Damiano Zito

MicroMega

Studente di Ingegneria, Università La Sapienza di Roma

1) Una delle accuse che vengono rivolte dai sostenitori della “riforma” Gelmini (ammesso che di riforma si possa parlare) al movimento di protesta è quella di rappresentare interessi corporativi ed esprimere istanze conservatrici.
E’ una critica fondata secondo te? Se si/no perché? Qual è l’idea di scuola e di un’università che questo movimento esprime? Quali sono le direttici di riforma che – se pur confusamente, come non potrebbe essere diversamente visto il carattere multiforme e composito del movimento – questa protesta tende a delineare?

Premesso che questa è tutto tranne che una riforma, penso che la critica verso il movimento sia del tutto infondata perché chi lancia accuse del genere non ha compreso che questo movimento nasce dal malessere comune che specialmente noi giovani viviamo e sentiamo quotidianamente nel Paese. Non ha quindi capito che chi scende in piazza lo fa non solo per battersi contro la legge 133 (legge di bilancio varata dal ministero del tesoro e non dell’istruzione), ma anche e soprattutto per il proprio futuro e quello dei fratelli e/o sorelle e cugini/e. Per quanto riguarda il modello, senza scendere nel dettaglio si pensa ad una università che davvero sia accessibile a tutti, insomma si chiede di applicare sul serio quanto dettato dalla nostra Costituzione agli articoli 33 e 34. Lo stesso vale per la scuola.

2) Al di là delle strumentali posizioni sostenute dal governo, è oggettivamente difficile difendere la scuola, ma soprattutto l’università, così come sono oggi. Quest’ultima è il regno della gerontocrazia, dell’immobilismo, del feudalesimo accademico, della totale mancanza di meritocrazia. Quali sono secondo te le linee su cui dovrebbe essere impostata una “riforma organica” del sistema formativo e della ricerca?
Quali provvedimenti concreti si potrebbero adottare per migliorare le cose? Es. diverse regole per i concorsi, per l’assegnazione dei fondi, revisione delle lauree 3+2 e del sistema dei crediti, commissioni internazionali per la ricerca, nuovo sistema per la definizione degli insegnamenti, ecc…
Su questi temi sarebbero auspicabili proposte dettagliate.

In effetti è difficilissimo difendere così com’è la nostra università, non tanto la scuola, ma quello accademico è ormai divenuto una sorta di mondo dove decidono tutto i cosiddetti baroni, e questo non sta bene. Bisogna davvero dirigersi verso un sistema più meritocratico, senza dubbio, e soprattutto molto più trasparente. Molti degli sprechi nominati dal ministro Gelmini ci sono, ma anche qui bisogna essere critici, e ricordare che la moltiplicazione dei corsi è una diretta conseguenza della riforma Moratti, quella del 3+2 che prevede lo “spezzettamento” degli esami, spezzettamento poi ridotto con la riforma Mussi, non dimentichiamo poi che molte sedi “distaccate” sono state volute proprio da politici per favorire qualche parente o amico. Ad oggi non tutti i dipartimenti delle facoltà hanno adottato un nuovo regolamento didattico che miri all’accorpamento degli esami, come quello Mussi, quindi sì, c’è bisogno di un nuovo sistema di definizione per gli insegnamenti e dei crediti, perché quello del 3+2 ha creato un sistema didattico con esamini, fatti a moduli e di conseguenza c’è chi si ritrova a sostenere esami con parti già coperte da esami sostenuti in precedenza. In questo modo si rendono del tutto inutili alcuni di questi insegnamenti che, ripeto, spesso si ripetono tra loro, e hanno l’unico vantaggio di essere fonte di guadagno per il barone di turno che può assegnare più cattedre. I dati OCSE dimostrano che nonostante i pochi fondi destinati ai centri di ricerca e alle università, i risultati ottenuti in termini di qualità ci mettono tra i primi posti con i Paesi avanzati. Sempre i dati OCSE dimostrano che il fondo di finanziamento ordinario deve essere aumentato e non diminuito. Inoltre il trattato di Lisbona prevede che i Paesi firmatari in insegnamento superiore e ricerca devono destinare un fondo pari al 3% del P.I.L.,noi invece investiamo solo l’1%, quindi credo che questo sia un altro passo indispensabile. Ovviamente i fondi vanno poi destinati in maniera “intelligente” direi, per quanto riguarda il livello di istruzione quello deve essere il più alto possibile e il più equo in tutto il territorio nazionale. Per la ricerca i fondi vanno destinati in base al progetto con criteri meritocratici, senza mai pensare che la ricerca a breve termine sia migliore di quella a lungo termine. Con questo periodo storico di crisi,bisogna indirizzare la politica verso il mondo scolastico, accademico e della ricerca. Questi sono il cuore pulsante di ogni Paese.

3) Vista l’assoluta trasversalità di questo movimento, che riunisce praticamente tutte le figure del variegato sistema formativo italiano (studenti, insegnati, maestre, dottorandi, ricercatori precari, professori di ogni ordine e grado) è possibile che esso trovi la forza e la “maturità politica” per districarsi tra interessi che possono rivelarsi anche molto contrastanti tra loro se posti di fronte a proposte concrete di riforma? Ogni seria riforma – e per essere seria non può che porsi come obiettivo anche quello di rimescolare rapporti di forza consolidati da decenni – tende a toccare interessi molto concreti. Così come si è configurato questo movimento, può fare i conti con queste sfide? Ne è all’altezza? Quali interessi corporativi è disposto a colpire?

Penso proprio di sì, la maturità politica che sono riuscito a tastare in questo periodo di protesta è davvero tanta; la riforma sta nascendo in questi giorni e ognuno sta dando il suo contributo nonostante qualcuno si trovi per la prima volta a dire la sua e a fare proposte concrete. Per fare questo si sono creati dei gruppi di lavoro, che analizzano il sistema universitario e della ricerca, con tematiche che vanno dalla didattica, all’assegnazione delle cattedre, dei corsi, dei fondi,dei crediti, il tutto con la collaborazione che avviene tra studenti, professori, ricercatori, ecc. La riforma mira a smontare il baronato, il precariato e a migliorare il l’università e la ricerca, in termini di qualità, innovazione, ecc.

4) Il governo – scottato dal crollo dei consensi che la protesta universitaria ha provocato – sembra voler procedere con maggiore prudenza nella riforma dell’università. Dopo una prima fase di straordinaria mobilitazione, riuscirà il movimento a mantenere alta la tensione e il coinvolgimento delle persone? Quali sono gli obiettivi di medio termine che dovrebbe porsi? Come dovrebbe procedere la mobilitazione? Quali idee concrete possono essere messe in campo per proseguire la lotta?

Il Governo questa volta si è trovato spiazzato all’inizio e quando ha visto che il movimento ha continuato a manifestare il dissenso unendo le proteste della scuola con quelle dell’università ha ben pensato di andare cauto. La loro però è una mossa con la speranza che le acque si calmino, che la protesta si fermi, ma ciò non avverrà perché questa non è stata una sola protesta per dire NO. Come breve termine siamo riusciti ad ottenere uno stop temporaneo, ma non è quello che vogliamo. L’obiettivo almeno a medio termine è quello di un confronto tenuto dal ministro dell’Istruzione, con tutto il mondo accademico (studenti, professori , ricercatori,ecc.), poi far u
scire una vera riforma condivisa da tutti. Ciò non può avvenire per decreti leggi, e quindi senza un confronto con chi l’università, la scuola e la ricerca la vive tutti i giorni.

5) Si è discusso molto sulla presunta “apoliticità” del movimento. E’ una lettura realistica e soddisfacente secondo te? Secondo te si tratta veramente di un movimento apolitico o forse è più che altro un movimento “apartitico”? Quali aspetti – se ve ne sono – ne determinano la “politicità”? Questo superamento delle tradizionali collocazioni – se c’è stato – ha aiutato il movimento a diffondersi o può essere una sua fonte di debolezza quando dalla protesta si passa alla proposta?

All’inizio della protesta sentivo dire “sono politicizzati!” o qualcosa del genere. Mi dovrebbero spiegare cosa vuol dire questo termine. Il giusto e più appropriato termine è “apartitico”, io e quasi tutto il movimento, diffida da chi prova a cavalcare questa “Onda”. Quando la gente scende in piazza e chiede l’abolizione di una legge palesemente incostituzionale, e chiede un confronto vero sui determinati temi, penso che sia vera politica. Cambiano le forme, decisamente diverse da quelle del bon ton tutto italiano, ma la sostanza è politica vera. La linea di questo Governo invece è stata quella del cosiddetto “pugno di ferro”, lo ha fatto con Alitalia e anche con l’università,e ancora continua a farlo. Mi spiego: anche se la gran parte del mondo accademico, dai rettori ai più miseri studenti, esprimono parere contrario alle leggi emanate, il Governo continua ugualmente, infischiandosene.

6) E’ condivisibile che si ricerchi un’intesa anche con organizzazioni studentesche esplicitamente di destra in nome dell’unità della protesta studentesca oppure no? La partecipazione di queste organizzazioni a manifestazioni pubbliche dovrebbe essere incoraggiata, tollerata, oppure concretamente osteggiata?

Personalmente sono una persona aperta al dialogo con chiunque, ma non con chi usa la violenza per esprimere il proprio parere. Conosco ragazzi di destra che comunque hanno fino ad ora manifestato contro la legge 133, ragazzi che però non sono facenti parte di nessuna organizzazione studentesca. Le organizzazioni in effetti, personalmente le diffido,perché hanno cercato di delegittimarci dicendoci di stare dalla parte dei baroni. La loro linea sotto sotto, è quella di sostegno a quella del Governo, e ciò è più che comprensibile visto che queste associazioni sono “partitiche” e, appunto, di destra. Riassumendo, io ho già coinvolto ragazzi che hanno votato anche questo governo, ma non simboli o sigle. I partiti più stanno lontano meglio è, altrimenti la protesta cambia carattere. La loro partecipazione nelle manifestazioni, è da osteggiare. Loro vengono con una bandiera rappresentante un partito. Ricordo che il nostro movimento è pacifico e non accettiamo che gruppi di persone che usano la violenza come “mezzo di comunicazione” possano dividere la protesta.

7) Negli ultimi anni il nostro Paese è stato caratterizzato da una grande diffusione di movimenti (da quello no-global, ai girotondi, al movimento per la pace, alla battaglia sindacale per la difesa dell’articolo 18, alle vertenze territoriali come il No-Tav e No-Dal Molin, ecc.). Colpisce però la discrepanza tra la straordinaria capacità di mobilitazione, di fare “massa critica” anche ad un livello sociale e culturale diffuso, e la scarsissima “capitalizzazione politica” che ne è seguita. Oggi siamo addirittura l’unico Paese europeo a non avere una riconoscibile rappresentanza di sinistra nelle istituzioni rappresentative. Il problema dello “sbocco politico” è un problema che questo grande movimento nato nelle scuole e nelle università si deve porre? Oppure va privilegiata la totale “autonomia” del movimento? Quali rapporti possono essere instaurati con le forze politiche esistenti? E se quelle esistenti non offrono possibilità di un’interlocuzione soddisfacente, può essere utile e realistico porsi l’obiettivo di una organizzazione politica nuova, che superi anche i limiti del “modello partito” tradizionale, o più modestamente di liste elettorali di “società civile”, senza partiti, nelle diverse occasioni?
Insomma, il problema della rappresentanza è un problema che questo movimento – che si definisce “irrappresentabile” – dovrà prima o poi porsi?

Quello della rappresentabilità è un problema già posto, ma poco discusso. Per quanto mi riguarda con le forze politiche esistenti il rapporto interlocutorio trae sempre pochissime soddisfazioni, e penso che anche se ci fosse la presenza di partiti di sinistra scomparsi dal Parlamento, il risultato non sarebbe cambiato. Ciò non toglie che siamo in un Paese in difetto democratico secondo il mio punto di vista. In ogni caso sono sempre più propenso a movimenti di organizzazione politica nuova, svincolata dalla vecchia burocrazia politica. Tempo ricevetti una proposta da parte da un “vecchio” politicante del PD, di iniziare la mia carriera politica dentro l’università con una loro organizzazione studentesca, il tutto per poi entrare a far parte di qualche amministrazione comunale e così via fra 20 anni chissà, al Parlamento. Questi vecchi schemi, vanno rifiutati, come feci, perché non fanno altro che avvantaggiare i soliti volponi che della politica ne fanno un mestiere mentre dovrebbe essere una “prestazione civile” che sottrae anche tempo alla propria attività principale. Rimane purtroppo il tema finanziamento a queste organizzazione di società civile, e finché non si elimina questo nodo è difficile smontare questa attuale forza politica intesa in linea generale come “casta”. Spesso infatti si sceglie la via dei partiti tradizionali perché “hanno i soldi”.

(25 novembre 2008)



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