DIARIO DELLE PRIMARIE / 26 – La Convention democratica ignora la sua base sociale
Elisabetta Grande
Giovedì 20 agosto con la più strana delle Convention nazionali democratiche mai tenutasi nella storia, la cui sede formale era Milwaukee, Wisconsin, ma il cui svolgimento è di fatto avvenuto interamente on air, si sono chiuse le primarie democratiche 2020 e con la loro conclusione volge al termine anche questa rubrica che le ha seguite.
Le Convention hanno come scopo di galvanizzare l’opinione pubblica non soltanto per via dei discorsi che vi si tengono, ma soprattutto per il contatto fisico con la gente che vi ha luogo, nella speranza di un effetto moltiplicatore dell’entusiasmo che nasce dall’evento, in cui tante persone incontrandosi si trasmettono mutualmente energia. Questa Convention non è però andata così. Si è trattato di una carrellata di video pre-memorizzati, o di interventi andati in onda in diretta, ma registrati a distanza, che hanno trasformato l’incontro in un evento puramente mediatico da seguire da casa.
L’intera campagna elettorale delle primarie si è d’altronde svolta secondo le nuove regole del distanziamento sociale, che certamente hanno reso difficile ai democratici raggiungere i propri potenziali elettori. Chiuso dalla metà di marzo nel suo seminterrato nel Delaware, Joe Biden ha perso la magia del contatto fisico con la sua base e con lui l’hanno persa tutti coloro che non avendo potuto condurre la tipica campagna porta a porta – analoga a quella che aveva caratterizzato per esempio la vittoria di Barack Obama – hanno dovuto rinunciare al clima di entusiasmo collettivo che crea il senso di appartenenza a un gruppo politico.
Sotto tono è apparsa d’altronde anche la Convention nazionale che, nonostante i 70 milioni raccolti durante il suo svolgimento, ha visto un crollo di audience televisiva di quasi 18 punti percentuali rispetto al 2016. Cosa questo significherà in termini di risultato elettorale il 3 novembre (sempre che la data venga mantenuta, considerati i mille problemi legati in tempi di pandemia a un servizio postale in affanno e ultimamente addirittura sottodimensionato dal suo Postmaster generale Louis Dejoy) è difficile dire. Ciò che è sicuro è che la carrellata degli interventi che sono andati in onda da lunedì 17 a giovedì 20 agosto hanno riprodotto un copione stantio di luoghi comuni e dato un’immagine del partito democratico sideralmente lontano da quelle piazze che ancora oggi – nonostante se ne parli sempre meno – invocano come non mai misure radicali per un cambiamento, non soltanto di facciata, delle politiche economico-razziali che da quarant’anni a questa parte hanno consentito a pochi bianchi ricchi di depredare tutti gli altri, in particolare se neri.
Non solo, infatti, è stata riprodotta la solita combinata famiglia tradizionale-politica, con tanto di partecipazione di mogli, mariti e parenti vari (per Kamala Harris ha per esempio parlato la sorella) a sugello di una connessione immediata fra correttezza familiare – secondo i canoni classici – e lealtà politica, e un Bill Clinton che, per fare dimenticare gli incresciosi motivi del suo impeachment presidenziale e veicolare l’impressione di un armonico quadretto di famiglia, è intervenuto dallo stesso salotto da cui ha parlato la moglie Hillary. Anche la religione e l’invocazione di Dio a protezione del candidato alla presidenza hanno fatto da sfondo agli interventi della Convention democratica, con Jill Biden che nel racconto strappalacrime di un buonissimo e assai forte marito e padre – forse anche per bilanciare le affermazioni di Trump che ne aveva precedentemente messo in dubbio la fede – ha sottolineato come Joe sia guidato nella sua missione dalla provvidenza divina.
La maggior distanza rispetto a una piazza che chiede mutamenti di rotta radicali rispetto alle precedenti politiche, anche democratiche, sta però nell’assenza di programmi di sostegno a favore di quel 60 per cento degli americani che in tempi di coronavirus si è accorto di non avere risorse sufficienti a sopravvivere neppure per tre mesi, o dei 30 milioni di individui cui la covid19 ha tolto il lavoro o dei 53 milioni di lavoratori che già prima della pandemia erano sostanzialmente dei working poor. Né il Medicare for All, cavallo di battaglia di Bernie Sanders, rientra nei piani del partito democratico, nonostante il virus impazzi e chi non ha un’assicurazione si trovi senza le cure necessarie. Per non parlare dell’assenza di una proposta di reddito di base garantito, di un serio green new deal o della possibile abolizione dell’Immigration and Custom Enforcement, che rappresentavano altrettante promesse elettorali – di immediata o futura attuazione – dello sconfitto senatore del Vermont.
Per quanto Trump dipinga Joe Biden e Kamala Harris come un ticket di sinistra radicale non è certamente all’elettorato di sinistra che il partito democratico ha dimostrato di rivolgersi in questa Convention.
L’aver concesso poco più di 60 secondi ad Alexandria Ocasio-Cortez, ma assai più tempo a repubblicani come il governatore dell’Ohio, John R. Kasich o addirittura all’ex segretario di stato di George W. Bush, Colin Powell – responsabile della guerra più corrotta e ingiustificata degli ultimi tempi, quella in Iraq del 2003 – il quale ha celebrato Biden per aver mandato in guerra il suo figlio prediletto, è davvero emblematico di quale elettorato il partito democratico voglia attrarre. Certamente non il popolo delle proteste, ma i repubblicani che non vogliono Trump. È un film già visto nel 2016, quando Chuck Schumer disse che con una politica moderata, per ogni elettore democratico perso se ne sarebbero guadagnati 3 repubblicani. Non andò così allora e il timore è che non si sia fatto tesoro delle esperienze passate.
D’altronde anche la scelta di Kamala Harris – come questo diario aveva già sottolineato qualche tempo fa – per quanto rivoluzionaria per genere ed etnia, è volta a prendere i voti dei moderati, non sicuramente degli elettori della piazza. Nonostante sia donna e nera, Kamala è stata un pubblico ministero decisamente “tough on crime”, ossia animata da una politica di forte uso del penale, soprattutto nei confronti della criminalità comune, ma anche assai indulgente verso una polizia che ha sempre abusato delle proprie prerogative, brutalizzando i tanti George Floyd di turno. Un tratto che certamente non può essere apprezzato da chi oggi chiede una giustizia penale più equa e meno razzista, a fronte dello sproporzionato numero di persone povere e nere rinchiuse nelle carceri americane, che anche la Harris ha contribuito a perseguire e condannare, domandando per esempio l’applicazione di sanzioni penali perfino nei confronti dei genitori dei bambini che marinano la scuola, i quali com’è noto appartengono agli strati più a disagio della popolazione, di regola nera.
Si è trattato insomma di una Convention luccicante e un po’ spettacolare, lontana dal cuore e dalle esigenze dei tantissimi che hanno bisogno di rassicurazioni concrete e di messaggi di speranza per il proprio futuro in questo momento di gravissima crisi economica. E’ stata una Convention che non ha dimostrato attenzione verso la cura di un’altra epidemia, quella sociale, che è cominciata negli Stati Uniti molto prima dell’arrivo del
la covid19. Dal 2000 al 2017 sono morte per overdose negli Usa più persone di quante ne siano morte complessivamente durante la prima e la seconda guerra mondiale, ci raccontano Anne Case and Angus Deaton in Deaths of Despair and the Future of Capitalism (2020). Si tratta di bianchi poco istruiti e di estrazione sociale medio-bassa, che si suicidano – principalmente con oppiacei legalmente venduti – per la disperazione derivante dalla mancanza di senso in una vita in cui non hanno più un lavoro dignitoso. Nel solo 2017 sono morte suicide, per overdose o malattie correlate all’abuso di alcool, circa 158.000 persone. “È come se ogni giorno di quell’anno tre Boeing 737 MAX si fossero schiantati, causando la morte di tutti i passeggeri”, sintetizza Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
Un partito democratico che avesse dato risposte concrete ai bisogni della gente e alla metà più povera della popolazione che negli ultimi trent’anni si è impoverita, a fronte dell’arricchimento esagerato di pochissimi, si sarebbe certamente rivolta alla sua base naturale e alla gran parte di quei 100 milioni di persone che nel 2016 non hanno votato per mancanza di fiducia nella politica, ottenendone forse la partecipazione.
A fronte dei sondaggi che negli ultimi giorni hanno visto ridursi fino a soli 4 punti percentuali i margini a favore di Biden contro Trump, la vittoria del ticket democratico è tutt’altro che scontata. Correre su una piattaforma di centro e moderata, come nella loro Convention nazionale i democratici hanno scelto di fare, non è forse stata allora la più lungimirante delle scelte.
(24 agosto 2020)
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