don Farinella: Berlusconi sale al Vaticano e il papa scende a palazzo Chigi
Il sogno berlusconiano si è compiuto: sulla via del monte Quirinale, il governo peggiore della storia italiana ha ricevuto la Cresima, officiante papa Benedetto XVI. Che clima primaverile e bucolico! Solo Virgilio avrebbe potuto celebrare l’idillio amoroso aggiungendo una undicesima bucolica alle dieci già esistenti. Che aria distesa! Se si chiudeva l’audio della tv (di Stato) era facile immaginare Melibeo e Titiro che descrivono il dolce tramonto romano, mentre umile e gaio si eleva nel terso cielo dell’Urbe il fumo dei camini! Che « clima cioioso» e festante per la nuova èra italo-vaticana. Il Tevere è ora biologico e le sue acque si possono bere tranquillamente senza più pericolo. La consacrazione e l’incoronazione hanno avuto successo e tutti vissero felici e contenti per la perfetta sintonia di vedute tra Governo e Vaticano. Firmate le transazioni economiche ancora sospese, come le scuole private, rimosso ogni sospetto di autonomia dello Stato, seppellita la nozione stessa di laicità, non ci resta che farci tutti preti e suore e finire gli ultimi giorni in convento o in sacrestia.
Berlusconi, dunque, è apparso al papa in tutta la lunghezza della sua piccola statura (dicono le cronache che per l’occasione abbia rinforzato i tacchi), fiato trattenuto per esprimere i pettorali, segno deciso di un governo decisionista. Come in tutti gli idilli, c’è un «però»: nessuno, però, si fidava del capo Narciso per lasciarlo solo col papa. Per la prima volta nella storia bimillenaria della diplomazia vaticano, il presidente italiano del consiglio dei ministri è accompagnato e assistito, anche durante l’udienza privata, da Gianni Letta, il cardinale Richelieu del caso. Tutti avevano paura del Narciso e delle sue solite gaffes. Il papa temeva che lo abbracciasse e dichiarasse di essere suo convivente di fatto. La curia aveva paura che si sedesse al posto del papa e si auto-proclamasse «Dio che manda in missione i suoi apostoli di partito». La casa pontificia che si travestisse da papa e presentasse il Benedetto come suo autista, oppure che scambiasse qualche prelato effeminato per una donna e la «distendesse» lì nei sacri palazzotti. Era necessario che l’uomo fosse guardato a vista con un cane da guardia accanto. Dicono le indiscrezioni che Gianni la Guardia avesse uno spillone per prevenire e, extrema ratio, una pistola da tasca per farlo fuori in caso di irreparabile necessità. Tutto però è andato bene: per il papa che ha ricevuto le chiavi del governo d’Italia, per Berlusconi che ha visto pompare il suo «super-ego» insaziabile, per tutti tranne che per l’Italia che ora dovrà pagare i conti a saldo.
Apprendiamo con compunto interesse che il cane da guardia, Mons. Gianni (per gli amici e la Segreteria di Sato), è stato insignito delle infule di «Gentiluomo di Sua Santità». Ora sappiamo che non vi sono solo atei devoti, ma anche atei gentiluomini di là e di qua dal Tevere. Questa nomina è significativa perché esprime una duplice fedeltà: il Gentiluomo del papa è anche sottosegretario del presidente del consiglio. A molti è sfuggita la mossa: ora a Palazzo Chigi governa Berlusconi che è governato dal Gianni-Richelieu, che è nominato Gentiluomo dal papa per conto del quale governa il governo delle banane. Las sua prossima nomina sarà: cardinale di Santa Ratzingheriana Chiesa.
Ci sentiamo completamente estranei a questa euforia e a questa, almeno per noi, invereconda sceneggiata: un papa che consacra un uomo come Berlusconi sarà certamente un capo di Stato che fa i suoi interessi, ma cessa di essere un Pastore (anche tedesco) in difesa del bene comune del suo popolo. Avrebbe dovuto dirgli: Non licet che tu ti arricchisca sulle debolezze della gente; non licet che tu vada in guerra; non licet che tu abbia fatto eleggere inquisiti e condannati anche per reati di mafia; non licet che un papa che è padre dei poveri e degli immigrati si presenti alle tv con te accanto: prima vai, vendi quello che hai, dàllo ai poveri, poi vieni e seguimi. Avrebbe dovuto, ma non lo ha fatto. Nonostante ciò, a noi non interessa la diplomazia, o il protocollo o la ragion di Stato, a noi interessa la simbologia dei gesti che parlano più di ogni discorso. Papa Giovanni, nel giorno dell’inizio del suo pontificato (28 ottobre 1958) disse: «Le altre qualità umane, la scienza, l’accorgimento, il tatto diplomatico, le qualità organizzative, possono riuscire di completamento per un governo pontificale, ma in nessun modo possono sostituire il compito di pastore».
Note a làtere:
1. Il cardinale Bagnasco all’assemblea generale della Cei ha fatto la sua prolusione di circa 50 mila parole (dodici pagine). Ci siamo presi la libertà di spulciare. Gesù Cristo è citato solo una volta e in una citazione scritturistica (quindi come se non ci fosse). Anche la parola vangelo non è mai menzionato. Dio è nominato 13 volte di cui 3 in citazioni. Il papa complessivamente è citato 11 volte (+ 5 volte Giovanni Paolo II) e Chiesa ricorre 25 volte.
2. Il capo dei lefebvriani, il vescovo scismatico Fallay, ha dichiarato che non è in vista alcun accordo con il Vaticano perché il motu proprio sul ritorno alla messa preconciliare non è sufficiente: l’accordo si farà solo quando verranno abrogate tutte le riforme del Vaticano II. Con buona pace di chi pensava che la «restaurazione benedettina» fosse in vista del rientro dei lefebvriani. Anzi, questa risposta dimostra che il papa ha agito perché convinto da sé e per sé che il concilio è una sciagura per la Chiesa e si sta impegnando lentamente, pantofola dopo pantofola, paramento dopo paramento, a riportare la gerarchia ai tempi del merletto (peccato che manchi l’arsenico).
3. Intanto il cardinale Martini, con la libertà di chi sta per morire, accusa preti e vescovi di essere carrieristi invidiosi e maldicenti, che, pur di avere le mutande a strisce rosso-cardinalizio, vendono Gesù Cristo con Madonna e Apostoli incorporati. Non si chiama più «gerarchia cattolica», ma Associazione «Et cum spiritu tuo». Amen.
(6 giugno 2008)
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