DIARIO DELLE PRIMARIE / 14 – Il dilemma di Bernie

Elisabetta Grande


Mancano ancora i risultati di alcune, pochissime, circoscrizioni, ma l’esito del voto del mini super martedì è chiaro: Joe Biden vince su Bernie Sanders in tutti gli Stati in cui si sono svolte le primarie. In alcuni casi, come in Florida, la vittoria riguarda tutte le contee e la distanza fra i due candidati è straordinaria: al momento (quando ci sono ancora alcuni delegati da distribuire) Joe Biden si assicura 152 delegati, contro i 52 attribuiti a Bernie Sanders. Quest’ultimo perde quasi ogni contea anche negli altri due Stati in cui si è votato: Arizona e Illinois. Nel quarto Stato in cui si sarebbe dovuto procedere alle elezioni, l’Ohio, il governatore è intervenuto all’ultimo minuto per posporre le primarie a causa dello stato di emergenza dovuto al coronavirus. In forza dei sondaggi, qualora si fosse votato, Sanders non avrebbe però in quello Stato ottenuto un miglior risultato rispetto agli altri tre.
Ad oggi, quando sono stati assegnati circa il 60% dei delegati pledged in palio, Biden conduce la gara con un vantaggio di qualcosa come 300 delegati, avendo ottenuto poco meno di 1200 delegati sui 1991 necessari alla nomination.
Così, mentre è il coronavirus a conquistare i titoli dei giornali e dei media e ad attirare l’interesse degli americani (che come noi stanno gradualmente mettendo in atto misure di contenimento della popolazione- e si spera quindi del virus- attraverso il distanziamento sociale), l’attenzione di chi ha ancora voglia di occuparsi di primarie si concentra su quel che Sanders deciderà di fare. Si ritirerà dalla corsa lasciando il campo libero a Joe Biden, che la notte stessa della vittoria ha già tenuto un discorso da candidato alle presidenziali indicando agli americani la strada da battere per difendersi dal coronavirus, oppure no?
E’ una decisione certamente difficile da prendere e gli elementi da valutare sono diversi.
Innanzitutto Bernie Sanders mantiene forte il sostegno dei suoi supporters: martedì sera ha annunciato che soltanto nel 2020 ha raggranellato ben 10 milioni di dollari tramite aiuti provenienti da piccoli donatori, arrivando così a quota 191 milioni di dollari raccolti in campagna elettorale. Solo fra domenica e martedì scorsi, inoltre, i contributi dei suoi sostenitori hanno raggiunto quota due milioni: e ciò in un momento in cui le persone sono in procinto di affrontare una crisi economica senza precedenti. Un risultato importante, che significa la concreta possibilità per lui di continuare a correre, se lo desidera.
In secondo luogo la posta in gioco, in termini di necessità del messaggio di maggiore solidarietà sociale da veicolare, è più alta che mai in questo momento storico. Ciò a partire dall’esigenza di un Medicare for All, che curi tutti e non lasci indietro nessuno, per continuare con le tante misure volte a ridurre le disuguaglianze a sostegno dei più disagiati, il cui numero non potrà che crescere esponenzialmente durante questa crisi. Se si pensa che già oggi, a New York, uno su dieci dei bimbi delle scuole ormai chiuse sono homeless, ossia senza fissa dimora, si ha il senso del disagio sociale che incombe.
Si tratta dunque di cogliere l’occasione per provare a invertire la rotta e far passare il messaggio dell’importanza dei cambiamenti strutturali che Bernie Sanders propone e che proprio perché strutturali non possono essere limitati alla situazione contingente. La permanenza di Sanders nella corsa alla nomination, anche se magari inutile ai fini di una vittoria, potrebbe però ottenere un prolungamento dell’attenzione su questi temi e un impegno da parte di Biden a incorporare seriamente alcune delle proposte del suo avversario nella piattaforma presidenziale.
D’altronde che Biden, nonostante il forte sostegno dei moderati, dei benestanti, degli ultra cinquantenni, dei neri e a volte perfino dei liberal, abbia estremo bisogno di ottenere la fiducia dei giovani se vuole sperare di vincere le presidenziali, risulta evidente non appena si considera che perfino in Florida, dove ha vinto per due elettori a uno, è tuttavia apparso indietro su Sanders di ben 13 punti percentuali se si guarda agli under 45. Già martedì notte, l’apertura verso i temi cari ai giovani ha contraddistinto il suo discorso di coronamento della vittoria.
Il virus del corona, però, soffia per altri versi contro la permanenza di Sanders nella corsa. Non solo perché ostacola i caucuses, che gli sono particolarmente congeniali, i rallies e ogni attività sul territorio su cui ha sempre puntato, ma soprattutto perché spinge per il più rapido arresto possibile della corsa, al fine di evitare di mettere a repentaglio la salute tanto degli elettori che si recano alle urne quanto degli scrutatori, i quali ultimi già a centinaia si sono rifiutati di recarsi ai seggi nelle votazioni dello scorso mini super martedì. Lo scompiglio che la paura per il virus potrebbe creare, in termini di seggi vuoti o di cambiamento delle modalità di voto all’ultimo momento, non gioverebbe poi certamente alla serenità e alla legittimazione delle elezioni.
La Georgia e la Louisiana, in cui si sarebbero dovute svolgere a breve le primarie, hanno –per il momento insieme ad altri tre Stati- posticipato le elezioni a causa del coronavirus. In entrambi gli Stati i sondaggi davano Biden in testa, con una distanza tale da far presumere che per la metà inoltrata di aprile il vicepresidente di Obama avrebbe potuto raggiungere i fatidici 1991 delegati. Nel nuovo contesto, invece, non si sa fino a quando la competizione potrebbe durare e l’incertezza è sentita come dannosa per gli interessi di un partito, che si vuole al più presto unito dietro al candidato alle presidenziali per cercare di battere Trump.
Le pressioni su Sanders per un suo ritiro dalla corsa -dopo che ieri anche, la peraltro invisibile, Tulsi Gabbard ha lasciato- non sono dunque di poco conto. Il senatore del Vermont si è riservato di prendere una decisione a breve, mentre non solo l’establishment, ma pure la stampa tutta sembra incoraggiarlo verso una rapida e onorevole uscita di scena. Chissà che il punto di equilibrio non si trovi in una vicepresidenza assegnata a Elizabeth Warren, la quale -nonostante il mancato endorsment a Bernie- resta pur sempre la donna più progressista fra quelle che erano in lizza come candidate alla nomination!
(20 marzo 2020)





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