Dalla parte di monsignor Casale

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di Beppe Del Colle

Le parole di monsignor Giuseppe Casale sono del tutto naturali per chiunque, a qualunque livello di società e di cultura, ma anche di religione, concordi con lui sul principio che “Dio è amore”, titolo della prima enciclica di Benedetto XVI. Per chiunque, e comunque la pensi a proposito della morte di Eluana Englaro. La quale non meritava certo l’atroce, disumano conflitto di opinioni che si è svolto intorno al suo letto, mentre lei moriva in quel modo, vittima in primo luogo di una tecnica sanitaria che sembra divertirsi cinicamente per offrire sempre nuovi, sconvolgenti dilemmi etici a proposito della vita e, per l’appunto, della morte.
Qualcuno forse ricorderà che il 21 gennaio scorso, nel pieno della polemica giunta ormai al livello delle responsabilità ufficiali (la presidente della regione Piemonte si opponeva alla decisione del collega presidente della Lombardia di rifiutare la collaborazione degli ospedali pubblici della sua regione alla sospensione dei trattamenti nutrizionali alla donna in coma) dissi a Gian Guido Vecchi che mi intervistava per il “Corriere della Sera” che giudicavo quella sospensione peggio dell’eutanasia alla quale l’aveva paragonata il cardinale Poletto, arcivescovo di Torino. Era “peggio” perché, sostenevo, “non ci sarebbe nulla di “dolce” nella morte di Eluana. Chi di noi può sapere cosa possa sentire? Sarebbe una lenta condanna a morte” (non fu poi così lenta, come abbiamo visto…).
Perché ricordo quella frase, a cui facevo seguire l’opinione che, comunque, “rivolgere al padre di Eluana qualsiasi accusa o rimprovero sarebbe disumano”? Proprio perché non c’è altra risposta a drammi come quello che l’amore. Cioè il non desiderare in nessun modo il male di una persona, anche quello di farla morire di fame e di sete, sia pure con il sostegno di una legge che accetti il suo espresso desiderio di rifiutare, in quei casi, ogni accanimento di qualsiasi genere, anche quello del solo nutrimento.
Posizione difficilissima da sostenere, la mia, si può onestamente pensare. Certo, non c’è persona saggia e umana, e soprattutto cristiana, che non stia dalla parte del vescovo Casale nel suo rifiutare i toni “chiassosi e intemperanti” usati da molti, da una parte e dall’altra, in quei giorni. Ma proprio per il mestiere che faccio, e per gli ambienti con i quali sono professionalmente più a contatto, ma anche per la conoscenza intima che ho di un caso analogo, dentro la mia stessa redazione, posso dire che se amore c’era sicuramente intorno a Eluana, e prima di tutto da parte dei suoi genitori, amore c’è intorno ad almeno altre tremila persone, soltanto in Italia, che vivono inconsapevolmente, spesso da anni, come lei, e nessuno si rivolge ai giudici per ottenere il consenso della legge a interromperne l’idratazione e la nutrizione, se sono queste a mantenerle in vita.
Se c’è una conclusione e una “morale” che penso si possa trarre da queste vicende umane, in cui l’amore recita una parte importantissima e decisiva, è che comunque venga redatta una legge in materia è fatalmente esposta a una debolezza: quella di non essere inoppugnabile, con la ragione o con i sentimenti. Ci sarà sempre chi la giudicherà negativamente, anche senza essere esperto in diritto; e l’ombra dell’eutanasia ci sarà pur sempre, come speranza o come minaccia. In quella intervista ricordavo a Gian Guido Vecchi che per un credente “il corpo umano è tempio dello Spirito santo e non ci appartiene” (prima Lettera di San Paolo ai Corinzi).
Ma non posso sottrarmi al dovere di ricordare, come ha suggerito sempre sul “Corriere della sera” il filosofo Giovanni Reale (cattolico, amico di Papa Ratzinger da sempre) che è stato proprio Benedetto XVI, quando da cardinale scrisse il “Catechismo”, a sostenere autorevolmente che certe cure particolarmente gravose e senza esiti vantaggiosi possono “essere omesse lecitamente e perfino doverosamente. Il malato ha diritto di morire con dignità”. Si può tuttavia continuare a discutere all’infinito se idratazione e alimentazione artificiale sono o non sono “cure”. Monsignor Casale pensa di sì, altri pensano di no. Io, onestamente, non so andare più in là di quanto ho scritto fin qui.

(25 marzo 2009)



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