Dalla pandemia alla transizione. Scenari per un cambiamento sociopolitico
Daniele Conversi*
Errori immensi, e forse irreparabili, sono scaturiti dalle scelte politiche globali negli ultimi quarant’anni. Due tra questi sono intrinsecamente legati tra loro: la distruzione dell’ambiente, senza precedenti nella storia umana; e il crescente divario tra ricchi e poveri, o meglio, tra una minuscola élite globale di super-ricchi e una massa di ceti impoveriti, diseredati e destituiti.
In quest’articolo, spiego perché questi due fattori sono interconnessi e come tutti gli scenari possibili di ricostruzione post-pandemica debbano tenerne conto. Il divario economico va considerato un fattore centrale nelle molteplici catastrofi a cui stiamo assistendo: non solo la pandemia e il cambiamento climatico, ma anche le parallele crisi ambientali, come la contaminazione causata dalla microplastica, la sesta estinzione di massa e la ancor più pericolosa e nefasta perdita della biodiversità.
Affrontare la diseguaglianza
In modo simile al cambiamento climatico, la pandemia ci è apparsa in un primo momento come una grande livellatrice. Sembrava colpire tutti senza discriminazioni. Ma sia il cambiamento climatico, sia la pandemia hanno anche dimostrato come una stessa tragedia colpisca in realtà di più i più vulnerabili.
Un rapporto di Oxfam pubblicato poco prima dell’inizio del lockdown[1] denunciava come un numero irrisorio di miliardari (2.153) abbia accumulato più ricchezza del 60 per cento della popolazione del pianeta (4,6 miliardi) e come il numero di miliardari sia raddoppiato nell’ultimo decennio. Una disparità che riguarda anche il genere: i 22 uomini più ricchi del mondo (i primi 12 tutti statunitensi, tranne uno) hanno più ricchezza di tutte le donne d’Africa messe insieme. In Italia, tre super-miliardari possiedono più capitale di 6 milioni di italiani, il 10 per cento della popolazione.
La situazione in questo periodo è assai peggiorata negli Stati Uniti, dove, tra il 18 marzo e il 10 aprile, mentre il tasso di disoccupazione saliva al 15 per cento (cifra rapidamente aumentata in seguito), la ricchezza combinata della élite iper-miliardaria americana aumentava di circa il 10%, con ben 282 miliardi di dollari in più[2]. Tutte le attività produttive a loro connesse contribuiscono al cambiamento climatico alimentando i consumi di massa e una ossessione per l’acquisto di beni di consumo. Con un aumento del fatturato di circa 25 miliardi di dollari dal 1° gennaio al 15 aprile 2020, l’impennata di ricchezza di Jeff Bezos non ha precedenti nella storia finanziaria moderna[3]. La massiccia chiusura e il collasso dei piccoli negozi e commerci non è quindi unicamente conseguenza della pandemia.
Come arginare tale crescente divario prima che raggiunga proporzioni ancora più preoccupanti? Quali politiche di lotta alla disuguaglianza potrebbero essere adottate? Le proposte di Oxfam non sono forse rivoluzionarie: si suggerisce che l’1% più ricco paghi lo 0,5% di tasse in più sulla propria ricchezza nei prossimi 10 anni. Ciò consentirebbe di «creare» 117 milioni di nuovi posti di lavoro.
Ma questi non saranno altro che palliativi se non si affronta al contempo l’emergenza climatica, problema ancora più complesso, devastante e causa di nuove povertà e future instabilità[4]. I due problemi sono legati anche per via della enorme disparità tra le élite produttivistiche e le prime vittime dell’emergenza del clima[5]. Sebbene il cambiamento climatico non conosca frontiere, i gruppi più immediatamente vulnerabili tendono a essere i più poveri e marginalizzati[6]. Inoltre, le popolazioni più colpite spesso non sono partecipi dell’economia di mercato, bensì vivono in nicchie scarsamente collegate ai flussi della globalizzazione neoliberista o ne costituiscono la manodopera a basso costo. I Tristi Tropici di Levi Strauss sono diventati i Tropici del caos dell’Antropocene[7].
Ma tutto ciò cosa ha a che fare con le pandemie e quindi con il mondo che si vuole costruire mentre saremmo costretti a convivere con questa minaccia? Più di quanto si possa pensare.
Virus e cambiamento climatico
Per il teorico «tecno-utopico» Jeremy Rifkin, «tutto ciò che ci sta accadendo deriva dai cambiamenti climatici […]. Negli ultimi anni abbiamo avuto altre pandemie e sono stati lanciati allarmi circa il fatto che avrebbe potuto accadere qualcosa di molto grave. L’attività umana ha generato queste pandemie perché abbiamo alterato il ciclo dell’acqua e l’ecosistema che mantiene l’equilibrio sul pianeta. Le catastrofi naturali (pandemie, incendi, uragani, inondazioni) si susseguiranno perché la temperatura sulla Terra continua a salire e perché abbiamo alterato il suolo. Ci sono due fattori che non possiamo non considerare: il primo è che i cambiamenti climatici causano movimenti della popolazione umana e di altre specie; il secondo è che la vita animale e quella umana si avvicinano ogni giorno di più come conseguenza dell’emergenza climatica, quindi i rispettivi virus viaggiano insieme»[8]. Se il clima impazzito è il fattore chiave, affrontarne origini e conseguenze dovrà essere la priorità assoluta in ogni transizione post-pandemica[9].
Nonostante Rifkin, con la sua fiducia nella tecnologia, abbia proposto altrove un «capitalismo sociale» più che soluzioni radicali, è bene considerare le sue recenti asserzioni[10]. Due fattori sono qui associati al cambiamento climatico: le migrazioni di massa e la crescente possibilità di zoonosi (trasmissione del virus da animali a esseri umani) derivata dall’ urbanizzazione, dalla deforestazione, dal commercio di animali selvaggi e dalla perdita di biodiversità.
Sul primo fattore c’è ormai un’abbondante letteratura e nuovi termini si diffondono, come climigrazioni (climigration), vale a dire le migrazioni dovute alla crisi climatica, identificando nuovi attori sociali, quali i rifugiati ambientali, gli esiliati dal clima, i migranti forzati, i rifugiati ecologici e i «futuri rifugiati ambientali» o environmental-refugee-to-be[11]. È stato inoltre dimostrato che l’aumento delle richieste di asilo risponde sistematicamente alle fluttuazioni di temperatura[12]. I profughi ambientali sono già una realtà che preme alle porte[13].
Proposte e rischi
La pandemia di coronavirus ha portato molti paesi ad adottare misure drastiche, come le quarantene di massa. Dobbiamo porci però una domanda: una volta che le atti
vità riprenderanno a ritmi più sostenuti, sarà auspicabile tornare allo status quo ante?
La risposta può emergere dal fulcro delle vivaci discussioni che ci sono state fino al giorno prima della crisi pandemica. Mobilitando milioni di manifestanti, le marce per il clima del settembre 2019 e le iniziative di Fridays for Future contenevano già embrionicamente programmi di rilancio nazionali e internazionali incentrati sull’abbandono dei combustibili fossili e per uno sviluppo realisticamente sostenibile. La principale di tali proposte si basava sull’idea di un Green New Deal, fulcro intorno al quale è stato articolato un insieme di progetti a livello locale, nazionale ed europeo.[14] Parallelamente, nel 2019 sono usciti due libri divulgativi sul tema, rispettivamente di Naomi Klein e Jeremy Rifkin[15].
Va notato che sia il keynesianismo sia il Green New Deal erano già stati invocati in seguito alla crisi finanziaria del 2008-9 con scarso successo, senza che poi siano stati tradotti, come sappiamo, in un’alternativa al modo di produzione iper-capitalistico[16]. Inoltre, l’aggettivo «verde» è stato da tempo apposto a iniziative altamente insostenibili, come la «rivoluzione verde» promossa dall’industria alimentare tramite il massiccio aumento di pesticidi, il «capitalismo verde» organizzato intorno al greenwashing e stunt pubblicitari su sedicenti prodotti eco-friendly, o la «Green Economy». In nessuna di queste proposte il progetto per una società più giusta gioca, a mio avviso, un ruolo sufficiente.
La recessione non ha portato, come sappiamo, a un esame del vecchio dogma liberista, ma a una sua riaffermazione a tutto campo a spese dei ceti più deboli. Lo Stato sociale è stato ulteriormente eroso. La differenza tra destra e sinistra, tradizionalmente centrata sull’aspirazione alla giustizia sociale, ne è uscita appiattita e de-legittimata.
Un altro fattore va comunque considerato più in profondità, in quanto legato alla circolazione dell’informazione necessaria in tempi di emergenza.
Pandemie e infodemie
Con il nazionalismo dilagante in tempo di pandemia, ci troviamo di fronte a un ostacolo aggiuntivo, la cosiddetta infodemia che ha accompagnato, e che accompagnerà, l’evolversi della pandemia, come avverte The Lancet[17]. Messe di fronte già da tempo alla necessità di scelte radicali, le élite produttiviste hanno spesso indugiato in campagne di disinformazione e fake news, in cui primeggia la negazione del cambiamento climatico.
La lunga discesa verso il negazionismo è stata sviscerata come in un romanzo dell’orrore dal giornalista del New York Times Nathaniel Rich nel suo Losing Earth: A Recent History[18]. Le sue origini possono essere datate già dalla fine degli anni Settanta. Durante gli anni Ottanta e Novanta, il produttivismo neoliberista si è poi scatenato a seguito della de-regolamentazione reaganiana con la massiccia riduzione dei residui elementi di welfare e l’erosione della già debole regolamentazione ambientalistica.
La sistematica disseminazione di falsità via internet è comunque un fenomeno più recente. La proliferazione della cosiddetta «post-verità» risale perlomeno ai falliti accordi per il clima di Copenaghen (COP 15) del 7-18 dicembre 2009, quando da Russia, Stati Uniti e altri paesi partì un fuoco incrociato di attacchi diffamatori contro la scienza del clima. La campagna di notizie false era allora in fase sperimentale ma, amplificata dai media di regime in vari paesi, riuscì a stigmatizzare e ledere forse irrevocabilmente il marchio scientifico. Da allora ideologie di tipo terrapiattista hanno dilagato negando l’evidenza scientifica dai pulpiti mediatici della destra neoconservatrice o ultra-nazionalista. Come sappiamo, questo tipo di propaganda ha trionfato al punto da determinare il risultato del referendum per la Brexit e l’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
Punti critici
La rapida diffusione di notizie false può però facilmente dare luogo a fenomeni di intolleranza. Durante questa delicata fase di lento ritorno alla presupposta «normalità», possono emergere quindi attacchi a capri espiatori, minoranze, immigrati, rifugiati, eccetera. In Cina, l’affievolirsi della quarantena ha fatto emergere un profondo razzismo contro gli africani radicato a livello locale. In India, l’intolleranza verso i musulmani, contenuta sotto il lockdown, si prepara a riesplodere. In Messico, l’odio è esploso contro gli stessi lavoratori sanitari, medici e infermieri. E negli Stati Uniti, ci si può aspettare anche di peggio, almeno fino a quando Trump rimarrà insediato al potere: la Casa Bianca ha a lungo accusato la Cina di essere la principale responsabile della pandemia, mentre imprese americane e interi Stati come il Missouri hanno fatto causa al governo cinese. Al tempo stesso, cittadini statunitensi di origine asiatica sono stati intimiditi, insultati, e attaccati quali portatori del «virus cinese». Nell’illogico esorcismo di innalzare barriere e bandiere contro il virus, Trump aveva già identificato i latinos come veicoli di contagio, i nuovi «untori». Ingiustizia suprema e paradossale, poiché da un’élite viaggiatrice globalizzata l’epidemia si è diffusa rapidamente lungo la scala sociale fino a colpire latinos e afroamericani.
Si dovrà quindi fare i conti con una prospettiva temibile: l’ideologia dominante del XX secolo, il nazionalismo, si sta trascinando oltre, invadendo il «territorio» del XXI secolo. Ma non si tratta più semplicemente di un cambio di secolo, e neppure di millennio, si tratta dell’ingresso in una nuova epoca geologica, l’Antropocene, che rischia di diventare la più breve mai esistita[21]. Se ciò dovesse accadere, il precedente secolo, il secolo del genocidio e della guerra totale, potrà apparire nel suo complesso una passeggiata, il preludio a qualcosa di ben più spaventoso.
L’accelerazione della transizione ecologica è conditio sine qua non per un cambiamento socio-politico che assicuri la sopravvivenza delle prossime generazioni. Una transizione che dovrà andare ben al di là delle energie rinnovabili. Dovrà comprendere l’adozione di un insieme di stili di vita sostenibili e di misure fiscali e finanziarie per promuovere o tutelare i lavori più sostenibili e meno contaminanti senza penalizzare le classi medie e i professionisti. Dovrà a tale scopo comprendere anche una dimensione redistributiva sulla linea dei quanto proposto da Thomas Piketty[22].
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L’esperienza della pandemia ci ha dato l’opportunità di toccare con mano la limitazione della libertà di movimento. Ma può essere vista anche come stimolo per possibili innovazioni a tutto campo. Sarà necessario contrastare le preponderanti pressioni dell’industria dei combustibili fossili per riportare tutto allo status quo ante, al disordine primario iper-capitalista. Il nemico è ben visibile: i massicci finanziamenti del governo di Trump all’industria aeronautica, quelli del governo inglese alle compagnie di aviazione come easyJet, o misure simili in procinto di essere adottate in vari paesi, Italia inclusa.
Tale opposizione andrà articolata in un movimento, possibilmente accompagnato da un partito, che coniughi ecologia e socialismo nella sostanza più che nel nome. I vocaboli e concetti di ieri potrebbero infatti presto diventare maglie strette in cui fatichiamo ad entrare. Sarà necessario un nuovo vocabolario, nuovi concetti, nuovi modi di descrivere quello che finora è stato indescrivibile e inimmaginabile, come ci ricorda lo scrittore indiano Amitav Ghosh[23]. Anche la nozione di «cosmopolitica» andrebbe ricondotta dalle sue basi kantiane verso ciò che può essere identificato come «cosmopolitica della sopravvivenza» (survival cosmopolitanism)[24]. La sfida non è più solamente ecologica e sociale, ma per la continuità della vita sul pianeta.
* Ikerbasque, Basque Foundation for Science, Bilbao, Spain; Departamento de Historia Contemporánea, University of the Basque Country UPV/EHU, Leioa, Spain.
[1] Oxfam, Time to Care: Unpaid and underpaid care work and the global inequality crisis, Briefing papers, 20/1/2020. La lista dei miliardari qui utilizzata è il Bloomberg Billionaires Index del 6 Maggio 2020. Tale concentrazione di miliardari in un solo paese può anche essere imputata al fatto che gli Stati Uniti sono da considerarsi «paradiso fiscale», almeno a livello dei singoli Stati (O. Bullough, “The great American tax haven: why the super-rich love South Dakota”, The Guardian, 14/11/2019; T. Ganos , “World’s Best Tax Haven: The United States”, Forbes, 19/9/2019; J. Drucker, “The World’s Favorite New Tax Haven Is the United States”, Bloomberg Businessweek, 27/1/2016.
[2] C. Collins, O. Ocampo, S. Paslaski, Billionaire Bonanza 2020, Washington DC, Institute for Policy Studies, 23/4/2020, pp. 10-12.
[3] Capitale corrispondente, al momento dell’indagine, a più del prodotto interno lordo dell’Honduras per l’intero 2018 (23,9 miliardi di dollari). La concentrazione del commercio mondiale nelle mani di un solo uomo è un fatto senza precedenti storici.
[4] Una recente ricerca (8 maggio 2020) ha rivelato migliaia di «eventi estremi», tali da mettere a repentaglio la sopravvivenza umana: C. Raymond el al., "The emergence of heat and humidity too severe for human tolerance", Science Advances, 2020.
[5] Il produttivismo, growthism in inglese, è caratterizzato da un’enfasi sulla crescita economica come bene supremo, assoluto, e a tutti i costi, anche della vita stessa. Si veda D. M. Warner, Daniel, “Post-Growthism: From Smart Growth to Sustainable Development”, Environmental Practice, 8, 3, 2006, pp. 169-179; R. Douglas, “Growthism and the Green Backlash”, The Political Quarterly, 78, 4, 2007, pp. 547-555.
[6] C. Xu, T. A. Kohler et al., “Future of the human climate niche”, Proceedings of the National Academy of Sciences, 4/5/2020.
[7] C. Lévi-Strauss, Tristi tropici. Il Saggiatore, Milano 1968; C. Parenti, Tropic of Chaos: Climate Change and the New Geography of Violence, Nation Books New York 2011.
[8] J. Rifkin, “Todas mis esperanzas están depositadas en la generación milenial”, Telos, 113, 2020.
[9] D. Conversi, L. Moreno, “Clima y virus: Todo tiene sentido”, Público, 29/3/2020.
[10] Si veda J. Rifkin, The Green New Deal. Why the Fossil Fuel Civilization Will Collapse by 2028, and the Bold Economic Plan to Save Life on Earth, St. Martin’s Press, New York 2019.
[11] T. Ketola, “Climigration: How to plan climate migration by learning from history?”, Global Environment, 8(2), 2015, pp. 410-445; T. Matthews, R. Potts, “Planning for climigration: a framework for effective action”, Climatic Change, 148 (4), 2018, pp. 607-621.
[12] A. Missirian, W. Schlenker, “Asylum applications respond to temperature fluctuations”, Science, 358 (6370), 2017, pp. 1610-1614.
[13] M. Correggia, “Profughi ambientali: un’emergenza che è già realtà”, MicroMega, n. 2/2020.
[14] Il testo in italiano del Green New Deal europeo è disponibile al seguente link: bit.ly/2ZKnW0R. Sul ruolo delle città nella transizione energetica post-pandemica, si veda la dichiarazione congiunta del 7 maggio 2020 firmata dai sindaci di alcune tra le maggiori città del mondo per il lancio della «Global Mayors COVID-19 Recovery Task Force»: bit.ly/36CBzRb.
[15] N. Klein, On Fire: The (Burning) Case for a Green New Deal, Allen Lane, London 2019; e J. Rifkin, op. cit.
[16] Come illustrato in T. Jackson, Prosperity Without Growth: Economics for a Finite Planet, Routledge /Earthscan, Abingdon, Oxon/ London 2011, cap. 7, pp. 103-119.
[17] J. Zarocostas, “How to fight an infodemic”, The Lancet, 395(10225), 2020, p. 676.
[18] N. Rich, Losing Earth: The Decade We Could Have Stopped Climate Change, MCD/Farrar, Straus and Giroux, New York 2019.
[19] Ciò è ovviamente rischioso, ma ha forse permesso alla scienza di uscire dalle proprie proverbiali torri d’avorio. Il rischio è che possano circolare articoli con informazioni distorte o persino false prima che siano formalmente ritirati (sebbene la politica dei siti accademici sia di ritirare articoli che non rispondano a criteri rigorosamente scientifici).
[20] In tale processo anche i commenti dei revisori anonimi diventano parte del processo di comunicazione e condivisione della conoscenza necessarie ad avanzare in ogni settore.
[21] D. Conversi, L. Moreno, “Antropocene, il nuovo mondo che finisce”, , 22/7/2017.
[22] T. Piketty, Capital and Ideology, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 2020.
[23] A. Ghosh, La grande cecità: il cambiamento climatico e l’impensabile. Neri Pozza, Vicenza 2017.
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