DIARIO DELLE PRIMARIE / 23 – Do you remember nomination?

Elisabetta Grande


Con pochissimi delegati pledged ancora da assegnare, dopo il mini super martedì appena trascorso – in cui si è votato in 7 stati e a Washington D.C.- e le elezioni del 6 giugno in due territori americani, la conta finale consegna a Joe Biden 2011 delegati. Ciò significa che l’ex vicepresidente di Obama ha raggiunto (già il 5 giugno) il numero di delegati formalmente necessario per ottenere la nomination quale candidato alla presidenza per il partito democratico alla Convention di agosto. Non si tratta per la verità di una sorpresa, giacché Biden correva ormai da solo. E’ forse più interessante notare come, nonostante si sia ritirato dalla corsa, Bernie Sanders continui a guadagnare delegati, che sono oggi un totale di 1047. Dopo lo scoppio di una rivolta dal basso senza precedenti negli Stati Uniti, scatenata dall’assassinio razzista di George Floyd, la domanda che viene da porsi è: cosa mai sarebbe successo se Sanders l’8 aprile scorso non avesse rinunciato alla corsa a favore del candidato dell’establishment. Avrebbe il senatore socialista del Vermont saputo intercettare lo spirito della protesta più di quanto non riuscirà a fare Joe Biden?

Per quanto alle primarie, già a partire dalle elezioni del South Carolina -dove Biden aveva raccolto il 64% dei voti neri contro un misero 15% andato al senatore del Vermont-, sia stato proprio il popolo nero (dell’establishment) a tradirlo, la rabbia di chi oggi protesta sembra esprimere esattamente il disagio di cui il programma di Sanders mirava a farsi carico. Se il voto di chi non smette di manifestare la propria indignazione per le strade degli Stati Uniti non sarebbe comunque andato a Trump nelle elezioni di novembre, la domanda è se – assente Bernie Sanders – Joe Biden saprà raccoglierne l’eredità, ottenendo il consenso di chi di norma non vota, ma che – forte della spinta sociale verso il cambiamento – a novembre potrebbe farlo.

Difficile crederlo. Nonostante Sanders permanga presente alla Convention con i suoi numerosi delegati e abbia costituito con Biden delle task forces volte ad affrontare vari temi programmatici, il mondo delle rivendicazioni politiche di strada sembra muoversi su un piano completamente separato rispetto a quello della politica rappresentativa, che da tempo ormai non lo rappresenta più, e – senza Sanders candidato alle presidenziali – il possibile raccordo fra l’uno e l’altro pare svanito.

Non solo Biden non ha mai fatto proprio – neppure in parte – un programma come quello di Bernie, che oggi viene significativamente definito “radicale”, ma che ai tempi di Franklin Delano Roosevelt sarebbe stato visto come una semplice e necessaria piattaforma di equa distribuzione delle risorse del paese; “sleepy Joe” ha anche, infatti, nel suo curriculum vitae politico varie clamorose pecche nei confronti dei deboli, in particolare Afro-Americani. La più clamorosa di tutte appare oggi il convinto sostegno, di cui si è tante volte pubblicamente vantato, a una legge che ha contribuito in maniera notevole alla caccia del popolo nero (con quel che ciò comporta in termini di abusi della polizia), alla sua carcerazione in massa e in ultima analisi alla sua decimazione. Si tratta del Violent Crime Control and Law Enforcement Act del 1994, con il quale furono stanziati ben 30 miliardi di dollari per allargare lo spettro della repressione penale ai danni soprattutto degli Afro-Americani. Con quella normativa vennero per esempio assegnati 9.7 miliardi di fondi federali – sottratti alla costruzione di case popolari – all’edificazione di nuovi istituti penitenziari, in un periodo in cui i sistemi federali e statali – insieme – aprivano una prigione alla settimana per stare al passo con l’incremento della popolazione carceraria. Venne, poi, ampliata la gamma di reati federali puniti con la pena di morte, statisticamente applicata in maniera preponderante e discriminatoria ai neri; entrò in vigore la legge del terzo strike a livello federale, con il suo carico di aumento di pene fino all’ergastolo obbligatorio per i recidivi, anche se autori di reati non particolarmente gravi; e vennero assunti 100.000 nuovi poliziotti, che avrebbero messo in atto una strategia nei confronti dei giovani neri americani da molti paragonata alla missione di “search and destroy” (localizza e distruggi) usata a suo tempo in Vietnam per annientare il nemico.

Difficile con un simile pedigree credere in una resipiscenza di Joe Biden, che non sia puramente strumentale all’ottenimento di voti a novembre, e non è davvero una sorpresa che la sua recente promessa di mettere immediatamente in piedi una commissione di controllo e sorveglianza della polizia nazionale, qualora eletto presidente, lasci scettici molti.

Più credibili sembrano invece i sindaci di città che, come il democratico Eric Garcetti di Los Angeles, paiono finalmente disposti a diminuire i fondi esagerati che dappertutto sono finora stati stanziati per la polizia e per i suoi equipaggiamenti militari, a vantaggio di quei servizi sociali che -oggi più che mai- sono indispensabili alla sopravvivenza dei tantissimi, messi a dura prova dall’avvento del coronavirus. Se si pensa che la città di New York assegna quasi 6 miliardi per il funzionamento del NYPD (New York Police Department), mentre taglia dell’80% le spese per l’istruzione e altre esigenze sociali, diventa chiaro quanto una protesta che ottenesse un cambiamento di rotta a livello locale potrebbe essere più efficace dell’elezione di un presidente democratico come Biden. Accanto al defund della polizia, richiesto a gran voce dai manifestanti, un ulteriore e fondamentale passo da muovere è il cambiamento nell’addestramento dei poliziotti che, da militari alla ricerca del nemico, dovrebbero ritornare ad essere formati come funzionari pubblici al servizio della protezione dei cittadini. In questo senso un disegno di legge, non sorprendentemente assai osteggiato dai sindacati di sceriffi e polizia, è in procinto di diventare legge in Michigan.

Se dunque l’attuale rivolta sociale difficilmente sembra capace di dare direttamente una mano a Biden nelle elezioni di novembre, quanto la stessa potrà aiutarlo in via indiretta, togliendo cioè voti al suo avversario?

I sondaggi dicono che per la prima volta negli Stati Uniti un numero altissimo di bianchi (il 71% per l’esattezza) ammette l’esistenza di un grave problema di discriminazione razziale nel proprio paese e che, da quando di fronte alle proteste ha dichiarato “when the looting starts, the shooting starts” (ossia “quando il saccheggio comincia, comincia pure la risposta armata”), nel giro di poche ore Donald Trump ha subito un crollo di 10 punti percentuali nel tasso di consenso degli indipendenti, con picchi di 17 punti fra gli elettori di una certa età.


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Trump, però, ha dalla sua parte la piccola ripresa dell’economia verificatasi nel mese maggio col recupero di 2 milioni e mezzo di posti di lavoro rispetto al mese precedente, in cui se ne erano persi la bellezza di 20. Un recupero assai insignificante, a dire la verità, rispetto alla velocità senza precedenti con cui la disoccupazione ha falcidiato le famiglie americane in questi mesi di coronavirus. Dal 3,6% di disoccupazione di febbraio si è passati al 13, 3 % di maggio, transitando per un 14,7 % di aprile. Gli economisti ci fanno sapere come per un vero recupero occorra immaginare un periodo di tempo lungo dieci anni e come, calcolando la disoccupazione contando anche coloro che hanno smesso di cercare lavoro e quelli che vorrebbero un lavoro a tempo pieno avendone uno a tempo parziale, i numeri siano tutt’altro che rassicuranti: a fronte di un 7% in febbraio, la disoccupazione nel mese di maggio – infatti – è del 21%.

Donald Trump come sempre gioca d’azzardo e da buon pokerista scommette sul desiderio di ripresa economica di un paese terrorizzato dalla crisi, sbandierando le pochissime carte a suo vantaggio. Ce la farà in questo modo a riprendersi quel consenso degli indipendenti che sembra aver perso per strada con il suo atteggiamento di law and order nei confronti dei perdenti dei processi sociali in rivolta?
(8 giugno 2020)




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