DIARIO DELLE PRIMARIE / 2 – La vetrina dell’Iowa
Elisabetta Grande
Con i caucuses dell’Iowa inizia una partita importante fra i democratici per la scelta del candidato da contrapporre a Trump alle prossime presidenziali di novembre.
Nonostante si tratti di un piccolo Stato con pochi delegati da inviare alla convention nazionale, pur tuttavia l’Iowa, che è tradizionalmente il primo Stato in ordine temporale in cui si svolgono le selezioni popolari, rappresenta un appuntamento importante nel quadro generale delle primarie. E ciò almeno a partire dal 1972, ossia da quando furono messe in atto nuove e più democratiche procedure di selezione del candidato alla gara presidenziale.
L’ultima tornata elettorale prima di allora, ossia quella del 1968 – che si era svolta in un clima di tensioni senza precedenti a causa delle veementi proteste contro la guerra in Vietnam – aveva infatti visto la vittoria dell’allora vicepresidente Hubert Humphrey su Eugene McCarthy. E ciò nonostante quest’ultimo, grazie alle sue posizioni contrarie alla guerra, avesse ottenuto il consenso popolare nei pochi Stati in cui le primarie si erano svolte, mentre il primo non ne avesse vinta neppure una. I delegati, infatti, prima del 1972 non provenivano necessariamente dalla base, ma venivano scelti soprattutto dai vertici del partito, in particolare negli Stati in cui le primarie non avevano luogo.
La vittoria di Nixon nel 1968 e la forte insoddisfazione per le scelte troppo elitarie effettuate dal partito democratico avevano così dato l’avvio ai lavori di una commissione, che per il 1972 aveva messo a punto un nuovo sistema di selezione dei candidati alla gara per la presidenza della repubblica, volto a privilegiare il consenso popolare tramite primarie e a ridurre fortemente il ruolo delle élites politiche nella scelta dei delegati alla convention nazionale. Dopo di allora, per chiunque avesse cercato la vittoria alla convention, sarebbe stato assai imprudente non partecipare a tutte -o quasi- le primarie (o caucuses).
Il primo a seguire il suggerimento che proveniva dalla riforma fu George McGovern, senatore del South Dakota, ossia proprio colui che insieme Donald Frase aveva presieduto la commissione che l’aveva varata. McGovern, osteggiato da un establishment che si era ritrovato penalizzato dalle nuove regole sulle primarie alla cui costruzione egli aveva contribuito, era tutto fuorchè un candidato forte. Di fronte a lui si stagliava come un gigante Edmund Muskie, designato quale vicepresidente alla convention nazionale del 1968 e considerato sicuro vincitore della nomina a candidato presidenziale del partito democratico nel 1972.
I caucuses dell’Iowa, primi della sequenza di primarie che dal 1972 cominciarono ad avere luogo in quasi tutti gli Stati, condotti ora secondo le nuove regole democratiche, dovevano però consegnare a McGovern un insperato assist. Il confronto con Muskie lo aveva infatti visto sconfitto, ma la percentuale di voti ottenuti dal primo fu talmente più bassa di quel che ci si aspettava e quella di McGovern così più alta, che il nome di quest’ultimo cominciò a circolare insistentemente nei media nazionali attirando l’attenzione popolare. Il risultato finale fu una sorprendente vittoria di McGovern su Muskie alla convention nazionale.
Nella tornata elettorale successiva, quella del 1976, l’effetto valanga del piccolo stato dell’Iowa venne confermato. Si trattava questa volta della figura del futuro presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, che ancora forse più di McGovern partiva con pochissime speranze. Forte della lezione appresa dall’esperienza di quest’ultimo, Jimmy Carter, che aveva alle spalle un solo turno di governatore della Georgia ed era assai poco conosciuto, cominciò la sua campagna in Iowa ben un anno prima. Al momento dei caucuses dell’anno successivo Carter fu così in grado di assicurarsi la vittoria nel piccolo Stato del midwest, ciò che -grazie alla notevole copertura mediatica ottenuta- gli diede l’abbrivio necessario a una sorprendente conquista della vittoria finale.
E’ questa la storia che spiega il forte interesse che ancora oggi i caucuses dell’Iowa rivestono nel panorama nazionale. D’altra parte, proprio per la loro capacità selettiva in via anticipata dei candidati alle presidenziali, che resta vera ancora oggi – si ricordi che solo nel 2016, Martin O’Malley dopo il magro risultato in Iowa si ritirò dalla competizione, lasciando Hillary Clinton e Bernie Sanders da soli a concorrere per la carica- i caucuses dell’Iowa sono sempre più criticati.
La tradizionale collocazione dell’Iowa quale primo Stato in cui si svolgono le selezioni nazionali per il candidato democratico rischia, infatti, per la forte spinta propulsiva o interruttiva rispetto ad alcuni candidati che ne deriva, di rappresentare un fattore distorsivo per la democrazia. La base elettorale troppo esigua rispetto a Stati più rappresentativi dal punto di vista numerico e soprattutto troppo poco diversificata dal punto di vista culturale e etnico (l’Iowa è uno Stato rurale -conosciuto per avere una maggior densità di maiali piuttosto che di umani- la cui popolazione è in stragrande maggioranza bianca) gli attribuisce, infatti, una prerogativa selettiva che condiziona i risultati della competizione in maniera “unfair” rispetto agli altri Stati. Ciò è oggi più che mai vero in un contesto nazionale in cui ci si aspetta che i neri rappresentino un quarto degli elettori.
Sia come sia, i caucuses dell’Iowa che stanno per prendere l’avvio costituiscono un appuntamento strategico, cui solo Michael Bloomberg fra i candidati principali del 2020 ha deciso fin dall’inizio di rinunciare per concentrarsi sul SuperTuesday.
Nella rinuncia alla competizione si è da poco associata Tulsi Gabbard, che pare abbia dimostrato di voler appoggiare Bernie Sanders. La partita si gioca quindi soprattutto fra quest’ultimo, Joe Biden, Pete Buttigieg ed Elizabeth Warren: tutti candidati abbastanza vicini fra di loro nei sondaggi e al di sopra o vicini al fatidico 15% necessario per ottenere delegati. Un recente sondaggio della Monmouth University dà infatti Biden e Sanders in statistica parità (Biden al 23% e Sanders al 21%), con Buttigieg al 16 % ed Elizabeth Warren al 15%. Sempre in forza dei sondaggi stanno per il momento a maggior distanza Amy Klobuchar, Andrew Yang e Tom Steyer.
(3 febbraio 2020)
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