Dal Vaticano segnali di un ritorno al passato

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di Daniele Garrone, www.fedevangelica.it

Il mese di gennaio in Italia fornisce due occasioni importanti per i rapporti tra i cristiani e gli ebrei e tra la democrazia italiana e il popolo ebraico. Il 17 gennaio ricorre la giornata dell’ebraismo indetta dalla Conferenza episcopale italiana, il 27 la “Giornata della memoria”. Entrambe le ricorrenze hanno visto, quest’anno, inquietanti segnali regressivi da parte della Chiesa di Roma. La reintroduzione della messa tridentina ha comportato l’adozione di una preghiera per la conversione degli ebrei. Inevitabilmente e giustamente, il rabbinato italiano ha deciso – per la prima volta – di sospendere la partecipazione ufficiale all’iniziativa. Il 24 gennaio, alla vigilia della "Giornata della memoria”, il papa ha rimesso la scomunica a suo tempo inflitta ai vescovi della fraternità San Pio X, seguaci di mons. Lefebvre. Inevitabilmente, e giustamente, da tutto il mondo si sono levate le voci di protesta di autorevoli esponenti ebraici, perché tra i quattro vescovi riabilitati ve ne è uno apertamente antisemita e negazionista. Tutto questo mentre è ancora viva la polemica suscitata per il solo fatto che il presidente della Camera dei deputati, onorando in questo la sua carica istituzionale, aveva ricordato, in occasione del settantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali fasciste, che esse non incontrarono sostanziale opposizione da parte della chiesa e degli italiani. Era la pura e semplice verità: è noto, e non da ieri, che il Vaticano non obiettò alle leggi razziali, dal 1938 al periodo del governo Badoglio compreso, se non per quelle che riteneva possibili violazioni del Concordato riguardo alla questione dei matrimoni.
Detto per inciso, mutatis mutandis, un atteggiamento analogo è emerso di recente a proposito della proposta di un impegno internazionale per la difesa del diritto alla vita degli omosessuali in paesi omofobi: alla questione dei diritti umani il Vaticano ha anteposto le sue preoccupazioni per la tutela del matrimonio “naturale”. I diritti delle persone passano in secondo piano rispetto ad una verità di parte che si pretende vincolante per tutti, ad ogni costo. Se la difesa degli omosessuali minacciati può suonare come una autorizzazione alla loro vita “disordinata”, allora è più importante affermare l’ordine “naturale”.
Non credo vi possa essere dubbio sul fatto che gli “incidenti” tra chiesa cattolica e popolo ebraico rappresentino dei passi indietro, dei segnali inquietanti di un ritorno al passato. A poco valgono le reiterate dichiarazioni di continuità con la dichiarazione conciliare Nostra Aetate, punto 4, che segnò l’avvio del superamento dell’avversione antiebraica e aprì la cosiddetta “stagione del dialogo”. I fatti contano più delle parole. E purtroppo non c’è da stupirsi che questi siano i fatti di questo pontificato, che si configura sempre di più come un voluto recupero del passato, senza rotture, come una lenta e programmatica restaurazione: Trento e il Vaticano I valgono come il Vaticano II; tutti i tentativi fatti in seno alla chiesa nel corso degli ultimi decenni per ragionare “a partire” dal Vaticano II vengono vigorosamente rintuzzati in nome di una indiscutibile e monolitica continuità autoritaria; la polemica contro la modernità, senza la quale saremmo ancora al Medio Evo, è costante; l’ecumenismo, almeno con noi protestanti, è in stallo, perché “non siamo chiese”.
La storia dovrebbe insegnarci che rinfocolare l’identitarismo cristiano puntando su una verità monolitica eretta contro tutto ciò che non vi si adegua e sulla riaffermazione, apologetica e trionfalistica insieme, di una visione organica della propria storia, comporta inevitabilmente derive anti-ebraiche. Si comincia con gli ebrei, ma poi ce n’è per tutti. Ne vedremo e sentiremo ancora.

(2 febbraio 2009)



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