campano, il 12% di tutta la regione, ovvero 180 mila ettari e 77 comuni, è inclusa nei siti di interesse nazionale da sottoporre a operazioni di bonifica. Rientrano in questo stesso quadro Napoli Orientale, Bagnoli Coroglio, Aree del Litorale Vesuviano e il Bacino Idrografico del Fiume Sarno, ma le ricerche e gli studi effettuati indicano che la bonifica del Litorale Domitio-Flegreo ed Agro Aversano è più urgente.

Quindi sì. La gita finisce andando a mare: Qui ritrovo la misura delle cose […] le lotte e i contrasti qui sono cose vere […] il pane che manca è un vero pane, la casa che manca è una vera casa, il dolore che nessuno intende un vero dolore. La tensione interna di questo mondo è la ragione della sua verità: in esso storia e mitologia, attualità e eternità sono coincidenti scrive Carlo Levi in Cristo si è fermato ad Eboli.

Con la guida di Raniero Madonna, io mi sono fermata sul Litorale Domitio-Flegreo.

(15 settembre 2020)





MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.