DIARIO DELLE PRIMARIE / 13 – Coronavirus: il game changer

Elisabetta Grande

La parola “guerra” risuona minacciosa nel dibattito svoltosi domenica notte a Washington D.C. fra i due contendenti rimasti in campo nella corsa delle primarie democratiche americane: Joe Biden e Bernie Sanders. E’ il primo dei due a evocare in apertura della serata l’analogia fra una condizione bellica e la situazione di panico e incertezza determinatasi anche negli States dal diffondersi del coronavirus. L’appello allo stato di emergenza, da affrontare con le misure eccezionali di una guerra (l’affondo sul dispiegarsi dei militari per le strade a scopo di contenimento del virus fa presa!), gli offre il destro per mostrarsi un leader solido e forte, su cui gli americani possono contare per ottenere protezione: proprio come se dovessero difendersi “da un attacco straniero”, tuona Biden. Il tono guerresco che esalta i principi patriottici dell’America first, che grazie ai suoi esperti e ai suoi soldi la renderebbe -secondo Biden- l’unica potenza in grado di prendere la leadership mondiale di fronte a una pandemia globale, galvanizza le persone in un momento di depressione. D’altra parte lo stesso messaggio di intervento simil/bellico ORA e SUBITO, che più volte il vice presidente di Obama sottolinea debba essere posto in atto per combattere il coronavirus, svilisce il programma di cambiamento strutturale necessario per realizzare il sistema sanitario pubblico richiesto da Sanders.
Etichettandolo come un progetto “rivoluzionario”, che com’è ovvio non può che amplificare il panico generale, Biden affossa efficacemente il “Medicare for all” di Sanders e ridicolizza le sue proteste nei confronti di un sistema sanitario privato che costa a ciascun americano il doppio rispetto agli altri cittadini del mondo e ciononostante si rivela incapace di assisterli nelle situazioni di emergenza. Non è questo il momento delle rivoluzioni, afferma con arguzia Biden, ma di dare in via eccezionale agli americani ORA e SUBITO tutto quello di cui hanno bisogno. E’ il piglio di un leader solido e pragmatico, che contrasta con lo stile riflessivo di chi, come Sanders, cerca invece nel passato gli errori del presente e intravvede le conseguenze di una possibile pesante recessione economica, in un sistema sociale e giuridico decisamente sbilanciato a favore dei forti. In tempi di panico è la prospettiva che mette al centro “l’ora e l’adesso” quella che fa presa sulle persone e Joe Biden mostra di esserne consapevole, sfruttando al massimo l’opportunità che gli si presenta. “Leadership è la risposta di Biden, ideologia quella di Sanders”, ha commentato qualcuno. Difficile, dopo la performance dell’ex vice presidente nel debate di domenica notte, credere a chi lo aveva dipinto come un candidato affetto da Alzheimer!

Il Coronavirus -al centro di quello che, proprio a causa del virus, con ogni probabilità è stato l’ultimo dibattito fra i candidati alla nomination democratica- ha d’un tratto un’incidenza crescente sullo svolgimento di queste primarie. Ciò non solo in termini di nuovo contenuto delle piattaforme politiche messe in campo. Se fino a ieri il mondo politico dem sembrava indifferente al virus, di colpo la preoccupazione per il contagio rivoluziona oggi tanto le campagne elettorali, quanto il calendario delle votazioni e le stesse modalità di voto. Non soltanto l’undicesimo dibattito, cui quasi certamente non farà seguito il successivo programmato dodicesimo incontro, è stato spostato da Phoenix (Arizona) a Washington D.C. per evitare troppi spostamenti e, in un clima davvero surreale, si è svolto a porte chiuse senza feedback immediati del pubblico. Ad oggi, inoltre, la Georgia e la Louisiana hanno già spostato in avanti la data delle loro primarie, inizialmente programmate rispettivamente per il 24 marzo e per il 4 aprile, mentre New York, dove si dovrebbe votare il 28 aprile, sta pensando di posporle, così come con ogni probabilità farà Porto Rico, le cui primarie sono ancora previste per il 29 marzo.

I caucuses del Wyoming del 4 aprile sono stati trasformati in votazioni a distanza e l’intero sistema delle primarie, con le programmate scadenze e le penalità per gli Stati che indicono le loro elezioni troppo in là nel tempo, rischia di saltare. D’altronde i candidati non possono più condurre personalmente le loro campagne elettorali e i loro sostenitori, in particolare i tanti giovani che hanno lavorato alacremente per Sanders, non possono più fare campagna porta a porta. In molti Stati si pensa di sostituire il voto di persona con il voto per posta, ma non dappertutto si tratta di una modalità prevista e, laddove contemplata, i termini e i requisiti per accedervi possono essere penalizzanti.

In questo scenario, completamente mutato rispetto a poche settimane fa, Arizona, Ohio, Florida e Illinois, hanno mantenuto ferme le elezioni di martedì 17 marzo, che si svolgeranno secondo le consuete modalità, mentre solo i seggi elettorali – che saranno opportunamente igienizzati – sono stati spostati fuori e lontano dai luoghi di residenza degli anziani, in cui tipicamente vengono allestite le postazioni elettorali.

Quante persone, soprattutto anziane, riusciranno a votare nel nuovo contesto? Quanti saranno coloro che, anziani o meno, per paura del contagio non si avvicineranno alle urne? Quanto, in una situazione di questo genere, le elezioni popolari possono considerarsi ancora tali e quindi validamente svolte?

Così mentre Bernie Sanders in questo mini super martedì, in cui ci sono in palio 577 delegati pledged, ha un bisogno disperato di vincere almeno in qualche Stato per recuperare la distanza di circa 150 delegati che lo separa da Joe Biden, e quest’ultimo ha durante il debate già giocato la sua potente carta di scegliere una donna alla vice presidenza se sarà nominato, è il Coronavirus a dominare la scena e a mettere in forse il destino di queste primarie.

(16 marzo 2020)





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