Da oggi in edicola MicroMega 6/2019: “1989-2019: la sinistra nel mondo a trent’anni dalla caduta del Muro” – Presentazione e sommario
Adriano Prosperi sottolinea che le date simboliche sono, sì, affascinanti ma rischiano di deformare la percezione della storia, che non procede quasi mai per cesure e radicali discontinuità, e suggerisce dunque di guardare al 1989 risalendo più indietro nel tempo e scendendo più nei dettagli di un passato del Novecento che in questi nostri tempi è diventato terra incognita. Ernesto Galli della Loggia mette l’accento sul fatto che il 1989 non mosse in alcun modo dal basso bensì dall’alto, essendo il risultato di un calcolo politico sbagliato da parte di Gorbačëv. Del dissenso antisovietico nell’Europa dell’Est si occupano Wlodek Goldkorn e Axel Honneth, mentre Irena Grudzińska Gross racconta di come la Polonia, in quel delicato frangente, scelse come legame comune il cattolicesimo, con le conseguenze che vediamo anche oggi. Massimo Cacciari sottolinea come i fatti dell’89 abbiano avuto effetti diversi a seconda dei contesti nazionali e come sia ovvio che, laddove la cultura nazionale presentava forti accenti identitari e antirussi, il nuovo corso virasse decisamente a destra. Lucio Caracciolo spiega come la caduta del Muro abbia sancito soprattutto la vittoria del capitalismo, mentre Dacia Maraini suggerisce di riflettere sulle imperscrutabili ragioni delle masse.
Sugli errori della sinistra riflettono Pancho Pardi, che si interroga sulle conseguenze che il post-’89 ha avuto sul concetto di uguaglianza, e Miguel Benasayag, che individua nel messianismo la malattia mortale della sinistra. E se dalla Spagna arrivano le riflessioni dei politologi Pere Vilanova e Josep Ramoneda, non poteva mancare la testimonianza di chi, in Italia, quegli eventi li ha vissuti in prima persona: Achille Occhetto, che ricorda e rivendica la sua Bolognina, Luciana Castellina, per la quale il 1989 è la data di una sconfitta e non un anniversario festoso, e infine Aldo Tortorella, che definisce il crollo sovietico una tragedia di tutta la sinistra di ispirazione socialista e attacca le varie “terze vie”. Cinzia Arruzza e Felice Mometti ci ricordano poi che quella data segnò anche l’inizio della fine dei movimenti operai novecenteschi, senza però che per questo siano venute meno anche la classe e le ragioni della sua lotta.
Le date simboliche sono affascinanti ma rischiano di deformare la percezione della storia, che non procede quasi mai per cesure e radicali discontinuità. Se per esempio si guarda al 1989 senza spezzare il continuum della storia, si vedrà come non fosse possibile che dal crollo di un regime come quello russo-sovietico prendessero avvio processi politici orientati alla democrazia liberale e alla giustizia sociale, quasi come se si trattasse di un’uscita dalle tenebre dell’errore verso la luce della ragione.
Włodek Goldkorn – Il dissenso travolto dal passato
I movimenti che a partire dal 1956 hanno contestato i regimi comunisti nell’Europa dell’Est erano complessi e contraddittori, con istanze di ogni tipo (nostalgie clericali e monarchiche comprese). Era dunque un’illusione pensare che la stagione dei Mazowiecki, dei Kuron, degli Havel, dei Kiš – per citare i più famosi fra i dissidenti – sarebbe durata un minuto più dello spazio temporale della transizione. Instaurata la democrazia, nei paesi ex comunisti sono riemerse le dinamiche ‘di lunga durata’ delle rispettive società, dinamiche potenziate dall’avvento del neoliberismo.
Lucio Caracciolo – Una vittoria del capitalismo
Novanta, che dal comunismo reale di marca sovietica si sarebbe potuti passare a regimi democratici, aperti, ma con una forte connotazione social-laburista, ha dovuto presto rassegnarsi all’impraticabilità di una tale transizione. A distanza di anni, possiamo dire che ebbero ragione coloro che sin da subito affermarono che l’89 non fu tanto una vittoria della democrazia sul totalitarismo, quanto del capitalismo sull’economia di piano sovietica.
Axel Honneth – L’indifferenza occidentale per il dissenso a Est: un errore cruciale
Nessuno può dire se la storia sarebbe andata diversamente nel caso in cui i movimenti dissidenti nei paesi dell’Europa dell’Est avessero trovato maggiore sostegno all’Ovest. Sta di fatto che questo sostegno mancò quasi completamente, e questo può certamente aver contribuito all’indebolimento dello slancio progressista nel post-’89. Dopo la fine dell’Urss, infatti, nei paesi ex sovietici sono riemersi sentimenti nazionalistici a lungo tenuti a bada, che oggi si manifestano in tutta la loro pericolosità. Alla sinistra il compito di ritrovare una strada, partendo per esempio dai beni comuni.
Dacia Maraini – Le imperscrutabili ragioni delle masse
Indagare le ragioni per cui dopo la caduta del Muro le cose a sinistra non sono andate come forse ci si poteva aspettare è operazione ardua, che avrebbe bisogno della sinergia di storici, politologi, psicologi delle masse. Non sempre infatti i popoli scelgono secondo i propri interessi e la tendenza della sinistra ad autoflagellarsi le impedisce di guardare con fiducia al futuro. Per esempio cercando di pensare un’Europa unita e solidale contro il ritorno degli egoismi nazionali.
Ernesto Galli della Loggia – Prima e dopo la caduta
Il 1989 non fu una presa della Bastiglia, non mosse in alcun modo dal basso bensì dall’alto: fu il risultato di un errore, di un calcolo politico sbagliato. Gorbacëv provò infatti a riformare ciò che riformabile non era: il sistema politico della dittatura del partito unico con la sua necessaria struttura repressiva. Non averlo compreso significò la fine sua e dell’Unione Sovietica. Un regime che a Mosca come dappertutto si era sempre retto sulla paura, allo scemare di questa non poteva che andare in mille pezzi.
Miguel Benasayag – La sinistra muore nel messianismo
Vista con gli occhi di un guevarista latinoamericano, la deriva della sinistra europea dopo la caduta del Muro si spiega con il messianismo che l’ha caratterizzata: vale a dire l’ingenua idea che, sconfiggendo il male, si realizzi automaticamente il bene. Se poi questo non accade, allora ci si convince che la giustizia sociale sia impossibile e ci si rassegna a comode terze vie, purché garantiscano il potere.
Francesco ‘Pancho’ Pardi – La fine dell’Urss e il destino dell’uguaglianza
Tra le più gravi conseguenze dell’esperienza sovietica sono da mettere in conto i danni (irreversibili?) che essa ha prodotto al concetto di uguaglianza. Una parola non solo divenuta desueta ma guardata spesso con sospetto. Il crollo del socialismo reale ha trascinato con sé la sinistra proprio perché ha reso opaco se non addirittura temibile il significato dell’uguaglianza. Da dove ripartire dunque? Ibernato (temporaneamente, si spera) Keynes, si può ancora fare leva su Kelsen, sostenendo con fermezza le garanzie costituzionali e la difesa dei beni comuni.
Massimo Cacciari – L’89 non è uguale per tutti
Pensare che con l’89 le cose sarebbero dovute andare in una certa direzione è un atteggiamento naïf e, soprattutto, antistorico. Le vicende di quell’anno, e di quegli anni, hanno avuto effetti notevolmente diversi a seconda dei contesti nazionali ed è ovvio che, laddove la cultura nazionale presentava forti accenti identitari e antirussi, il nuovo corso virasse decisamente a destra.
Aldo Tortorella – Come la sinistra mancò l’occasione e scelse la ‘terza via’
Nel disincanto operaio e popolare che, dopo la caduta del Muro di Berlino, si rivolse verso i dirigenti del dissenso anti-sovietico giunti al governo, un ruolo importante lo giocò l’impopolarità delle politiche economiche. Ma ancor più contò, nella deriva che
è andata poi a rigonfiare il consenso verso le formazioni politiche di una destra di tipo autoritario detta ‘populista’, l’esasperazione del sentimento nazionale spinto sino allo sciovinismo. Che assume le vesti sia di una replica al vecchio internazionalismo comunista sia quelle di un’ostilità al globalismo predicato tra la fine del secolo e l’inizio di quello nuovo.
Cinzia Arruzza e Felice Mometti – La classe è morta. Lunga vita alla classe
Il 1989 segnò tra le altre cose anche l’inizio della fine dei movimenti operai novecenteschi. Ciò non significa però che con la caduta del Muro siano venute meno anche la classe e le ragioni della sua lotta. E questa considerazione dovrebbe essere alla base di ogni riflessione su come uscire dal periodo di transizione apertosi allora. Da dove ripartire se non da una considerazione dei processi storici, contingenti e irripetibili di soggettivazione della classe? Il compito è individuare quei conflitti contemporanei all’interno dei quali si apre la possibilità di una nuova formazione di classe, anziché provare a riprodurre pedissequamente modelli appartenenti al passato.
Irena Grudzinska Gross – Come rovinare il tuo 1989
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egrave; un paese dove il 1989 si annunciò per quello che sarebbe stato è la Polonia. È qui che all’inizio di quell’anno furono assestati i primi colpi al Muro di Berlino che sarebbe poi caduto in novembre. Ed è già in quei concitati momenti che furono fatte scelte decisive per il futuro del paese. Il nuovo establishment postdissidente optò infatti per un decisivo ritorno al passato, ma non un passato qualunque: come legame comune fu individuato il cattolicesimo. Con le conseguenze che vediamo anche oggi.
Pere Vilanova – Memoria e amnesia della guerra fredda
Dopo la fine della guerra fredda si fu un po’ troppo frettolosi a parlare di ‘fine della Storia’. Naturalmente la storia non finì affatto, la democrazia liberale non trionfò, e anzi si diffuse il caos. E a distanza di trent’anni il fascismo, sconfitto come forma di governo, è vivo e vegeto come ideologia e fenomeno sociale (razzismo, antisemitismo, xenofobia), né si può dare per scontato che non sia in grado di causare ulteriori danni, anche su scala globale nelle sue svariate accezioni. La storia dunque, lungi dall’essere finita, è ancora tutta da scrivere.
Achille Occhetto – L’89 visto dalla Bolognina
Eravamo diversi, è vero, ma non innocenti. Per questo la svolta della Bolognina era necessaria. Così almeno la pensa chi di quella svolta fu il padre. Che rivendica: c’è chi volle ridurla a una mera questione di nome ma in gioco c’era la necessità di una costituente per la formazione di un nuovo soggetto politico, che mettesse al centro temi come la democratizzazione della globalizzazione, una new governance del mondo, la centralità dell’integrazione europea.
Josep Ramoneda – Dalle macerie dell’89 una speranza per il futuro
Dopo la caduta del Muro e la fine dell’Urss, il capitalismo ha incontestabilmente vinto. Ma capitalismo e democrazia non vanno necessariamente di pari passo, e anzi il primo ha mostrato una notevole capacità di adattarsi ai sistemi politici più diversi. Possiamo dunque immaginare che il mondo a venire sarà dominato dal conflitto tra diversi capitalismi e che la lotta globale si concentrerà sempre di più tra autoritarismo e democrazia.
Luciana Castellina – L’anniversario di una sconfitta
L’89 non è un anniversario festoso, ma la data di una sconfitta. E quanto ha trionfato in seguito dovrebbe indurre ancor meno a festeggiare. Di per sé, e da sola, infatti, l’introduzione di un sistema di democrazia parlamentare non è sufficiente a garantire la democrazia. Quanto accaduto nella Russia postsovietica dovrebbe dimostrarlo; ma purtroppo ne sono testimonianza anche tanti paesi occidentali, compreso il nostro, dove quella sostanza è stata a tal punto logorata da farci tremare.
NOSTRA PATRIA È IL MONDO INTERO
Fabio Bartoli e Giovanni Savino – Da Brežnev a Putin
Il crollo dell’Unione Sovietica e del blocco orientale ha avuto sulla Russia ripercussioni peculiari, diverse da quelle degli altri paesi al di là della cortina. La prospettiva non è stata infatti quella di un ritorno all’unità nazionale o alla democrazia ma la perdita di centralità nell’equilibrio mondiale, prospettiva per di più risucchiata nelle sabbie mobili di una crisi di identità sociale e culturale. Una situazione che l’attuale presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, ha saputo sfruttare a suo vantaggio, costruendovi il suo successo.
Albrecht von Lucke – Non solo il Muro: la Germania in tre date
‘Noi siamo il popolo’ (‘Wir sind das Volk’) era lo slogan della rivoluzione dell’89. Oggi è diventato il motto dell’Afd, la formazione di estrema destra nata in Germania pochi anni fa che aumenta ogni giorno di più i suoi consensi. Come è stato possibile? Perché la questione nazionale, che nell’89 era un’istanza democratica e progressista, è stata lasciata alla destra? Perché solo alle manifestazioni dell’Afd si vede la bandiera tedesca, simbolo che risale alla Germania democratica del 1848? Se la sinistra non ritrova il suo patriottismo illuminato sarà destinata a sparire.
Simone Pieranni – Il lungo 1989 di Pechino
I fatti di piazza Tiananmen sono ancora al centro di analisi e, talvolta, di nuove rivelazioni. In mezzo al marasma di interpretazioni rimane quanto avvenuto: il massacro perpetrato ai danni di studenti, operai e semplici cittadini pechinesi e la drammatica decisione del Partito comunista di procedere alla repressione della ‘Primavera cinese’, frutto di un periodo di intensa vivacità politica e culturale, al termine di uno scontro interno che segnerà per sempre la vita del Pcc.
Fabrizio Tonello – Gli Stati Uniti a trent’anni dal 1989
Nel 1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti si ritrovano nella posizione di unica superpotenza del pianeta. Ma quella di un futuro mondo unipolare non è che un’illusione. Per gli Usa inizia infatti una fase di declino determinata non solo – o non tanto – dalla parallela ascesa economica della Cina quanto dal fatto che le élite americane non hanno più la coesione sociale, il senso dello Stato e la visione comune del mondo che possedevano durante il XX secolo. Il risultato è un mondo più multipolare, confuso e caotico che mai.
IL SOL DELL’AVVENIRE
INEDITO
Gajo Petrovic in conversazione con Jasna Tkalec – Jugoslavia: il nazionalismo che prelude alla guerra civile (con una presentazione di Luka Bogdanic)
Gennaio 1991, mancano pochi mesi all’inizio della guerra in Jugoslavia. E mentre il conflitto si avvicina, il sogno di un paese democratico e unito si fa sempre più lontano. In questo contesto esce l’intervista a Gajo Petrovic, qui per la prima volta in italiano, nella quale il fondatore del gruppo marxista dissidente Praxis esprime le proprie critiche al socialismo sovietico e le proprie preoccupazioni per le correnti nazionaliste che stavano prendendo il sopravvento sui processi di democratizzazione.
MEMORIA
Roberto Carocci – Quello straordinario ’89. Una cronologia (1988-1991)
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