DIARIO DELLE PRIMARIE / 12 – Il virus di Biden: dopo martedì 10 marzo verso la nomination
Elisabetta Grande
Il risultato delle elezioni di martedì scorso in 6 Stati degli USA non avrebbe potuto essere peggiore per Bernie Sanders.
Gli Stati in cui nel 2016 il senatore del Vermont aveva ottenuto una spinta propulsiva nella sua corsa alla candidatura contro Hillary Clinton, ossia Michigan, Washington e Idaho (questi ultimi due allora conquistati con margini altissimi sull’avversaria), martedì 10 marzo gli hanno voltato le spalle.
Gli Stati in cui nel 2016 il senatore del Vermont aveva ottenuto una spinta propulsiva nella sua corsa alla candidatura contro Hillary Clinton, ossia Michigan, Washington e Idaho (questi ultimi due allora conquistati con margini altissimi sull’avversaria), martedì 10 marzo gli hanno voltato le spalle.
Le tre “M” sono state per lui nefaste: Sanders non ha vinto neppure una contea né in Michigan, né in Mississippi, né in Missouri. In Mississippi la sua sconfitta – pur assai pesante (81.1 % contro 14.8 %) – non è stata peggiore del 2016, ma in Missouri, in cui in quell’anno si era realizzato un sostanziale testa a testa con l’avversaria Clinton, la sua disfatta rispetto a Biden questa volta ammonta a più di 25 punti percentuali. D’altronde perfino in North Dakota, l’unico dei 6 Stati in cui Bernie Sanders ha riportato una vittoria, il suo vantaggio è assai più contenuto rispetto al 2016: quasi 40 punti percentuali di distanza rispetto alla Clinton allora, contro gli attuali poco più di 13 rispetto a Biden.
Certamente Sanders ha scontato la trasformazione dei caucuses dell’Idaho e dello stato di Washington in primarie. I caucuses rappresentano, infatti, una modalità di voto che si addice maggiormente a uno stile di campagna elettorale come il suo, fatto di contatto capillare con le persone, a differenza delle primarie vere e proprie, in cui la distanza sociale con e fra gli elettori è più marcata, cosicché questi ultimi seguono con maggior facilità le linee dettate dal partito. Non è un caso che in Iowa, Nevada e North Dakota –tutti Stati in cui Sanders ha vinto- si siano svolti caucuses e non primarie. Non è, tuttavia, questa la principale ragione della pesante disfatta di Sanders.
Per quanto -a testimonianza della passione che suscita e della fiducia che la sua base elettorale ripone in lui- Bernie continui ad essere sostenuto economicamente da moltissimi piccoli donatori, tanto che vinca quanto -a differenza di qualunque altro candidato- che perda, la sconfitta di martedì scorso dimostra, infatti, la sua scarsa capacità di mobilitazione presso quel più ampio pubblico di cui ha bisogno.
La sperata corsa alle urne, che nella tornata del 2018 aveva consentito al partito democratico di riprendersi 40 seggi alla Camera, 2 seggi in Senato e 7 governatori statali, si sta infatti certamente avverando, ma non a favore di Sanders. Quasi ovunque l’affluenza è stata assai più alta rispetto al 2016 e in alcuni casi perfino rispetto al 2008, quando Obama aveva scaldato i cuori di tanti, raggiungendo poi la vittoria finale. L’impennata alle urne non è però stata causata da un’ondata di giovani sotto i trent’anni che, se bianchi, sono tutti appassionatamente per Sanders; essa è stata determinata invece dallo slancio degli abitanti dei sobborghi urbani, di mezza età, di classe media, laureati, in particolare donne, che costituiscono in queste elezioni quello che è stato chiamato il “ground zero” nella battaglia per la Casa Bianca del 2020.
Si tratta di un elettorato che in parte aveva votato per Trump nel 2016, ma che già nel 2018 aveva cambiato idea a favore dei democratici e che mai voterebbe per Sanders “il socialista”. Martedì scorso le primarie aperte, che consentono di votare anche a chi non è registrato come democratico, hanno dato modo di esprimersi a quegli elettori e la loro partecipazione ha certamente avuto un peso determinante. D’altronde i moderati democratici, che nel 2016 avevano votato per Sanders contro Hillary per il 44%, si sono oggi espressi in massa per Biden, che sembra aver ottenuto più dell’80% dei loro voti.
Biden però, a differenza di Obama, non scalda i cuori né dei giovani né della working class, urbana o rurale che sia. Da un canto i lavoratori meno istruiti del terziario urbano paiono sostenere fortemente Sanders, ma forse, ostacolati da un farraginoso sistema di registrazione al voto per le primarie che per la prima votazione richiede energia e tempo, in molti finiscono per non votare. I lavoratori rurali invece, pur accordando oggi il loro voto all’ex vice di Obama, si recano alle urne in numeri ridotti rispetto al 2016 o addirittura ridottissimi rispetto al 2008, in controtendenza rispetto al trend generale.
Cosa significa tutto ciò? Che nonostante i moderati abbiano fatto solidamente gruppo dietro di lui, con gli endorsement che gli sono piovuti da parte di Pete Buttigieg, Amy Klobucher, Mike Bloomberg, Kamala Harris, Cory Booker e di tantissime altre personalità di spicco all’interno del partito democratico, la base elettorale di Biden non sembra essere sufficientemente ampia per consentirgli di vincere la presidenza, se nominato.
Al candidato dell’establishment dem pare, infatti, mancare la forza del grass-root movement, il cui tentativo di conquista aveva pur inizialmente caratterizzato l’intera campagna democratica. Economicamente sostenuto dai milionari e non dai piccoli donatori, al contrario di tutti gli altri candidati democratici, e fin dall’inizio pronto ad accettare il danaro proveniente dalle corporation dei Superpac’s, Biden sembra lontano dal cuore delle persone comuni.
Non così Trump, però, a giudicare dall’altissima affluenza alle primarie repubblicane che si stanno svolgendo. La corsa alle urne per votare in massa, quale candidato alle presidenziali, un presidente in carica, è un fenomeno assai peculiare, espressione di uno straordinario successo personale di Trump. La mobilitazione della base che doveva costituire la carta vincente di Sanders, sembra invece rappresentare l’asso nella manica di Trump. D’altronde, che l’amore della sua base per Donald Trump fosse grande era già apparso evidente subito dopo il suo impeachment, quando in segno di solidarietà moltissimi piccoli donatori si erano premurati di fornirgli il proprio sostegno economico.
Su cosa può contare dunque un Biden dalla dubbia base sociale? Giacché tanto Sanders, quanto Trump, puntano allo stretto contatto con i loro elettori per aumentare il proprio consenso, che sia proprio il coronavirus rampante, con il suo messaggio di distanziamento sociale e il suo portato di annullamento di tutti i rallies e gli eventi politici personali, ad arrivare in aiuto di Joe Biden?
(13 marzo 2020)
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