Decreto “Rilancio”: un buon inizio, ma servono altri passi

Il Gruppo della Moneta Fiscale

(Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Stefano Sylos Labini)

Il Decreto “Rilancio” ha introdotto vari meccanismi di assegnazione di crediti d’imposta, cedibili ai fornitori o, in alternativa, negoziabili contro euro sul mercato finanziario. E di altri ancora si sta parlando. Si va dall’Ecobonus 110% per le ristrutturazioni immobiliari, al Bonus Turismo, agli indennizzi per affitti e canoni pagati da attività commerciali che hanno ridotto il fatturato nel periodo più acuto dell’emergenza Covid.

Gli interventi del Decreto “Rilancio” sono chiaramente ispirati al Progetto . Un progetto ben noto ai lettori di MicroMega: parecchi interventi del nostro Gruppo sono stati ospitati da questa testata, che ha anche pubblicato nel 2015 un intero dedicato al tema. (Si veda anche l’Appendice in coda a quest’articolo.)

Quanto proposto nel Decreto non è ancora un’implementazione completa del Progetto. In questa fase, si sta puntando soltanto a far circolare le detrazioni fiscali già esistenti, le dimensioni degli interventi previsti sono limitate e vanno estese, potenziate, migliorate sul piano operativo, così come vanno messi a punto i meccanismi di cessione e circolazione dei crediti d’imposta. Al riguardo, abbiamo di recente svolto alcune considerazioni tecniche che richiederanno valutazioni e scelte precise.

Tuttavia, le misure adottate nel Decreto sono "teste di ponte" molto significative e costituiscono un importantissimo passo in avanti che può aprire la strada all’emissione di un nuovo titolo di Stato non di debito – il Certificato di Compensazione Fiscale o CCF – che dà diritto ad ottenere uno sconto sulle tasse dopo due anni dall’emissione e viene assegnato senza contropartite e cioè è creato ex novo.

L’operazione si regge sulla convinzione che in una fase di tracollo economico come quella attuale il moltiplicatore della spesa addizionale (resa possibile dall’emissione e diffusione del titolo) sarà sufficientemente elevato da garantire una crescita del reddito e quindi del gettito fiscale tale da compensare le minori entrate che deriveranno dall’uso degli sconti fiscali. In altri termini la manovra con la Moneta Fiscale è in grado di autofinanziarsi. La manovra inoltre migliora la competitività delle imprese e può aver luogo senza gravare sull’equilibrio dei conti esteri del Paese.

Può sembrare un paradosso che questi strumenti siano in corso di valutazione e introduzione da parte di un governo pro-UE. Ma non deve stupire: il Progetto Moneta Fiscale è nato appunto dalla constatazione che la rottura dell’euro, ammesso pure che si riesca a pilotare, sarebbe una manovra troppo complessa e controversa, tanto sul piano operativo quanto su quello politico, e certo non priva di rischi, per potere immaginare che a essa si arrivi e che possa essere realizzata in modo ordinato.

E, d’altra parte, abbiamo sempre dubitato fortemente che esistano le condizioni per vincere un confronto "muro contro muro" con la UE e con l’Eurosistema e perseguire un’uscita unilaterale dell’Italia dal sistema. In effetti, non ne esiste la necessità: il Progetto Moneta Fiscale, applicato nella sua compiutezza, risolve le ricadute negative sull’Italia delle disfunzioni dell’Eurosistema ed è coerente con i trattati che regolano la governance dell’Eurozona, senza necessità di romperla.

Molti lo hanno osteggiato, sino al recente passato; e, con poche eccezioni, anche chi lo ha apprezzato non ha mostrato grande coraggio nel sostenerlo pubblicamente. Va dato atto a esponenti politici come Pino Cabras, Raffaele Trano ed Elio Lannutti che, presentando un disegno di legge sull’istituzione dei CCF rispettivamente alla Camera e al Senato, hanno trascinato un importante numero di parlamentari del M5S a dare crescente sostegno all’idea, che oggi sta finalmente riuscendo a permeare l’azione di governo.

È anche vero che, oggi, la disperazione è arrivata a un punto tale da far comprendere anche a chi sino a ieri si ostinava a non voler comprendere che è necessario battere strade nuove e non convenzionali. D’altra parte, se quanto proponiamo da anni fosse già stato realizzato, oggi non ci troveremmo nelle condizioni di non sapere come fare affluire potere di spesa a chi ne ha vitale bisogno.

Il Progetto dà la possibilità di adottare una posizione di fermezza costruttiva: abbiamo identificato che cosa non funziona, ma sappiamo anche come correggerlo, senza passare tramite una deflagrazione. E lo faremo. Senza passare tramite strumenti – il MES, il Recovery Fund – da cui non arriverebbe nulla di concreto, se non spiccioli con vincoli e condizionamenti che produrranno più danni di quanto possano valere gli (eventuali) benefici – e senza dover continuare a scongiurare che la BCE mantenga indefinitamente il suo supporto ai nostri titoli di stato, cessando il quale ci troveremmo in un mare di…guai…

Appesi alla BCE

A proposito dell’intervento della BCE, in questa sede ci limitiamo a osservare con Guido Salerno Aletta che, seppure grazie a esso il prezzo del nostro debito resta sotto controllo, alla fine dello scorso mese di aprile il credito erogato ad imprese e famiglie era di 1.281 miliardi di euro, in calo di 15 miliardi rispetto al mese di aprile del 2019: quasi un punto di PIL in meno. Ad agosto 2011 era addirittura di 1.513 miliardi. Rispetto ad allora, il credito si è contratto di ben 232 miliardi di euro, quasi 14 punti di PIL.

Dunque, tutta la smisurata potenza di fuoco messa in piedi dalla BCE riesce a calmierare i mercati, ma non arriva all’economia reale attraverso il credito, che addirittura si contrae.

Questo ci rafforza nel convincimento che, come abbiamo scritto sull’Avvenire dello scorso 17 maggio, non è col debito (pubblico e tanto meno privato) che si esce da questa situazione. Chiediamo allo Stato di compiere un importante atto di "gratuità", conferendo capacità di spesa aggiuntiva, in una forma che si configura come un vero "dono" economico, a chi è in condizione o nella necessità di più prontamente spenderla, nell’interesse della collettività. Il dono ricevuto dallo Stato, una volta speso, genererà reddito che genererà altra spesa che genererà altro reddito e così via, in un circolo virtuoso che occuperà utilmente maggiori risorse economiche e forza lavoro.

È grazie alla "gratuità" del "dono" che si rende possibi
le conferire potere d’acquisto aggiuntivo al sistema economico, in una fase in cui chi non lo possiede cerca di non indebitarsi (se non costretto) e chi ne abbonda non intende prestarlo (se non per abusarne). Una gratuità che è virtuosa quando permette all’iniziativa personale di dispiegarsi proficuamente, evitando l’ingiustizia sociale e il dramma psicologico – prima ancora dello spreco economico – della disoccupazione, e una gratuità che si coniuga perfettamente con il sostegno concreto diretto ai soggetti e alle categorie più deboli, anche attraverso un intervento redistributivo delle risorse prodotte.

Gratuità, d’altra parte, non significa che la manovra sarà a costo zero. Sarà necessario che dal maggior reddito nazionale che la manovra consentirà di produrre si estragga un gettito fiscale sufficiente a compensare il costo degli sconti fiscali.

Il miraggio del Recovery Fund

Ma torniamo al Recovery Fund, sul quale tanta retorica è stata fatta all’indomani del suo annuncio, come se si trattasse finalmente della svolta epocale da tutti attesa. In realtà, esso rischia di essere un pericolosissimo depistaggio (che il "popolo" non ha mancato di fiutare, se è vero che soltanto 1 italiano su 3 si dice soddisfatto della proposta dell’esecutivo UE).

Il meccanismo proposto rischia di essere un depistaggio non solo perché i soldi sono pochi, dovendo essere ripartiti tra molti stati e tra molti paesi. Non solo perché le erogazioni sono soggette all’attuazione di riforme strutturali, prescritte dalla UE. Non solo perché il giudizio in merito alla loro attuazione è totalmente discrezionale, e in qualsiasi momento, quindi, le erogazioni potranno essere sospese (mentre i nostri contributi sono da pagare sull’unghia). Ma anche perché nessuno ha detto quale sarebbe il saldo di bilancio pubblico da perseguire come obiettivo al netto dell’impatto del Recovery Fund.

Spieghiamo. Ante Covid, nel 2019 il deficit pubblico italiano era stato pari all’1,6% del PIL. Del tutto insufficiente a immettere nell’economia quanto necessario a produrre una ripresa degna di questo nome. Sarebbe servito un 2% in più, almeno, e sostenuto almeno per un certo numero di anni.

Adesso, per prima cosa occorre recuperare le conseguenze economiche della crisi sanitaria. Facciamo un’ipotesi ottimistica: tra il 2021 e il 2022, ci viene consentito di fare (in termini di deficit di bilancio) quanto necessario a ritornare – nel 2022 – ai livelli del 2019. Questo vuol dire tornare soltanto ai livelli di partenza, che, non dimentichiamolo, erano livelli di pesantissima e cronica depressione dell’economia.

Si potrebbe pensare: bene, da lì in poi adottiamo il Recovery Fund, che ci assicura, appunto, quel 2% in più necessario a uscire dalla depressione. Il punto è: "in più" rispetto a cosa? Esauriti gli effetti della crisi sanitaria, il patto di stabilità e crescita rientrerà in vigore. E la commissione UE, come sappiamo, non perde occasione per ripetere che il debito pubblico dovrà tornare su una traiettoria di contenimento e discesa.

Ci vuol poco a immaginare che la commissione UE "raccomanderà" di ottenere il pareggio di bilancio, fatto salvo il contributo del Recovery Fund. Raccomandazione che, va da sé, andrà eseguita sotto pena di sospensione dei contributi. Motivo per il quale il pareggio di bilancio equivarrà a un’immissione di risorse pari al 2%: la stessa degli anni pre-Covid, decimale più decimale meno

L’economia italiana sarà pertanto costretta a rimanere nella situazione pre-Covid, una situazione di depressione cronica, con alti livelli di disoccupazione e sottoccupazione e fortissimo malessere sociale. Il tutto gravato da un debito che ci rende dipendenti da decisioni altrui e dai sussulti e dai capricci dei mercati.

Il coraggio di scegliere

Le valenze di un programma di emissioni (fiat) di uno strumento gestito e controllato dallo Stato italiano, come la Moneta Fiscale, sono di tutt’altra portata. Si crea potere d’acquisto supplementare e lo si distribuisce. Si riporta il sistema economico a condizioni di piena occupazione. E si riduce, gradatamente ma costantemente, il rapporto debito pubblico / PIL. Si riduce così il peso del debito da rimborsare e rifinanziare in euro: il vero peso che grava sull’economia italiana e che le impedisce di uscire dalla sua cronica situazione di depressione.

Dunque, a mali estremi, estremi rimedi – con rimedi, peraltro, ci piace osservare, costituiscono misure di politica economica le più progressiste che il nostro Paese abbia anche soltanto immaginato in quest’ultimo ventennio.

Ma per ottenere questi risultati, i germogli di Moneta Fiscale presenti nel Decreto "Rilancio" vanno, come detto, estesi e potenziati. Va chiarita la cedibilità illimitata dei crediti fiscali. Va messa a punto la piattaforma di pagamento e scambio. Va finanziata spesa pubblica netta con assegnazioni stabili e pluriennali, fino a un massimo di 100 miliardi all’anno circa. La manovra andrà sostenuta per il tutto il tempo che sarà necessario per incidere positivamente sulle aspettative di un popolo preoccupato e riportare l’economia su un sentiero di crescita che potrà poi autoalimentarsi.

Questa è la soluzione della crisi economica, non gli inadeguati, quando non vessatori, programmi dell’UE.
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Appendice – Per Saperne Di Più sulla Moneta Fiscale
L’espressione "Moneta Fiscale" è stata coniata in Per una Moneta Fiscale Gratuita: Uscire dall’Austerità Senza Spaccare l’Euro, Manifesto / Appello lanciato da B. Bossone, M. Cattaneo, L. Gallino, E. Grazzini e S. Sylos Labini nel novembre 2014 e riportato poi nell’, curato da B. Bossone, M. Cattaneo, E. Grazzini e S. Sylos Labini (con prefazione di L. Gallino) e pubblicato da MicroMega il 15 giugno 2015.

Secondo una definizione generale e rigorosa,

Moneta Fiscale è qualunque strumento emesso da un’entità privata o pubblica che i) lo Stato s’impegna ad accettare dal portatore per l’adempimento delle proprie obbligazioni fiscali, nella forma di riduzione degli importi dovuti allo Stato oppure nella forma di effettivi trasferimenti di valore (pagamenti) in favore dello Stato; ii) non costituisce moneta a corso legale, iii) non impegna lo Stato né a pagare somme al portatore né a convertire lo strumento in moneta a corso legale; e tuttavia è iv) negoziabile in moneta a corso legale, v) trasferibile a terzi, e vi) cedibile in cambio di beni, servizi, moneta o titoli di ogni specie.

Tale definizione è stata proposta da B. Bossone e M. Cattaneo, New ways of crisis settlement: Fiscal Money as a tool to fight economic stagnation, presentato al convegno "A single model of Governance or tailored responses? Historical, economic and legal aspects of European Governance in the Crisis", FernUniversität, Hagen, il 24-25 novembre 2016 e pubblicato nei relativi atti.

Fondamentale è che la Moneta Fiscale, se usata come mezzo di pagamento, sia accettata su base puramente volontaristica. Per quanto riguarda lo Stato che la emette, essa rappresenta esclusivamente un titolo che non reca alcun obbligo di debito. Che poi questo titolo sia utilizzato come mezzo di pagamento è una deliberata scelta della comunità che decide di farne tale uso. Ecco perché la Moneta Fiscale non può (e non deve) essere considerata come moneta "statale" (nel senso di emessa dallo Stato) o come moneta "pubblica" (nel senso di emessa dal settore pubblico): al momento dell’emissione (e per lo Stato che la emette) essa è soltanto un titolo caratterizzato da specifici diritti del portatore; è il settore privato che ne fa una moneta decidendo di accettarla e usarla come mezzo di pagamento.

La Moneta Fiscale è stata originariamente proposta da Marco Cattaneo sotto forma di "certificati di credito fiscale" nell’articolo Certificati di credito per il cuneo, pubblicato da Il Sole 24 Ore, il 31 ottobre 2012, come strumento d’intervento a sostegno dell’economia italiana, e dallo stesso Cattaneo successivamente discussa nel libro scritto con G. Zibordi, La Soluzione per l’Euro, Hoepli, marzo 2014. La proposta di Cattaneo è stata quindi elaborata in Per una Moneta Fiscale Gratuita: Uscire dall’Austerità Senza Spaccare l’Euro, Manifesto / Appello di B. Bossone, M. Cattaneo, L. Gallino, E. Grazzini e S. Sylos Labini (disponibile sul sito https://monetafiscale.it) e nell’e-book dal medesimo titolo curato da B. Bossone, M. Cattaneo, E. Grazzini e S. Sylos Labini (con la prefazione di L. Gallino), pubblicato da MicroMega, il 15 giugno 2105, e quindi ulteriormente sviluppata nei lavori pubblicati dal Gruppo della Moneta Fiscale (GMF), di cui sono membri B. Bossone, M. Cattaneo, M. Costa e S. Sylos Labini. Del GMF si segnala in particolare, tra i numerosi contributi, Moneta Fiscale: il punto della situazione, MicroMega, 17 giugno 2017. Riguardo ai contributi individuali dei membri del GMF: Stefano Sylos Labini è intervenuto sull’argomento con contributi sulla stampa (Sole 24 Ore, Left, Sinistra in Rete, L’Idea Socialista) e con interviste (RadioPopolare, Money.it, PandoraTv). Massimo Costa ha studiato soprattutto i profili giuridico-contabili dei CCF.

Successivamente alla collaborazione del GMF con il deputato del M5S Pino Cabras (cfr. testo), si è preferito sostituire alla denominazione di certificato di credito fiscale quella di Certificato di Compensazione Fiscale, che non soltanto è più precisa ma libera il campo da ogni possibile confusione fra la natura di non debito del titolo e il sostantivo "credito" originariamente utilizzato. I Certificati di Compensazione Fiscale discussi nel testo sono una sottospecie specifica della definizione generale di Moneta Fiscale sopra richiamata.

Al tema della Moneta Fiscale è interamente dedicato il blog "Basta con l’Euro Crisi", creato e curato da Marco Cattaneo. Una proposta di Moneta Fiscale fu lanciata da Gennaro Zezza nel 2017 sul sito del Movimento 5 Stelle, risultando la seconda proposta più votata dagli iscritti al sito. Varie forme di Moneta Fiscale sono state proposte in atri paesi; si vedano: Sortir de l’austérité sans sortir de l’euro… grâce à la monnaie fiscale complémentaire, di G. Giraud, B. Lemoine, D. Plihon, M. Fare , J. Blanc, J.-M. Servet, V. Gayon, T. Coutrot , W. Kalinowski, e B. Théret, pubblicato su Libèration, l’8 marzo 2017; Monnaie fiscale complémentaire: sortir des impasses européiste et souverainiste, di T. Coutrot e pubblicato su Mediapart del 27 giugno 2018; e la proposta lanciata nel 2015 per la Grecia dall’ex ministro delle finanze Yanis Varoufakis e illustrata in The Promise of Fiscal Money, Project Syndicate, 29 August 2017, ripresa e commentata dal GMF in Making Fiscal Money Work, Project Syndicate, 19 September 2017. Per un confronto tra forme alternative di monete fiscali, si veda il contributo (in due parti) di B. Bossone e M. Cattaneo, A Parallel Currency for Greece, VoxEu, 25-26 May.

Infine, l’emissione di Moneta Fiscale è rubricabile tra le "politiche fiscali non convenzionali" (che comprendono anche le svalutazioni fiscali e la tassazione indiretta preannunciata), in giustapposizione alle "politiche monetarie non convenzionali" adottate da alcune tra le maggiori banche centrali a partire dalla crisi del 2008. Si veda Bossone, B., "Unconventional" Fiscal Policies, EconoMonitor, 16 February, 2019.

(8 giugno 2020)




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