Dipingere ancora
Mariasole Garacci
Alessandro Scarabello, uno dei pittori italiani più interessanti della sua generazione, espone a Roma i suoi lavori recenti. Fedele al suo medium d’elezione, la ricerca di questo artista promette che la pittura – quella di ieri, quella di oggi – non cesserà mai di significare ciò che non si può tradurre in parole.
“Tutti questi dipinti sono formidabili ma nessuno è perfetto”. E’ l’anziano critico musicale Reger, personaggio di Antichi maestri di Thomas Bernhard, a dichiararlo a noi e al protagonista Atzbacher attraverso la cronaca dell’attento custode del Kunsthistorisches Museum di Vienna, dove a giorni alterni, da anni, si reca a osservare il Ritratto d’uomo con la barba bianca di Tintoretto. Un’orchestrazione di punti di vista tipica di Bernhard: un uomo guarda un dipinto ed è osservato da un altro, mentre entrambi sono osservati da un terzo. Un vertiginoso gioco di specchi e discorsi riportati in cui la realtà si scompone fino a rivelarsi inafferrabile. Perché inafferrabile è l’essenza di ciò che racconta, la visione, e inafferrabile l’oggetto di quest’ultima. Ma cosa cerca Reger in quel ritratto di Tintoretto? Perché si concentra su un solo dipinto? Cosa possiamo vedere in un’opera d’arte?
Quando, una decina d’anni fa, vivevo a Venezia, passavo molte ore della giornata (e della notte) perlustrando febbrilmente la laguna e perdendomi (in tutti i sensi) in un sogno a occhi aperti interrotto solo dalle ore trascorse (distrattamente!) a lavoro. Il mio sguardo era riempito da una quantità di opere di altissimo livello quasi insostenibile, perché i percetti dell’arte appartengono a una gamma incomunicabile a parole, intraducibile in stati di fatto. In quel continuum di arte e bellezza, un giorno mi imbattei per la prima volta in un altro dipinto di Tintoretto, conservato nel presbiterio della basilica di San Giorgio Maggiore: era il grande telero raffigurante gli ebrei nel deserto che raccolgono la manna caduta dal cielo. Sotto il dipinto, c’era una targhetta di carta ammuffita che recitava così:
JACOPO TINTORETTO
CAPOLAVORO:
LA CADUTA DELLA MANNA
(1591)
CAPOLAVORO:
LA CADUTA DELLA MANNA
(1591)
Ecco, il fatto che fosse specificata la categoria di “capolavoro (due punti, accapo!)” mi fulminò, e risolsi il vago disagio che provavo scoppiando a ridere tra me e me. Cosa siamo chiamati a fare, pensare, capire, cogliere, davanti a un capolavoro-duepunti-accapo? Dobbiamo ammirarlo? Il disilluso Reger del romanzo di Bernhard, davanti all’opera d’arte di un antico maestro va a caccia di errori, perché “il tutto e il perfetto” – specie se dichiarato tale – gli è insopportabile, gli sembra falso e atroce: in questo modo, trasforma quei dipinti compiuti in addizioni di frammenti.
In questa lunga premessa, ho proposto alcuni elementi: la capacità dello sguardo; il continuum, il tutto e il perfetto; il frammento. Perché la ricerca di un pittore contemporaneo come Alessandro Scarabello, che fino al 28 febbraio espone da The Gallery Apart i suoi lavori più recenti in una mostra intitolata I still paint (Recent works 2017-2019), risponde a mio parere a questo ordine di riflessioni. E nonostante sembri o si tema che in pittura sia già stato detto tutto proprio da quegli “antichi maestri” che Scarabello conosce molto bene (Rosso Fiorentino, Rogier Van der Weyden, Tintoretto, Merisi, Velázquez, Goya), e anche da quelli che antichi non sono ma che sono entrati nel canone, e a cui Scarabello guarda (Pellizza da Volpedo, Michetti, Picasso, Hopper, Bacon, Boccioni, Scipione, De Pisis, Gino De Dominicis), lui dipinge ancora. E se sembra che, appunto, non ci sia più nulla di cui meravigliarsi, ecco che il frammento di cui il vecchio Reger era in cerca si stacca come una scheggia incandescente e nei dipinti di Scarabello diventa anarchico, surreale, polisemico, inquietante. Non parlo necessariamente di un elemento: anche un’idea, un modo, la trasparenza di una pennellata grassa che si volta sulla superficie della tela.
A questo punto, che la pittura sia figurativa o astratta è irrilevante: si tratta di un rapporto tra le forme e la loro simbologia o le libere associazioni che riescono ad attivare in chi le guarda, facendo recuperare quello stato ancora anarchico, in cui i nessi sono ancora indefiniti, osservabile nei disegni infantili. Uno stendino metallico che diventa una fenice, un fantoccio che ricorda Goya, una tenda o una tavola imbandita dipinta con sontuosità veneziana, le linee curve di due amanti uniti come Leda e il cigno, acquistano così una presenza che ancora ci irretisce nel meccanismo della visione, e ci promette che la pittura – quella di ieri, quella di oggi – non cesserà mai di significare ciò che non si può tradurre in parole.
Alessandro Scarabello
I still paint (Recent works 2017-2019)
www.thegalleryapart.it
(24 gennaio 2020)
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