Da oggi in edicola MicroMega 3/2020: “Solo l’eguaglianza ci può salvare” – Presentazione e sommario
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Alla questione pandemia è dedicata anche la prima delle quattro sezioni che compongono il nuovo numero: in essa Silvio Garattini ci spiega perché, nel nostro paese, c’è bisogno di una più diffusa e radicata cultura scientifica; Moreno Di Marco, insieme a diversi colleghi, illustra le correlazioni fra pandemie e obiettivi dello sviluppo sostenibile; Nicola Grandi e Alex Piovan descrivono i pericoli dell’"infodemia"; e infine Pompeo della Posta e Mario Morroni chiariscono perché questa crisi rischia di mandare in frantumi l’Unione europea.
Prende invece le mosse dall’anniversario dell’entrata in vigore della legge 20 maggio 1970 n. 300, a tutti nota come Statuto dei lavoratori, la seconda sezione del volume, nella quale Piergiovanni Alleva ricostruisce le tappe del processo di svuotamento di questo strumento e propone un intervento legislativo snello, costituito da dodici articoli, che rilanci i diritti dei lavoratori; Domenico De Masi ci conduce in un viaggio che attraversa tutti i cambiamenti che il mondo del lavoro ha sperimentato; Giorgio Cremaschi ci racconta come questi cambiamenti sono stati invariabilmente accompagnati da un restringimento dei diritti dei lavoratori; Marta Fana ci invita a non gettare la spugna perché non c’è motivo per pensare che oggi non sia possibile non solo recuperare i diritti sottratti, ma ottenerne di nuovi, come un indispensabile salario minimo; Fabrizio Barca, infine, denuncia come la pandemia da coronavirus ci abbia sbattuto in faccia le drammatiche disuguaglianze che attraversano le nostre società, ponendoci davanti a un bivio: o scegliamo definitivamente il combinato disposto di neoliberismo e autoritarismo o ci adoperiamo per ridare dignità al lavoro, con proposte concrete, che tengano insieme diritti e crescita.
La terza sezione del numero è dedicata invece a quell’assuefazione al fascismo che ne ha moltiplicato i rigurgiti in tutto il paese senza un’adeguata reazione da parte delle istituzioni e della società nel suo complesso. Daniele Nalbone ricostruisce questo processo di sdoganamento iniziato da Berlusconi e portato a compimento da Salvini; Tomaso Montanari rileva come a questo processo abbia contribuito anche la borghesia colta italiana, tra le cui file ha dilagato, in nome della vuota retorica della “memoria condivisa”, un atteggiamento che può essere definito di "anti-antifascismo"; Cathy La Torre spiega perché gli strumenti legislativi a disposizione (Leggi Scelba e Mancino) sono inefficaci nel contrasto al fenomeno; Francesco Pallante illustra il carattere totalmente antifascista della Costituzione, molto al di là del mero divieto di ricostituzione del partito fascista; Christa Wichterich ci mostra come le cose non vadano meglio neanche a livello internazionale, grazie a un mix di antifemminismo, familismo conservatore, idee conservatrici-nazionaliste e identitarie-religiose che minaccia la democrazia liberale; Simona Argentieri, infine, ci racconta i tratti paranoidi tipici del fascista: odio per il diverso, esaltazione di sé, vigliaccheria.
Arricchisce e completa il numero in edicola dal 30 aprile la sezione dedicata all’America latina, teatro nei mesi passati di un’ondata di proteste delle cui potenzialità ci parlano Miguel Benasayag, sottolineando come il continente si riveli ancora una volta laboratorio politico per la sinistra mondiale, Francesca Capelli, che ci offre una rassegna della situazione nei vari paesi (oltre che una breve storia politica del tango), e infine Emanuele Profumi, che ci racconta il percorso unico che ha intrapreso il Cile.
Paolo Flores d’Arcais / Gustavo Zagrebelsky – Solo l’eguaglianza ci può salvare
L’emergenza coronavirus ha fatto drammaticamente esplodere una serie di problemi da tempo latenti nelle nostre società. Uno su tutti, il più importante, il legame indissolubile fra democrazia ed eguaglianza, fra libertà e giustizia sociale. E poi la debolezza della democrazia di fronte alla necessità di prendere decisioni a lungo termine, il nesso fra competenza e consenso, la qualità della classe politica. Un dialogo a tutto tondo per ragionare sulla crisi e immaginare come uscirne.
Silvio Garattini – Solo la scienza ci può salvare
La scienza non è in grado di risolvere tutti i problemi dell’umanità, certo. Ma una delle questioni più gravi che la pandemia da Covid-19 ha evidenziato è la drammatica carenza di cultura scientifica sia nella popolazione in generale sia nelle élite politiche che stanno gestendo l’emergenza. Questo dovrebbe farci decisamente cambiare rotta, a partire dalla scuola, dove le basi del pensiero razionale e scientifico andrebbero valorizzate e insegnate sin da bambini.
Prevenire la diffusione di future pandemie impone la ricerca di misure integrate che coinvolgano diversi livelli, perché diversi sono gli elementi che hanno un’influenza più o meno diretta sull’insorgenza di nuove malattie infettive. Questioni ambientali, economiche, sociali e politiche si intrecciano e solo uno sguardo integrato sarà in grado di tenere insieme i diversi obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dall’Onu nell’Agenda 2030 senza compromettere la sicurezza sanitaria globale.
La pandemia ha portato con sé anche un’altra forma di contagio, più difficile da osservare ma con conseguenze potenzialmente molto pericolose per la democrazia: una vera e propria ‘infodemia’, un contagio informativo che, se non basato su dati scientificamente fondati, rischia di travolgerci. Contenere l’infodemia non è un obiettivo secondario rispetto al contrasto della pandemia da coronavirus, perché la trasmissione di informazioni corrette è centrale anche per combattere la diffusione del virus.
Di fronte alla pandemia da coronavirus, in Europa non solo non si è manifestata la volontà politica di adottare provvedimenti simili a quelli assunti negli Usa, ma si dibatte ancora sul modo in cui dovrà essere esercitata la solidarietà: utilizzando il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), con condizionalità più o meno ampie, o adottando gli eurobond. La forte competizione tra paesi europei e la presenza di paradisi fiscali all’interno dell’eurozona alimentano inoltre tensioni che potrebbero potenzialmente portare alla disgregazione dell’Unione. Mentre, in questo momento più che mai, la cooperazione avvantaggerebbe tutti.
ICEBERG 2 – fondata sul lavoro
Piergiovanni Alleva – Cinquant’anni dello Statuto dei lavoratori. Dodici articoli per un progetto di rilancio
A cinquant’anni dalla sua entrata in vigore, il concreto ambito di applicazione dello Statuto dei lavoratori appare sempre più ridotto: il pacchetto Treu, la legge Biagi, il Jobs Act – per citare solo alcune delle tappe di questo processo – ne hanno aggirato e manomesso le garanzie, fino a colpire il cuore stesso dello Statuto, vale a dire l’articolo 18. Per questo si pone come urgente e necessario un intervento legislativo che rilanci i diritti dei lavoratori. Un intervento che, nella proposta qui presentata, assume i tratti di un progetto di legge snello, costituito da dodici articoli. Una bomba ‘a grappolo’ che con un solo lancio copre una vasta area di terreno.
Di fronte all’espandersi del mercato, alla crescita del potere delle imprese, alla finanziarizzazione delle attività economiche, alla delocalizzazione, è stata imboccata (con la complicità di sinistra e sindacati) la strada diametralmente opposta a quella che sarebbe stata necessaria: anziché rafforzare ed estendere le tutele dei lavoratori, queste sono state indebolite quando non del tutto cancellate. Una scelta di cui oggi, anche di fronte alla pandemia, vediamo tutte le drammatiche conseguenze. Va invertita la rotta, subito, radicalmente.
Quando si guarda al futuro del lavoro sovente viene posta una domanda: i lavoratori saranno destinati a essere sostituiti dalle macchine? La risposta è ovvia: sì, in larga parte almeno. Ed è un bene che sia così. Tutta la storia del lavoro umano è una storia di progressiva sostituzione nei lavori più faticosi, monotoni e ripetitivi. E oggi le macchine sono talmente sofisticate da essere potenzialmente in grado di svolgere davvero una grandissima parte del lavoro umano. Se a partire da tutto ciò non sapremo costruire una società più equa e più giusta sarà esclusivamente colpa nostra.
Tra le varie convinzioni che paiono verità incontrastabili, una delle più odiose è l’idea che oggi, a causa della frammentazione del mondo del lavoro, sia particolarmente difficile difendere i diritti dei lavoratori. Ma le lotte per i diritti non sono mai state facili e non c’è motivo per pensare che oggi non sia possibile non solo recuperare quelli sottratti, ma anche ottenerne di nuovi, come un indispensabile salario minimo.
Fabrizio Barca – Un altro lavoro è possibile
Lo shock del coronavirus ci ha messo di fronte a una drammatica realtà, che era già sotto gli occhi di tutti: le disuguaglianze sociali hanno raggiunto soglie non più tollerabili e le fasce più deboli – non per natura o destino ma perché indebolite da decenni di politiche neoliberiste che hanno fatto strame dei diritti – stanno pagando il prezzo più alto. Abbiamo di fronte due alternative: o scegliamo definitivamente il combinato disposto di neoliberismo e autoritarismo o ci adoperiamo per ridare dignità al lavoro. Con proposte concrete, che tengano insieme diritti e crescita.
Tomaso Montanari – Una Repubblica (s)fondata sull’anti-antifascismo
Non c’è da sorprendersi se negli ultimi anni gli esempi di sdoganamento del fascismo si sono moltiplicati. Non poteva che essere questa la logica conseguenza dell’anti-antifascismo che, in nome della vuota retorica della ‘memoria condivisa’, ha dilagato nella borghesia colta italiana. Con i fascisti infatti non può esserci memoria condivisa. Non in una Repubblica che sull’antifascismo si fonda.
Non c’è articolo della nostra Costituzione che non sia intriso dello spirito antifascista da cui è nata. Non solo infatti l’esplicito divieto di ricostituzione del partito fascista, ma tutta la nostra Carta – dai diritti dei lavoratori alla libertà di stampa, dall’eguaglianza dei cittadini alla tutela della libertà personale – disegna un mondo di valori del tutto incompatibile con il fascismo, vetero, neo o post che sia.
Daniele Nalbone – Fascismo quotidiano
Dal concorso di Miss Hitler ai cimeli del Ventennio venduti ai mercatini, dalla torta decorata con il volto di Mussolini al bar che ai propri clienti offre bustine di zucchero con la scritta ‘Sono fascista e me ne frego’, fino al fiorire di svastiche e celtiche sui muri delle abitazioni di sopravvissuti alla Shoà. Sono tanti e diversissimi i rigurgiti neofascisti che infestano il nostro paese. Una situazione che è esito di un processo di sdoganamento iniziato da Berlusconi, che aprì le porte ai missini alla guida del paese, e portato a compimento da Salvini, che sta cavalcando le nuove generazioni di estrema destra per veder crescere i propri consensi.
Cathy La Torre – Rigurgiti neofascisti? La magistratura applichi le leggi Scelba e Mancino
L’Italia dispone di diversi strumenti, a partire dalle leggi Scelba e Mancino, per contrastare il fenomeno dei movimenti neofascisti e i pericoli che da questi derivano. E allora perché ci sentiamo così poco protetti e così tanto in balìa dei rigurgiti neofascisti e dei più beceri fatti di razzismo, anche compiuti da rappresentanti delle istituzioni? Una delle risposte risiede certamente nell’interpretazione restrittiva della legge Scelba accolta dalla giurisprudenza sin dagli anni Cinquanta del secolo scorso. Un’interpretazione che ha tradito in parte lo spirito e lo scopo della XII disposizione finale e transitoria della Costituzione, quella che vieta la ricostituzione del disciolto partito fascista. Ecco perché è urgente un’inversione di rotta da parte della magistratura.
Un mix di antifemminismo, familismo conservatore, idee conservatrici-nazionaliste e identitarie-religiose minaccia la democrazia liberale, convergendo verso un medesimo obiettivo: mettere a tacere le posizioni emancipatorie e discreditare le forze egualitarie e critiche. Una saldatura pericolosa, consumata sul corpo delle donne, che negli ultimi anni ha favorito la crescita dei movimenti populisti e autoritari di destra. Ecco perché la lotta per la democrazia e lo Stato di diritto non può che essere sempre anche una lotta femminista.
Fra le varie precondizioni della democrazia c’è anche quella di avere cittadini psicologicamente equilibrati, dotati di un io forte e ben strutturato, capaci di proteggerne il valore anche quando è scomodo. Perché la democrazia è faticosa e non si addice a chi ha i tratti paranoidi tipici del fascista: odio per il diverso, esaltazione di sé, vigliaccheria.
Il futuro non è un luogo remoto e compiuto da immaginare a tavolino, ma la prosecuzione del presente. Ed è per questo che i movimenti di contestazione sociale e politica dovrebbero concentrarsi molto più sul qui e ora, moltiplicando in ogni angolo del pianeta esperienze e pratiche di resistenza limitate ma radicali, senza troppo preoccuparsi di immaginare un cambiamento globale. È quello che sta accadendo in America Latina: come già in passato, laboratorio politico per la sinistra mondiale.
Alla fine del 2019 l’America Latina sembrava sul punto di una nuova svolta. Le proteste contro le politiche neoliberiste in Ecuador, Colombia e soprattutto Cile, nonché la vittoria del peronista Alberto Fernández in Argentina e quella di Evo Morales in Bolivia facevano pensare a un cambiamento degli equilibri geopolitici: uno spostamento verso sinistra, dopo il ritorno delle destre al potere. In poche settimane però, con il golpe in Bolivia e l’isolamento di Fernández, lo scenario si è fatto confuso. Le proteste tuttavia continuano e quando la pandemia sarà finita i vari governi dovranno affrontare i nodi sociali irrisolti.
Ciò cui abbiamo assistito in Cile negli scorsi mesi è probabilmente qualcosa di unico. A mobilitarsi contro il modello neoliberista sono stati infatti quasi tutti i settori della società, non solo gli studenti o le giovani generazioni: i sindacati di tutte le categorie, il movimento femminista, le moltissime associazioni civiche e territoriali cresciute negli ultimi decenni un po’ ovunque, il mondo della cultura, della scuola e delle università nel suo complesso, i popoli indigeni (primi fra tutti i mapuche), le organizzazioni contadine e quelle ecologiste, i disoccupati e i precari, le associazioni delle vittime della dittatura e molti altri gruppi di cittadinanza attiva. Un movimento plurale a cui non interessa prendere il potere, ma modificare radicalmente il sistema.
Inviso fin dai suoi esordi perché considerato un oltraggio alla morale, il tango ha attraversato la storia politica dell’Argentina. Non c’è movimento che non abbia in qualche modo fatto suo questo ballo, potente e sensuale, per utilizzarlo come strumento del proprio messaggio politico, talvolta stravolgendone persino gli elementi essenziali, per esempio mettendone in discussione i ruoli di genere. Piccola storia politica del tango.
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