Laicità, cinque domande agli aspiranti premier

Daniele Garrone

Lettera aperta del pastore protestante valdese Daniele Garrone, uno dei maggiori esperti di Bibbia in Italia, ai candidati a essere presidenti del Consiglio. Fine vita, divorzio, coppie di fatto, uguaglianza di tutte le confessioni religiose, cittadinanza ai figli degli immigrati: tutte questioni “laiche” indicanti la “qualità” di una nazione.

*, da Lucidamente.com

Egregio signor candidato alla presidenza del Consiglio dei Ministri, come molti altri elettori ed elettrici non ho ancora scelto per chi votare alle prossime elezioni politiche. Mancano, a mio avviso, proposte convincenti di cambiamenti profondi, di riforme incisive e durature per affrontare la crisi economica e soprattutto lo sfacelo della politica e il degrado della vita civile, che ci affliggono non meno della crisi economica. Le scrivo per chiederle di pronunciarsi in modo esplicito e vincolante su alcuni temi che non sono al centro della campagna elettorale; sono problemi che attengono ai diritti, alle libertà, alla cittadinanza; questioni tipicamente «liberali», cioè legate a una cultura che non ha mai mobilitato i due grandi partiti di massa protagonisti di decenni della storia politica della nostra Repubblica.

1. In violazione dell’art. 32 della Costituzione della Repubblica, i cittadini non possono esercitare il loro diritto a decidere sull’utilizzo o la sospensione di cure mediche con disposizioni di «fine vita». In altre democrazie, ciò è lecito e normato. In Germania esiste persino un «testamento biologico cristiano», approvato anche dalla Conferenza episcopale cattolico-romana di quel Paese. L’Italia è invece ridotta a una sorta di stato etico, in cui il legislatore adotta come vincolanti per tutti i criteri etici di una parte soltanto dei suoi cittadini, in questo caso i dettami e i veti delle gerarchie cattolico-romane, quando – oltre tutto – i sondaggi indicano come largamente prevalente un orientamento favorevole alla libertà di scelta. Condivide l’urgenza di garantire la libertà di poter disporre per la sospensione delle cure o per la loro prosecuzione? Può assumere la garanzia di questa libertà come impegno di governo?

2. In Italia è stato finora impossibile accorciare i tempi del divorzio, persino nei casi in cui la richiesta è avanzata consensualmente dai coniugi. Non è compito del legislatore incoraggiare oppure ostacolare questa o quella concezione del matrimonio (sacramento indissolubile, patto rescindibile). Condivide questa visione? Se sì, che impegni prende perché sia posta fine all’inutile e vessatorio prolungamento dell’iter del divorzio?

3. Nessun riconoscimento è accordato in Italia alle unioni diverse dalla famiglia cosiddetta «naturale», siano esse eterosessuali o tra persone dello stesso sesso. Come lei sa bene, non è una questione ideologica: cittadini coinvolti in stabili relazioni affettive vengono deprivati di diritti a altri accordati. Che impegno assume riguardo a questo problema, che vede l’Italia notevolmente arretrata rispetto ad altre democrazie?

4. L’uguaglianza di tutte le confessioni religiose davanti alla legge, solennemente sancita nella nostra Costituzione, non è pienamente attuata. Non mi riferisco qui al regime privilegiario adottato per la Chiesa cattolica con l’art. 7 della nostra Costituzione e a tutto ciò che ne è derivato; so bene che questo, in Italia, è una sorta di tabù. Vi sono confessioni e religioni che non riescono ad addivenire alle intese previste dall’art. 8; vigono ancora in parte norme della legge sui culti ammessi del 1929. Condivide l’idea di approvare una legge quadro sulla libertà religiosa? Come intende affrontare il fatto che alla uguale libertà di tutte le confessioni davanti alla legge, sancita dalla Costituzione, corrisponde una gamma di diversi trattamenti giuridici?

5. Come intende rispondere alla proposta, sostenuta anche dal presidente della nostra Repubblica, di conferire – superando così lo ius sanguinis – la cittadinanza a quegli immigrati che siano nati nel nostro paese? Non le sembra una vergogna da eliminare? Conviene con me che il conferimento della cittadinanza è un interesse della Repubblica, se essa si concepisce come patto di cittadinanza?

Altre questioni, altrettanto importanti, dovranno essere affrontate dalla politica nei prossimi anni: la fecondazione assistita; la libertà della ricerca scientifica… Bastano i temi che le propongo a saggiare l’idea di laicità che lei intende porre alla base del suo programma di governo. Per chiarire il mio punto di vista e forse anche per agevolarle la risposta, le espongo la mia: intendo la laicità come neutralità dello Stato in campo religioso e ideologico e vedo nello Stato il garante della libera professione di tutte le idee, il custode dei diritti inviolabili di ogni cittadino e cittadina. Lo statuto della buona politica non è quello di partire dalla Verità, in vista del Bene, ma quello di trovare soluzioni eque, ragionevoli, per salvaguardare e valorizzare le libertà, accrescere la giustizia e tutelare chi, tra i cittadini, è più debole. Qualunque siano le valutazioni politiche che potrebbero orientarmi verso l’uno o l’altro degli schieramenti in campo, sarà per me dirimente quale posizione esplicita e vincolante essi assumeranno sui temi che ho indicato.

Immagino un’obiezione: di fronte agli altri gravi problemi che abbiamo, queste sono preoccupazioni secondarie…; in fondo non riguardano tutti… Sono però convinto che dobbiamo urgentemente recuperare – o scoprire? – una cultura politica ispirata ai concetti di cittadinanza, libertà e diritti, laicità che, come lei sa, comporta anche doveri assunti con la responsabilità del libero cittadino e un forte senso delle istituzioni e della Repubblica. Quello che, a mio avviso ci serve per impugnare lo sfacelo della politica e reagire attivamente al degrado della vita civile. Libertà, cittadinanza e diritti non sono un capriccio, ma la cartina al tornasole della qualità di una Repubblica.

* biblista e pastore protestante valdese

(20 febbraio 2013)



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