Don Carlo Molari: “Nella Chiesa contemporanea il laicato deve essere più importante del clero”

Luciano Salsi

, da La Gazzetta di Reggio, 15 aprile 2011

REGGIO. Il cesenate don Carlo Molari, docente di teologia dogmatica a Roma, trae la disponibilità al dialogo dalla straordinaria esperienza del Concilio ecumenico Vaticano secondo, a cui partecipò come membro della segreteria della commissione dottrinale. Oggi egli lamenta che lo spirito del Concilio si sia attenuato, mentre le sue simpatie vanno ancora alle associazioni ecumeniche e ai movimenti per la pace, fertili terreni di incontro fra credenti, non credenti e diversamente credenti.
Alle Giornate della Laicità parteciperà confrontandosi direttamente con Paolo Flores d’Arcais sul tema «La dottrina cattolica è compatibile con la democrazia?». Gli chiediamo, anzitutto, di spiegare le ragioni della sua partecipazione.

Le autorità ecclesiastiche, in genere, ritengono impossibile dialogare con gli organizzatori di questo convegno. Perchè lei fa eccezione?
«Sono convinto che il dialogo debba essere portato avanti in tutte le situazioni, anche quelle meno favorevoli. Esso è sempre opportuno».

Le occasioni più utili di confronto si sono offerte sul piano della ragion pratica, cioè della morale e della politica. Lei crede che il dialogo possa svilupparsi anche sul piano teoretico?
«Come teologo dogmatico penso che il dialogo sia possibile anche nell’ambito dottrinale. La stessa iniziativa del Cortile dei Gentili, voluta da Benedetto XVI, riguarda il confronto sul piano dottrinale. Il credente sa che deve confrontarsi con il non credente sullo stesso piano. Noi stessi dobbiamo apprendere dai non credenti».

Eppure l’interesse del pubblico non è rivolto tanto verso i sommi principi, quanto in direzione di questioni etiche come l’eutanasia o il trattamento degli embrioni.
«Di tali problemi non sono competente. Alle Giornate della laicità discuterò della democrazia».

Sarebbe interessante, allora, vedere se la Chiesa accetta o no la sovranità popolare.
«Nell’Ottocento la Chiesa condannava la democrazia poiché non utilizzava la categoria del popolo di Dio. Oggi, invece, il giudizio è mutato. Un cattolico non può essere contrario ai principi della democrazia».

Si può obiettare che l’ordinamento interno della Chiesa non è affatto democratico.
«La struttura della Chiesa si è formata nei secoli attraverso l’esperienza di tutti. Il potere emerge come esperienza di fede che chiunque può compiere, anche in ambito profano. Questa è la fonte della dottrina».

Ma i laici sono esclusi dal governo della Chiesa.
«Non era così in origine. I primi cristiani si rimettevano i peccati gli uni con gli altri. Sant’Ambrogio fu eletto dal popolo per acclamazione. San Benedetto raccolse i laici per realizare una città nuova vivendo in fraternità. Dopo il Concilio sono nati i consigli pastorali. La Chiesa deve ristrutturarsi in modo che il laicato sia più importante del clero».

Vent’anni fa in Italia i cattolici avevano ancora il loro partito, la Democrazia Cristiana. A quale partito dovrebbero oggi fare riferimento?
«Allora c’era una visione statica. Ora sappiamo che non esiste un’unica dottrina politica perfetta, non esiste in questo ambito una verità assoluta. Esistono invece diversi orientamenti di vita, diverse interpretazioni con elementi di verità. Le molteplici esperienze di fede ci conducono a capire passo dopo passo la verità. I cristiani, pur essendo certi che esiste la verità piena, sanno di conoscerla in modo imperfetto e ritengono che l’azione di Dio sia presente in ogni creatura. Perciò sono disponibili alla ricerca, al dialogo, alla conversione continua».

Che cosa pensa del crocifisso? Lei lo toglierebbe dalle aule scolastiche e dai tribunali?
«Nella situazione attuale diventa rischioso toglierlo, ma in linea di principio accetterei che fosse tolto, poichè è usato come emblema di un’identità culturale contrapposta ad altre culture ed è sbagliato imporre agli altri la propria cultura. Invece esso dovrebbe essere inteso come simbolo dell’azione di Dio e del suo amore, un ideale a cui tutti si richiamano».

(15 aprile 2011)

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