DON GALLO – Fine vita, la crociata di una Chiesa materialista
don Andrea Gallo
, da MicroMega 1/2007
Non è la tutela dei diritti individuali uno dei cardini del messaggio evangelico?
La nozione di vita deve essere alta, ricca, personale più di quanto non sia una nozione di organismo, oggetto della scienza.
Dov’è l’amore? Dov’è il rispetto del primato della coscienza personale? Dov’è la pietà? C’è un vuoto di amore in questa crociata «cattolica» e avanza un pesante fondamentalismo.
Esistono regole come la libertà di cura e il divieto di accanimento terapeutico anche nel catechismo.
Mi sembra che si voglia respingere un principio sancito dalla legge, come la libertà di non accettare cure.
Welby era come un malato di tumore con metastasi: sa che l’operazione non servirà a nulla e la rifiuta.
Si può accettare un’esistenza dolorosa in un letto immobile; per Welby era un inferno.
Chi ha il diritto di decidere per lui?
Le diffuse incertezze e le numerose discussioni per la morte assistita, chiesta, invocata da una persona lucida, a mio avviso, confermano il nostro confuso concetto di vita e non aiutano la preparazione di una «buona morte».
È possibile distinguere una «vita» esclusiva dell’organismo da quella che vive profondamente un individuo, consapevole di non riconoscersi nelle rimanenti e scarse possibilità biologiche?
Vogliamo ridurre il concetto di «vita» ad uno straziante prolungamento biologico dell’organismo senza nessuna speranza terrena?
Il rispetto dell’individuo, ci chiede di inchinarci amorevolmente alla sua coscienza.
In particolari condizioni, non si mette in discussione il valore della vita, rispettando chi si sente in diritto di decidere di chiudere un’esistenza che va avanti esclusivamente grazie a un processo di assistenza tecnica.
Welby supplicava di essere accompagnato dai suoi cari, dagli amici, dai medici ad una morte «umana». Così è stato.
L’eutanasia nell’Antica Grecia indicava un’accettazione della morte come naturale compimento della vita.
Il cristiano si presenta al Padre misericordioso.
Sarà sempre più complicato, in assenza di una nuova legislazione, distinguere il dovere di cura dall’accanimento terapeutico.
Quando si verificano le condizioni particolari diventate insopportabili per il paziente non è morte anticipata assecondare la libera volontà espressa dal malato di porre «fine» alla sua esistenza dimezzata.
La morte riguarda ciascuno di noi nella sua profondità e spiritualità e non riguarda solamente il nostro organismo.
Non lasciamoci espropriare dal materialismo della materia. Sarebbe troppo generico. Ognuno di noi ha il suo stile, la sua impronta, le sue decisioni.
Riscopriamo il vero significato della nostra vita piena.
La Scrittura pronuncia questa profonda verità: «La morte è innanzitutto cessazione della relazione con gli altri, chi non è in relazione con gli altri è già morto».
Accanto al letto di Welby l’atmosfera non doveva essere quella della paura e dell’angoscia.
Alla sua scelta di morire non possiamo rispondere con inopportune e gelide parole clericali.
Mi sembra di raccogliere più fede nella vita, nella vita che vince la morte, nei messaggi di Welby che non nelle stanche e dogmatiche ed ideologiche negazioni di una supposta fede disabitata dai sentimenti.
Continuo a diffidare dalle precisazioni, dai distinguo senza cuore.
Avrei voluto porre le mie mani sulla testa di Welby per stringerlo dolcemente e teneramente sostenuto nella scelta con un sussurro : «A Dio». Addio, ma nella pace.
E poter vincere la mia paura.
Perché di fronte alla morte anche Gesù ebbe paura e non siamo migliori di Lui.
Scoprire la profondità del vivere e la semplicità del morire: «Vita mutatur non tollitur». La «vita» è trasformata non è tolta, recita il Prefazio della messa dei Defunti.
«Signore fa che quando arriva la morte mi trovi vivo», disse lo psicanalista Winnicott per esprimere la relazione tra la vita e la morte.
Il teologo tedesco Hans Küng afferma: «La vita è per volontà di Dio anche compito dell’Uomo e perciò è rimessa alla nostra decisione responsabile».
Spero che la bioetica cattolica, e la bioetica laica, pur essendo strutturalmente diverse, non cessino di coesistere e di dialogare onestamente per il bene dell’umanità.
(22 maggio 2013)
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