Dal cardinale pedofilo al tracollo Cinque Stelle. Due brevi riflessioni fuori luogo
Paolo Flores d’Arcais
George Pell, cardinale di Santa Romana Chiesa, Cattolica e Apostolica, fino a ieri la terza autorità in Vaticano dopo il Papa e il Segretario di Stato, entra oggi nella Assessment Prison di Melbourne come pedofilo patentato, violentatore di chierichetti, e il 13 marzo saprà se e quando uscirà mai dal carcere, essendo la pena massima di cinquant’anni. Nella serata di ieri il portavoce ad interim della Santa Sede, Alessandro Gisotti, ha fatto sapere tramite un tweet che il cardinale non è più il prefetto della Segreteria per l’Economia, il “Ministero del tesoro” del Vaticano, confermando poi la notizia con un bollettino in cui riferisce inoltre che “la Congregazione per la Dottrina della Fede si occuperà ora del caso nei modi e con i tempi stabiliti dalla normativa canonica”.
La condanna di Pell, e il comportamento del Papa fino ad oggi, tolgono qualsiasi credibilità al plateale e solenne “mea culpa” recitato nei giorni scorsi da cardinali e vescovi delle presidenze delle conferenze episcopali di tutto il mondo, riuniti per combattere in radice – si proclamava – il fenomeno della pedofilia ecclesiastica cattolica. Tale incontro, clamoroso di testimonianze, quanto a provvedimenti concreti si è concluso nella più proverbiale aria fritta. È infatti evidente che le gerarchie cattoliche hanno tutti gli strumenti per individuare i colpevoli, e chi li ha coperti e li copre, ben prima delle autorità civili, ma continuano invece a muoversi (timidamente) solo dopo che le autorità giudiziarie di un paese, tra mille difficoltà e intralci spesso posti dalle gerarchie stesse, riescono a processare e condannare le sottane pedofile.
Così era anche per quanto riguarda il cardinal Pell, chiacchieratissimo da anni, ma elevato ai vertici della Santa Sede da Papa Bergoglio, e da lui pervicacemente difeso fino all’istante prima che l’incriminazione per pedofilia della corte australiana diventasse ufficiale. Solo allora, giugno 2017, il Papa gli ha “concesso un periodo di congedo per potersi difendere”, senza rimuoverlo dall’incarico.
La domanda resta perciò sempre la stessa: se vuole, la Chiesa ha gli strumenti per fare trasparenze e fare pulizia, i contatti e le modalità più dirette per raccogliere testimonianze e prove. Non lo fa. Il perché salta agli occhi, evidente: perché dovrebbe condannare canonicamente fior di cardinali e manciate di vescovi, passandoli nel frattempo alla giustizia dei singoli paesi perché li processino. Traccheggia, si scusa, si batte il petto nei “mea culpa”, si cosparge il capo di cenere, ma fino a che non si trovano giornalisti-giornalisti, poliziotti tenaci e inquirenti che non guardano in faccia a nessuno, le sottane pedofile, nere rosse o porpora, la fanno franca. Così si è aspettato che George Pell fosse condannato da una “giuria di suoi pari”, pari in quanto cittadini, perché i suoi pari nell’episcopato e il più pari di tutti, il vescovo di Roma, si sono ben guardati dall’indagare e processare, benché avessero strumenti assai più incisivi, estesi, intensi, per raccogliere con tempi assai anticipati testimonianze e prove.
Il che vale per tutti gli altri che saranno condannati d’ora in avanti. Forse il Papa e i cardinali dovrebbero andarsi a rileggere il catechismo, dove si dice che si pecca egualmente per opere e per omissioni.
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Dall’Urbi et Orbi passiamo all’Italietta. Si parva licet componere magnis, perciò.
Il Movimento 5 stelle deve scegliere: tra destra e sinistra. Non nel senso dei partiti e delle forze organizzate che vengono presentate con queste etichette, sia chiaro … ma certamente nel senso dei valori, degli interessi, dei grandi orientamenti programmatici, poiché quell’antica contrapposizione (giustizia e libertà contro oligarchia e privilegio) diventa anzi più stringente – etica e perfino “antropologica” – proprio col tramonto delle ideologie dominanti nel secolo scorso.
Lo scrivevo due anni e tanticchia fa, il 7 febbraio 2017.
In questi due anni il M5S ha scelto: a destra, nella sottomissione a Salvini, accucciato all’ombra della coerenza pre-fascista di quello che perfino un pasdaran delle destre tutte, come Giuliano Ferrara, chiama “il truce”. La conseguenza è sotto gli occhi, prevedibilissima e prevista (almeno su questo sito): il tracollo dei voti. In un anno in Sardegna quattro elettori su cinque. Nel resto d’Italia non sarà, forse, così catastrofico, ma l’avvitamento che più volte abbiamo pronosticato (già 24 novembre 2014) è in atto. Avvitamento si dice di un aereo quando, precipitando, ha perso ogni controllo possibile e la situazione è senza ritorno.
Un Capo politico, di fronte a due sconfitte regionali e sondaggi tragici, avrebbe già avuto la decenza di dimettersi. Non facendolo si proclama Capo politico in-decente. Propone una riforma organizzativa in quattro e quattr’otto, da votare “cotta e magnata” su Rousseau (che si rivolta nella tomba), per fare del già movimento un partito di pasdaran personali. Dice che comanderà ancora per quattro anni, gli sfugge che tra un anno (al massimo), si vota, e per il suo partito saranno macerie.
L’unica chance sarebbe infatti capire il perché della sconfitta, niente affatto criptico e noto anche a sassi e bambini, ma Di Maio sta ripetendo pedissequamente il cupio dissolvi che fu già di Renzi. Il mare di cittadini senza rappresentanza sta diventando oceano, visto che i delusi non voteranno domani per la destra istituzionale, cioè il Pd, che (Zingaretti o Calenda o Pisapia, differenze solo per cultori del subatomico), quelli che erano già di destra voteranno per la coerente destra becera di Salvini, gli altri probabilmente resteranno a casa, a ingoiare bile e voglia di democrazia oggi elettoralmente inesprimibile.
Fino a che una proposta “giustizia e libertà”, egualitaria, libertaria, laica e illuminista non verrà avanzata da protagonisti credibili, radicalmente immuni da trascorsi partitocratici. Protagonisti oggi non immaginabili, verosimilmente assai giovani. Perché la parte “giustizia-e-libertà” nel paese esiste, sommersa, dispersa, atomizzata in mille e mille iniziative: di volontariato, di cultura, di intervento ecologico, di passioni civili. Manca solo il catalizzatore, perché divenga una forza politica.
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