DIARIO DELLE PRIMARIE / 17 – Sfida delle primarie e legalità al capolinea

Elisabetta Grande

Ciò che nel giro degli ultimi giorni è avvenuto in Wisconsin ha davvero il sapore di una disfatta per l’intero sistema democratico. Raramente un’elezione ha messo così evidentemente a nudo il profondo contrasto fra l’interesse alla partecipazione al voto dei cittadini e gli interessi partigiani di una pluralità di attori istituzionali. La scelta tragica fra l’esercizio del diritto di voto e il diritto a salvaguardare la propria salute è alla fine ricaduta sui cittadini, obbligati a decidere se recarsi alle poche e affollate urne, allestite in tempi di pandemia, rischiando di ammalarsi o invece rinunciare a esprimersi. Chi aveva, infatti, il dovere istituzionale di sollevare i cittadini del Wisconsin da quel tragico dilemma, garantendo loro la tutela di entrambi i diritti fondamentali –quello alla salute e quello al voto- non l’ha fatto, mosso esplicitamente o implicitamente da interessi di parte.
Ma vediamo quel che è accaduto.
In Wisconsin, a differenza di ciò che accade in altri Stati, spetta solo al legislatore spostare la data delle elezioni, riguardanti nel caso di specie le primarie democratiche, ma anche una serie di cariche ufficiali locali e statali, fra cui in particolare l’eventuale sostituzione di un giudice della Corte Suprema statale, nella posizione attualmente ricoperta dal repubblicano Daniel Kelly.
Come già si è raccontato, a fronte della diffusione del virus (che anche in Wisconsin sta provocando contagi e morti) e al conseguente ordine da parte del Governatore dello Stato -il democratico Tony Evers- di rimanere a casa, i tentativi di ottenere uno slittamento delle consultazioni da parte del Governatore e di altri cittadini, timorosi di vedersi sottrarre il diritto di partecipazione democratica, si erano risolti in un quasi nulla di fatto. Se il Congresso aveva, infatti, rifiutato l’invito del Governatore a posticipare considerevolmente la data del voto- anche di persona- fissato per il 7 aprile; coloro che si erano rivolti alla Corte federale di primo grado (quella di distretto), giovedì 2 aprile avevano tuttavia per lo meno ottenuto uno slittamento al 4 aprile della scadenza per richiedere di votare per posta e al 13 aprile per quel che riguarda il momento in cui inviare la scheda del voto.
La sempre più difficile situazione di emergenza sanitaria e il desiderio di tutelare il diritto di voto dei suoi cittadini avevano poi spinto, venerdì 3 aprile, il governatore a domandare nuovamente al Congresso uno spostamento in avanti della data, anche perché difficilmente il regolare svolgimento delle elezioni avrebbe potuto essere assicurato, stante la difficoltà di reperire gli scrutatori e quindi di allestire i seggi.
Non solo però, sabato 4 aprile, il Congresso del Wisconsin non si era degnato di dare una risposta al Governatore, ma aveva altresì impugnato la decisione del giudice federale di primo grado, che nel frattempo era stata avallata dalla Corte federale di circuito di secondo grado, per la parte in cui estendeva il periodo in cui il ricevimento della votazione per posta manteneva validità.
Lunedì 6 aprile, il giorno prima della data della consultazione, il governatore si risolveva, infine, a emanare un ordine che, in ragione dell’emergenza nazionale, spostava al 9 giugno le elezioni. L’immediato intervento della Corte Suprema dello Stato del Wisconsin, a maggioranza repubblicana, lo annullava però senza motivazione, con una maggioranza di 4 a 2.
La notte dello stesso giorno si pronunciava, poi, anche la Corte Suprema federale, la più alta istanza giurisdizionale del paese, la quale -seguendo una linea di divisione strettamente politica- votava 5 a 4 a favore del Congresso repubblicano del Wisconsin, annullando la possibilità di votare per posta fino al 13 aprile.
Ora, che fra i protagonisti del furto di democrazia ai danni dei cittadini del Wisconsin si conti un Congresso a maggioranza repubblicana, tanto alla Camera che al Senato, per la verità non stupisce. Quel che colpisce, invece, è la completa mancanza di tutele provenienti dal giudiziario, tanto statale, quanto soprattutto federale, schierati entrambi sulla linea del colore politico repubblicano.
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La posta in gioco nelle elezioni del Wisconsin non erano, infatti, solo le primarie ma, come si è detto, altresì la possibile sostituzione del giudice repubblicano della Corte Suprema statale, Daniel Kelly: qualora meno democratici fossero andati a votare, anche per le primarie, certamente meno voti sarebbero andati alla loro candidata alla Corte Suprema statale, Jell Karofsky, avversaria di Kelly. Ebbene si dà il caso che, fra le future decisioni che la Corte Suprema statale del Wisconsin sarà chiamata ad assumere a breve, vi sia anche la questione delicatissima di chi potrà votare alle presidenziali di novembre, con tutto il peso che la pronuncia avrà, se solo si pone mente al fatto che nel 2016 una manciata di voti dei cittadini del Wisconsin aveva potuto fare la differenza nella consegna della vittoria a Trump, invece che a Hillary Clinton.
Ecco perché, quanto avvenuto in Wisconsin nelle ultime ore, appare come il crollo dello stato di diritto e -soprattutto in vista dei prossimi appuntamenti elettorali- non può non inquietare chi ripone ancora fiducia nelle Corti di giustizia, nella loro veste di garanti super partes della legalità del gioco democratico.
Fra i moltissimi cittadini del Wisconsin che martedì 7 aprile, sfidando il coronavirus, per ore si sono messi diligentemente in coda alle urne -facendo in tal modo coraggiosamente prevalere quei principi democratici che le Corti non hanno saputo e voluto proteggere- nessuno poteva però immaginare quanto stesse correndo un rischio inutile, almeno per quel che riguarda le primarie. Il giorno dopo infatti, mercoledì 8 aprile, Bernie Sanders si è ritirato, lasciando Joe Biden da solo nella sfida di novembre contro Donald Trump.
(9 aprile 2020)




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