Da oggi in edicola LA BIBLIOTECA DI MICROMEGA: un volume speciale con i classici imprescindibili per il cittadino egualitario e libertario
Montaigne
LA BIBLIOTECA DI MICROMEGA
i classici imprescindibili per il cittadino egualitario e libertario
un volume speciale a soli 10 euro!
Paolo Flores d’Arcais presenta ‘L’uomo in rivolta’ di Albert Camus e il giovane Marx critico di Hegel, Remo Bodei l’‘Etica’ di Baruch Spinoza, Boualem Sansal i ‘Saggi’, Ascanio Celestini ‘Vita di Galileo’ di Bertolt Brecht, Telmo Pievani ‘Il caso e la necessità’ di Jacques Monod e ‘L’origine delle specie’ di Charles R. Darwin, Simona Argentieri ‘Analisi terminabile e interminabile’ di Sigmund Freud, Pierfranco Pellizzetti ‘Misticismo e logica’ di Bertrand Russell e ‘La distinzione’ di Pierre Bourdieu, Giulio Giorello ‘Paradiso perduto’ di John Milton, Giorgio Cesarale ‘Il contratto sociale’ di Jean-Jacques Rousseau, Adriano Prosperi il ‘Testamento’ di Jean Meslier, Axel Honneth ‘Democrazia e educazione’ di John Dewey, Tomaso Montanari il Discorso sulla Costituzione di Piero Calamandrei, Moni Ovadia ‘Casa di bambola’ di Henrik Ibsen, ed Erri De Luca ‘Rivoluzione’ di Jack London.
In un periodo in cui troppo spesso la sinistra risulta estinta, o in gravissima crisi, tornare ai classici – selezionati da grandi firme contemporanee seguendo la stella polare di una necessaria sinistra illuminista e libertaria – può forse essere l’unica strada per ricostruire un pensiero (e si spera, prima o poi, anche una prassi) di giustizia e libertà.
Sartre lo considerava un filosofo dilettante. Eppure la capacità di cogliere con acume le implicazioni e le contraddizioni di un ragionamento, il dono della lucidità e della coerenza rispetto alle premesse, l’originalità nel cogliere nessi tra idee e/o eventi storici lontani, la capacità di smascherare le ipostasi che prendono il posto dei soggetti reali e molteplici, fanno di Camus un filosofo a pieno titolo. Anzi uno dei grandi filosofi del XX secolo.
Il tema che sta al centro della Vita di Galileo di Brecht è il sapere. Una questione che sta all’incrocio tra Chiesa, scienza e mondo contadino: la prima ha posto la terra al centro dell’universo promettendo agli uomini che sono sotto gli occhi di Dio che le loro sofferenze non sono insensate e che saranno premiati per la loro fede; la seconda ha scardinato questa prospettiva svelando loro che “vivono su un frammento di roccia che rotola ininterrottamente attraverso lo spazio vuoto e gira intorno a un astro, uno fra tanti, e neppure molto importante”; e il terzo? Prigioniero della Chiesa come Galileo, quel mondo rischia di andare in pezzi a causa della scienza. Una questione che nel testo di Brecht viene solo accennata, e che forse meriterebbe un’opera a parte, raccontata dal punto di vista di Fulgenzio.
Tra i fondatori della biologia molecolare, premio Nobel per la medicina, intellettuale militante, scrittore, amante dell’arte: Jacques Monod era un uomo di cultura a tutto tondo, che avvertiva profondamente il dovere di prendere posizione a favore dei diritti umani, contro ogni integralismo religioso e contro tutte le ideologie totalitarie. A sessant’anni mise in gioco tutta la sua cultura filosofica e la sua militanza politica in un capolavoro di meno di duecento pagine: Il caso e la necessità, che uscì in Francia e poi in tutto il mondo nel 1970. Bestseller per decenni, il libro coniuga scienza e filosofia presentando una nuova ‘filosofia naturale’ radicalmente anti-antropocentrica in cui la presenza umana nell’universo diventa del tutto marginale, frutto di una lotteria fortunata, senza alcun piano preordinato.
Poeta, saggista, diplomatico, teologo… la figura di John Milton è una tra le più ricche e interessanti del Seicento inglese. Nel capolavoro che qui presentiamo racconta della caduta di Adamo ed Eva dal Giardino dell’Eden, di quella disubbidienza originale che ha una straordinaria conseguenza: la scoperta della libertà. Una scoperta che, di fatto, rappresenta l’atto di nascita dell’essere umano. Senza quel ‘peccato’ infatti non saremmo soggetti capaci di compiere scelte libere ma meri automi.
Senza Rousseau sarebbe praticamente impossibile pensare il nostro mondo storico e politico. A lui si devono infatti categorie da cui non possiamo prescindere, come quelle di ‘sovranità popolare’, ‘alienazione’, ‘volontà generale’. E nessun costituente avrebbe potuto immaginare di dichiarare in apertura di una Carta costituzionale che la ‘sovranità appartiene al popolo’, se la lezione rousseauiana non fosse divenuta parte integrante della cultura democratica più avanzata.
Un Testamento come quello vergato con la penna d’oca alla metà del Settecento da Jean Meslier poteva nascere solo su suolo francese. Mille pagine che hanno l’andamento dell’omelia anche se tutto sono fuorché un testo devoto, in cui il curato di Etrépigny – alimentatosi di una cultura dominata dal pensiero scettico e libertino, dai Saggi di Montaigne e dagli scritti di Naudé, di Descartes e di Fénelon – teorizza che la religione sia un complotto di potenti per sfruttare e tenere asserviti i popoli, invitando al rifiuto della proprietà privata. Niente del genere sarebbe mai potuto apparire nel nostro paese.
In tempi in cui si giunge a cancellare dagli esami di maturità il tema di storia – considerato evidentemente inutile e obsoleto – rileggere questo classico della pedagogia diventa urgente. In questo testo il filosofo statunitense si interroga circa il fine principale che l’educazione deve perseguire nelle società democratiche e la risposta è chiara: formare i futuri cittadini. Un obiettivo che può essere garantito solo attraverso un sistema di asili, scuole e università pubbliche. E in cui si torni a studiare la storia.
Il 24 novembre 1859 viene pubblicato un libro che, relativizzando radicalmente il posto dell’uomo nella natura, cambierà il corso della storia. È L’origine delle specie di Charles Darwin, in cui per la prima volta la storia delle specie viene descritta come un processo naturale che non ha più bisogno di cause finali né di creazioni speciali. Cinquecento pagine rivoluzionarie che scatenano polemiche e scandali. L’opposizione religiosa di allora non si concentra soltanto sulla minaccia al valore di verità letterale delle Sacre Scritture, ma ancor più sul carattere radicalmente anti-finalistico della spiegazione darwiniana e sul suo naturalismo integrale. Non molto diversamente da quanto accade oggi.
La serrata critica che in diversi scritti giovanili Marx muove a Hegel – mostrando che la sua filosofia è in realtà teologia – può rappresentare un punto di partenza per una filosofia rigorosamente materialistica e per la teoria di un’auspicabile sinistra dell’emancipazione umana radicale. Ma anche per sottoporre ad analoghe critiche il Marx maturo, che cade in molte delle trappole filosofiche che egli stesso aveva smascherato nel maestro.
“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”. Con queste celebri parole, pronunciate più di sessant’anni fa, Piero Calamandrei costruiva per la Resistenza una proiezione ideale e invitava a pensare la Resistenza del futuro come il cittadino a cui importa del bene comune, al punto di metterlo prima dell’interesse particolare. Parole oggi più che mai da riscoprire, soprattutto pensando alla negazione dei princìpi fondamentali messa in atto da Matteo Salvini e alla sostanziale indifferenza del Movimento 5 Stelle per il progetto sociale della Costituzione.
Le prime rappresentazioni della pièce Casa di bambola, alla fine dell’Ottocento, fecero scandalo e scatenarono aspre discussioni nei salotti buoni della borghesia: la storia di una donna che, compresa e svelata la squallida realtà del potere maschile, incarnata dal proprio marito, lascia casa e famiglia per ritrovare se stessa, era troppo radicale per gli spettatori di allora. E per certi versi potrebbe esserlo ancora oggi. Ibsen seppe infatti anticipare con lucidità profetica una questione che pesa ancora irrisolta sulla nostra civiltà: quella della relazione uomo-donna e della difficoltà maschile a riconoscere fino in fondo la complessa e composita integrità del femminile.
Oggi che la parola rivoluzione è andata fuori corso come una moneta di scarso valore numismatico, che sentiamo di nuovo parlare di difesa delle frontiere, che assistiamo all’idolatria della sovranità e dei dazi, ci appare utopico ciò che alle prime luci del Novecento sembrava urgente e praticabile e che Jack London ci racconta nel suo Rivoluzione. Ma cosa abbiamo contro l’utopia? Lasciamo la risposta a Oscar Wilde: “Una carta geografica in cui non esistesse il paese di Utopia, non meriterebbe di essere guardata”.
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