DIARIO DELLE PRIMARIE / 15 – Cuomo for President?
Elisabetta Grande
Mentre in Usa il coronavirus non sta risparmiando neppure uno Stato, le primarie sono in pieno marasma. A oggi la competizione fra i democratici, che dopo il 17 marzo si è ridotta a due soli contendenti, vede in testa Joe Biden per circa 1215 delegati pledged, contro i circa 910 guadagnati finora da Bernie Sanders. Nelle primarie a venire si dovranno assegnare ancora circa 1670 delegati, ossia il 40% del totale, e per essere sicuri vincitori al primo turno alla convention occorrerà aver ottenuto almeno 1991 delegati pledged.
Il problema in questo momento, però, non è solo e tanto chi vincerà le prossime primarie, quanto se e come esse avranno luogo.
Dopo il 17 marzo quasi tutti gli Stati, che di lì a poco avrebbero dovuto ospitare le elezioni per il candidato democratico alle presidenziali, hanno infatti posticipato la data della consultazione popolare sulla scorta dell’emergenza coronavirus. Se già l’Ohio aveva all’ultimo minuto posposto le proprie primarie (che avrebbero dovuto tenersi il 17 marzo e sono oggi previste per il 28 aprile), hanno ugualmente spostato in là nel tempo le elezioni la Georgia (la cui data originaria del 24 marzo è stata spostata al 10 maggio) e Porto Rico (che dal 29 marzo le ha posticipate al 26 aprile). Anche parecchi altri Stati, le cui elezioni erano programmate molto più avanti nel tempo, hanno posticipato le proprie consultazioni. Così, non solo la Louisiana (in cui le primarie avrebbero dovuto tenersi il 4 aprile), ma altresì il Connecticut, il Delaware, il Maryland, la Pennsylvania e il Rhode Island, in cui si sarebbe dovuto votare il 28 aprile, hanno riprogrammato la consultazione per il 2 giugno. Infine, perfino Stati che avevano fissato le primarie per maggio, come l’Indiana, o come il Kentucky, hanno riformulato la data, il primo al 2 giugno e il secondo al 23 dello stesso mese. Difficilmente, inoltre, New York manterrà il 28 aprile quale momento per le proprie elezioni (già si parla del 23 giugno quale nuovo giorno per le consultazioni dello stato di New York) ed anche gli Stati che hanno già posticipato la loro data potrebbero essere costretti a nuovi spostamenti in avanti.
La situazione è pertanto decisamente confusa, tanto più che i rinvii delle primarie oltre il 9 giugno non sono ammessi dal regolamento del partito democratico, se non a patto di gravi penalizzazioni -in termini di delegati assegnati- agli Stati che violino quella scadenza. Per regolamento, infatti, entro il 20 giugno devono essere identificati tutti i partecipanti alla convention di luglio; già ora, però, due Stati hanno fissato le primarie oltre quella data e in molti di più lo faranno se la situazione di emergenza continuerà, come sembra altamente probabile.
L’alternativa al caos pare rappresentata dal voto per posta (non online), che alcuni Stati stanno ora cercando di introdurre in maniera più inclusiva rispetto a quanto permesso fino a ieri, e che altri Stati, nei quali non è ancora prevista quale modalità di espressione del consenso, stanno pensando di introdurre ex novo.
Dei tre Stati in cui erano previste le primarie per il 4 aprile, solo alle Hawaii la data è rimasta ferma, anche se tutte le votazioni devono ora avvenire solo per posta ed è incerto tanto il giorno entro cui i voti andranno spediti o ricevuti, quanto quello in cui si conosceranno i risultati, che in ogni caso non sono attesi prima di maggio. Gli altri due Stati le cui elezioni erano fissate per il 4 aprile, Alaska e Wyoming (che come Hawaii hanno da tempo messo in funzione un inclusivo sistema di votazione per posta), hanno anch’essi cancellato ogni diversa modalità di voto e hanno comunque spostato al 10 e al 17 aprile la data ultima per votare.
In Wisconsin, che ha mantenuto per il momento il 7 aprile quale giorno delle sue primarie, i democratici hanno fatto causa all’ufficio elettorale, tanto per ottenere l’eliminazione della necessità di una identificazione tramite documento per la votazione per posta, quanto perché venga prorogata la data entro cui è permesso inviare il voto.
Se il futuro delle primarie democratiche appare, dunque, assai incerto sul piano tanto del se che del come esse potranno svolgersi, non maggior chiarezza sembra esservi intorno al suo possibile vincitore.
Bernie Sanders ha dichiarato di voler partecipare al dodicesimo debate (che peraltro con ogni probabilità non si svolgerà) ed è tutto fuorchè intenzionato a lasciare il campo libero al suo avversario. In un momento in cui uno dei temi che più lo hanno impegnato durante l’intera vita politica è divenuto cruciale -quello della necessità di un sistema sanitario capace di curare tutti- la candidatura alle primarie, infatti, rappresenta per il senatore del Vermont l’occasione di dare fiato ad uno dei messaggi che più gli stanno a cuore.
Joe Biden sembra, invece, particolarmente danneggiato dal non rivestire in questo frangente alcun ruolo politico esecutivo, o quanto meno ufficiale. E mentre le sue ipotesi di uscita dalla crisi -lanciate dal seminterrato della sua casa nel Delaware, riattato a studio televisivo- appaiono suggerimenti senza alcuna ricaduta effettiva, un altro uomo- Andrew Cuomo, governatore dello stato di New York- assume sempre di più la veste di vero leader del partito democratico. All’ascoltatissimo briefing quotidiano, in cui appare come uomo forte, pratico e molto empatico, Cuomo, a differenza di Biden, può far seguire l’operatività dei fatti.
Oscurato dalla mancanza di ruolo politico effettivo, quale che sia, e dall’inevitabile silenzio mediatico relativo ad elezioni che non si svolgono, Biden ha così soltanto da perdere dal prolungamento del gioco delle primarie, che -ben che gli vada- non riuscirà comunque a dominare se non il 2 giugno, giorno in cui ad oggi 11 Stati hanno spostato le loro elezioni e in cui un pacchetto di quasi 700 delegati sarà disponibile.
Cosa succederebbe, però, se non si riuscisse più a votare o se le elezioni dovessero essere dichiarate invalide, in quanto non sufficientemente rappresentative perchè il voto per posta non fosse disponibile in maniera davvero inclusiva?
Negli Stati Uniti le primarie esistono dall’inizio del novecento, ma solo dal 1972 acquistano rilevanza nella scelta del candidato democratico alle presidenziali. In un momento di forte incertezza e di emergenza sanitaria nazionale come il presente, non sembrerebbe davvero irragionevole interromperle e consentire, almeno in parte, l’entrata in gioco delle élites politiche, come accadeva un tempo, quando si parlava di smoke-filled rooms per indicare i luoghi in cui i vertici del partito prendevano le decisioni al riguardo. Se così fosse non sarebbe impossibile immaginare l’uscita vittoriosa dalle stanze, non più fumose, del partito di un terzo uomo: il governatore Andrew Cuomo.
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