Dal fiume carsico al fiume in piena
La giaculatoria partitocratica d’ordinanza è dilagata sui media d’establishment, secondo copione: qualunquisti, populisti, perfino esaltatori dei terroristi. Questo sarebbero i partecipanti al “vaffanculo day” di Beppe Grillo. E cominciamo dall’ultima accusa, aver inneggiato alla morte di Biagi. Una menzogna che più menzogna non si può. Richiesti di uno straccio di prova, gli accusatori farfugliano di un passaggio sullo schermo di alcune frasi prese da un libro di Grillo sul precariato. Nessun attacco a Biagi, dunque, ma una critica, che più legittima non si può, alla “legge Maroni” che i media continuano invece a chiamare “legge Biagi”. L’on.Casini, che ha continuato a stracciarsi le vesti contro questo (del tutto inventato) inneggiare agli assassini di Biagi, dovrebbe perciò, se è uomo d’onore, chiedere scusa ai manifestanti del “vaffanculo day”, uno per uno. Altrimenti, con la nuova “logica Casini”, chiunque critichi le “convergenze parallele” diventa un “inneggiatore” agli assassini di Moro. E tutti quelli che hanno inveito con Indro Montanelli (perché antiberlusconiano, quindi “comunista”), diventano solidali con i brigatisti che a suo tempo lo gambizzarono.
Ma lasciamo la “logica Casini” a questo impagabile riformatore del vecchio Aristotele, e torniamo alla democrazia, cioè al “vaffanculo day”. Titolo sboccato, dunque poco serio? E’ possibile, ma è la stessa prosa delle lettere con cui il senatore a vita Cossiga sta alluvionando da giorni il “Corriere della sera” per ingiuriare figlie e figli del generale Dalla Chiesa e dell’on.Berlinguer.
In realtà, i contenuti della grande giornata organizzata da Beppe Grillo disturbano la partitocrazia non perché poco seri ma perché molto seri. I manifestanti chiedevano infatti la cacciata dalle camere dei venticinque parlamentari condannati con sentenza definitiva (primo, secondo e cassazione, insomma). La cacciata, in parole più tecniche, di “criminali patentati”. Chi sono, perciò, i qualunquisti? Le centinaia di migliaia di cittadini che ancora conoscono il significato della parola dignità, o le centinaia di parlamentari che tollerano la coabitazione con pregiudicati acclarati, e insieme a loro “dettano legge” (alla lettera!)?
La seconda richiesta dei manifestanti era l’introduzione del tetto di due mandati parlamentari. Fai il “rappresentante della nazione” per dieci anni, poi torni nella società civile, alla tua professione. E non essendo “a vita” la prospettiva del tuo impegno politico retribuito, avrai meno tentazioni di trasformare quella che dovrebbe essere una “missione” (non sono proprio i politici a definirla tale?) in una fonte di lucro impropria (tangenti, amici degli amici e altre lepidezze). Qualunquista, una proposta del genere? Eppure uno dei politologi liberali più famosi del mondo, Giovanni Sartori (decenni di cattedra alla Columbia University di New York), è stato perfino più radicale: dopo un mandato, cinque anni fuori della politica, prima di poterci tornare. E nel nostro piccolo, su MicroMega, la proposta del limite dei due mandati l’abbiamo avanzata nel 1986 (avete letto bene: 1986), insieme alla riduzione delle due camere ad una (con cento parlamentari), alla incompatibilità tra ruolo di parlamentare e ruolo di ministro, e altre indicazioni di una riforma antipartitocratica della democrazia delegata.
Perché questo è, da più di un quarto di secolo, il problema della democrazia italiana: la deriva partitocratica, la sottrazione di sovranità e cittadinanza da parte di una gilda monopolistica e sempre più autoreferenziale di professionisti della politica, di partiti/apparati e relative nomenklature. La trasformazione della democrazia delegata, cioè formale, in democrazia FINTA. Da oltre un quarto di secolo i partiti italiani parlano della necessità di una “grande riforma”, ma ogni misura che realizzano o che propongono aggrava il problema, riduce i margini di democrazia (delegata) ancora esistente, perché questi partiti sono il problema, e dunque non possono essere la soluzione.
La partitocrazia da tre decenni dominante è la vera antipolitica, non i cittadini che cercano di farla rinascere attraverso i movimenti.
Quello portato in piazza dal blog di Beppe Grillo è solo il più recente tentativo di tornare alla politica, perciò. Non a caso il suo terzo obiettivo è quello di rovesciare la più recente innovazione partitocratica, cioè la più recente sottrazione di democrazia (delegata): le liste bloccate, con cui i vertici dei due poli “eleggono” a tavolino oltre il 90% dei parlamentari.
Da quando Mani pulite ha scoperchiato la cloaca di Tangentopoli, rivelando gli abissi corruttivi in cui la partitocrazia era precipitata, i “movimenti” non hanno fatto che moltiplicarsi. Il “popolo dei fax” in appoggio ai magistrati, anzi, ha costituito l’inizio di un vero e proprio fiume carsico, che ha cercato ogni occasione per manifestarsi. Ogni volta con forme diverse, ma sempre come bisogno di “cittadinanza autonoma”, cioè volontà di ri-formare la democrazia (delegata) sequestrata dalla partitocrazia. Perfino la partecipazione inattesa alle primarie di due anni fa, in larga parte esprimeva questo bisogno. E la stagione dei girotondi, ovviamente. E ora il movimento di Grillo (ma anche di Sabina Guzzanti, Marco Travaglio, Massimo Fini, Ferruccio Sansa e tanti altri, non dimentichiamolo).
I media, che hanno censurato ignobilmente una grande giornata di partecipazione democratica (tra i grandi quotidiani, solo “Repubblica” aveva la notizia in prima pagina. Quanto ai telegiornali, una pagina vergognosa di disinformacija. Una di più…) ora sono tutti concentrati sulle differenze tra Grillo e Moretti. I girotondi di Nanni e Pancho Pardi erano diversi dal popolo dei gazebo, e questi dal popolo dei fax, e i toni e le idiosincrasie di Beppe Grillo da quelle dei girotondi, ovviamente. Ma se non si capisce quanto vi è di continuo nel variegato (variegatissimo) ri-comparire del fiume carsico della “cittadinanza autonoma” non si capisce nulla di nessuno di questi fenomeni.
Questi movimenti hanno sempre dichiarato la necessità di inventare forme organizzative nuove rispetto ai partiti. Ma non ci sono mai riusciti, e il fiume carsico ogni volta è ripiombato nel sottosuolo. In questo, noi dei girotondi non siamo stati all’altezza delle passioni civili che pure avevamo catalizzato. Sarebbe bello che tutte queste esperienze di democrazia, anziché frammentarsi, passarsi il testimone, spaccare il capello in quattro su ciò che li ha divisi o li può dividere, trovassero il modo di diventare un solo e grande fiume in piena. Per la democrazia italiana sarebbe anche necessario.
*Questo articolo è stato pubblicato su Liberazione del 12 settembre 2007
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