Democrazia e guerre umanitarie

Raffaele Garofano

, prete

Le sanguinose perdite del nostro contingente militare all’estero rendono più che mai auspicabile il ritiro delle nostre truppe “in missione di pace”, come, con poca credibilità, è stato sempre affermato. La guerra è una brutale tragedia. Nel 1931, sollecitato dalla Società delle Nazioni, Einstein proponeva, come soluzione al problema, la creazione di un organismo sovranazionale che avesse abbastanza autorità da garantire una pace stabile. Freud, suo interlocutore, dal suo campo di osservazione, attribuiva all’aggressività insita nell’uomo e alla sua pulsione di morte la “fatalità” di una simile macchina infernale. Nell’opera teatrale “E’ mezzanotte dottor Schweitzer”, Gilbert Cesbron riporta una conversazione tra il medico umanitario musicista e alcuni indigeni. Allo scoppio della prima guerra mondiale, il dottore confida ai suoi amici che ci saranno molte migliaia di morti. La risposta scandalizzata dei presenti fu: “Ma non si può, non se ne possono mangiare così tanti!”. I cannibali pongono dei limiti alle loro tribali usanze, noi popoli civili mostriamo tutte le credenziali di animali “raffinati”. Le guerre del nostro mondo occidentale sono guerre di sterminio e la stessa tecnologia, che ci salva la vita nelle sale operatorie, non si fa scrupolo di sterminarci nei campi di battaglia, nelle guerriglie urbane. Si fanno carte false per giustificare ogni intervento armato scavalcando le stesse Costituzioni.

Nel mondo cristiano Agostino fu il primo a parlare di “guerra giusta”: “Fare la guerra è una felicità per i malvagi, ma per i buoni una necessità… è ingiusta la guerra fatta contro popoli inoffensivi, per desiderio di nuocere, per sete di potere…” (De Civitate Dei 4, 6). E contro Fausto argomenta: “Ma che cosa avete contro la guerra? Forse che vi muoiano degli uomini che, prima o poi, devono pur morire?”. Una concezione lontana dall’invito a “porgere l’altra guancia” (vero battesimo del cristiano), un gesto che non può essere imposto a nessuno, ma giustificare la violenza non sembra essere propriamente da seguaci di Cristo. La guerra ha sempre posto seri problemi di coscienza al mondo dei credenti. Giovanni XXIII, nella Pacem in terris, considera “irrazionale nell’era atomica pensare che la guerra possa essere utilizzata come strumento di riparazione dei diritti violati”. Il Concilio Vat. II sostiene: “Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e, con fermezza e senza esitazione, deve essere condannato” (G.S. 80). Tuttavia dichiara anche: “Finché non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa”. (G.S. 79) Papa Wojtyla proclamava con forza che “la guerra non può essere un mezzo adeguato per risolvere completamente i problemi esistenti tra le nazioni. Non lo è mai stato e non lo sarà mai”. Anche il card. Martini si è pronunciato: “Prima delle armi nucleari e chimiche il principio della legittima difesa poteva in certi casi condurre a parlare di guerra giusta” (intervento del 29 aprile 1999). “E’ chiaro che il diritto di legittima difesa non si può negare a nessuno, neppure in nome di un principio evangelico. Occorre tuttavia una continua vigilanza, un costante dominio su di sé e delle passioni individuali e collettive per far sì che nella necessaria azione di prevenzione e di giustizia non si insinui la voluttà della rivalsa e la dismisura della vendetta”. (C. Maria Martini, “Terrorismo, ritorsione, legittima difesa, guerra e pace”, Centro ambrosiano 2001, pp. 20-21)
Per tanti cristiani non c’è alcuna “giustizia” nella guerra: essa è sempre la vittoria del male.

Un invito ad una maggiore coerenza viene anche da Seneca, il “cristiano” non battezzato, il quale afferma: “Noi reprimiamo gli omicidi e le uccisioni dei singoli uomini: che dire delle guerre e della gloria che si consegue compiendo il delitto di far strage di interi popoli? La cupidigia e la crudeltà non conoscono limiti… Seguendo le deliberazioni del Senato e i plebisciti vengono commesse crudeltà e, in nome dello Stato, si comanda di fare ciò che in privato si vieta.” (Lettere 95,30). Il Vangelo condanna ogni forma di violenza, secondo il principale comandamento dell’amore per il prossimo, di cui è parte anche il nemico. La vendetta fa lievitare il male, il perdono lo combatte nell’intimo dell’uomo: è lo spirito delle “Beatitudini”. Cristo non poteva scacciare i mercanti dal Tempio (Gv 2,5) servendosi di inadeguate “funicelle”, il suo doveva essere un gesto simbolico, non basato sulla forza, col quale, più che altro, voleva proporre l’autorevolezza del suo messaggio, condannando la mercificazione del sacro. Era un annuncio “profetico” ai suoi discepoli di tutti i tempi, al commercio praticato nei tanti Santuari… Nel Vangelo si legge pure: “Non sono venuto a portare la pace ma la spada” (Mt 10, 34), un passo, a torto citato come legittimazione della guerra, ma la “spada” simbolizza lo zelo per un messaggio destinato a dividere, spiritualmente, anche le persone più intime. L’evangelista Luca, infatti, non parla di “spada” ma di “discordia”, di “divisione” di “lacerazione”. (Lc 12,51). Ai soldati che lo avvicinavano, il Battista raccomandava: “Non fate violenza o torto a nessuno” (Lc 3,14).

La politica del nostro governo pare oggi disposta ad accelerare il ritiro del nostro contingente all’estero. Tra le litanie delle sue esternazioni farneticanti, il premier ne ha recitata una ortodossa definendo un “calvario” la presenza militare in Afghanistan e chiedendosi “se serva”. Ma, senza dubbio, preso in parola, anche questa volta dirà di essere stato frainteso! Costituiscono invece una gradita meraviglia, se sincere, le parole inequivocabili del ministro Frattini. Ora afferma che la democrazia non può essere imposta con le armi, esportata in altri Paesi di culture differenti, che ogni popolo deve conquistare la democrazia con un processo di maturazione dall’interno della propria storia. E’ quanto sta avvenendo, si spera, nella sponda meridionale del Mediterraneo. E’ quanto, da sempre (dal Vietnam all’Irak), da tanti viene gridato nelle piazze del mondo a politici e trafficanti senza scrupoli. Seneca rimane una guida spirituale affidabile contro la guerra. Il suo messaggio è al sicuro, non può essere “manomesso” da seguaci.

(14 marzo 2011)

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