DON GALLO – Gesù non ha scelto il Palazzo

don Andrea Gallo

Il crocifisso bisogna portarlo nel cuore o appenderlo ai muri di uno ‘spazio’ pubblico? La Repubblica italiana è democratica, antifascista, laica, per ogni cittadino. L’obiettivo primario è difendere la laicità di tutti noi, appartenenti all’unica famiglia umana.

, da MicroMega 1/2004

Il movimento universitario leghista ha richiesto al rettore dell’Università di Bergamo, l’urgente acquisto di crocefissi da appendere alle pareti delle aule dell’ateneo statale.
Si strepita con orgoglio padano: «Il crocifisso è simbolo di valori cristiani, ultimo baluardo di fronte al fondamentalismo». Siamo forse alla vigilia di una guerra di religione? Si parte per la battaglia di Lepanto?
Ma il crocifisso bisogna portarlo nel cuore o appenderlo ai muri di uno «spazio» pubblico, anche quando la sua presenza non esprime un sentimento condiviso? La fede è salva?

Gesù, umile e mite di cuore, non si è mai imposto a nessuno e noi abbiamo la pretesa di appenderlo sul muro delle classi e degli edifici pubblici.
Mi domando ancora: se in questi luoghi non c’è il crocifisso, un cattolico viene meno alla sua fede e forse è esentato dal praticare quotidianamente tra i fratelli i consigli evangelici? C’è vera relazione tra il crocifisso «ostentato» magari con sentenza del magistrato, e la testimonianza cristiana?
Come non si può esultare che i cattolici cerchino una testimonianza, alla luce della speranza del Vangelo!
Il primato della Parola di Dio esige che la Chiesa sappia far sorgere ambiti comunitari, luoghi di libertà, di presa di parola, di comunicazione fraterna, d’ascolto dell’altro. Tutto quello «starnazzare» è sorto per difendere la croce del Vangelo? Non credo proprio!

Il cristiano nel suo impegno sociale e politico non creda di costruire il Regno di Dio sulla Terra, tanto meno di edificare la Città di Dio nella città dell’uomo; significa che il cristiano trarrà dal regno «veniente»: criteri di relativizzazione nelle realtà quotidiane, la lucidità per il discernimento degli idoli, la distanza critica rispetto all’opera delle proprie mani, l’umiltà di chi si colloca «accanto» agli altri uomini, non in posizioni di superiorità.
La Repubblica italiana con la sua Costituzione, è democratica, laica, antifascista (non è un optional) per ogni cittadino.
La decadenza della nostra classe politica (sinistra-centro-destra) è preoccupante. Se si potranno abrogare brutte leggi (altre sono in arrivo), chi ci salverà da questa vergognosa decadenza da basso impero?
Si vuole andare dallo Stato laico, ancora così imperfetto, allo Stato pluriteocratico? Quale Ecumenismo si cerca?
C’è veramente nell’aria uno Stato confessionale «nuovo»?
Non c’è da farsi illusioni: in Europa la destra funebre vince.

Il fanatismo del signor Adel Smith, poteva essere una utile opportunità per una necessaria e profonda riflessione per credenti e non credenti, per cattolici, cristiani e islamici. Non sono certo un iconoclasta!
Aprire una riflessione, un vero approfondimento dei «segni» dei tempi, del nuovo millennio.
I cristiani, con gli altri uomini, riconoscendo di non aver nessun titolo che li abiliti più degli altri a tentare di realizzare qualunque progetto sociale, faranno la «fatica» della «riproposizione» non imposizione storica dei valori evangelici. Di tempo in tempo, di luogo in luogo, reinventeranno i segni di comunicazione e i segni di linguaggio culturale, ricercheranno una nuova antropologia in mezzo agli altri, apriranno cammini di giustizia e di pace, interculturali, interreligiosi, e sopra tutto democratici.

La Chiesa non ha bisogno di alleanze strategiche con i responsabili di una società alla deriva, incapace di governarsi, una società smarrita fondata sulla monopolizzazione della comunicazione. La loro arma principale è la menzogna.
L’obiettivo prioritario, a mio avviso, deve essere la lucida difesa della laicità di tutti (apparteniamo tutti all’unica famiglia umana), la libertà religiosa per tutti e per me, prete cattolico, impedire che il pernicioso «fascino» di una «religione civile» abbia il sopravvento.
Che amarezza profonda mi hanno provocato le argomentazioni di chi vuol «ridurre» il crocifisso a simbolo ed emblema della cultura nazionale.
Come non rimanere sconcertato dall’intreccio tra nazione e religione cattolica per il lutto, la pietà e il dolore, per le nostre vittime in Iraq.
Non sappiamo più «dare a Cesare quel che è di Cesare» e lo vogliamo dare a Dio.
Sono queste le prospettive del mio cristianesimo?

Come prete, ho vissuto con commozione la Primavera del Concilio Vaticano II.
La stagione è finita?
Dove nasce tanto furioso zelo, quando una seria inchiesta sociologica ci dice che l’80 per cento degli italiani si dichiara cattolico e il 40 per cento afferma di non credere nella resurrezione di Cristo?
Vorrei con tutto il cuore che la mia amata Chiesa cattolica, di cui sono presbitero da 45 anni, non volesse mai avere un «posto» «speciale» nella storia. È sale, è lievito, è chicco di grano. Non ha nulla da spartire col potere.
Gesù non ha scelto il Palazzo. È un bambino che nasce a «quota zero» in una mangiatoia.
Vorrei guardare alla gloriosa storia della Chiesa, come ad una cattedra alta, che accetta la discussione, che apre le braccia a tutti, che accoglie con gioia il confronto.
Una Chiesa che evangelizza sempre.

La comunità dei discepoli porta la Buona Novella a tutte le culture, rispettandole, visitandole, rinverdendole.
I tentativi di «presenza» dei cristiani devono essere portati davanti alla «croce» per essere giudicati e riconciliati dalla parola di colui, che ha tanto amato il mondo da dargli il suo unico figlio.
I cristiani, da prete dei poveracci dico che non devono avere una loro cultura, ma devono «abitare» la cultura degli uomini, conferendo ad essa, semmai, quell’orizzonte che solo la fede può fare.
La croce del Vangelo non ci consegna una cultura, ma si in-cultura, non fa di noi una città, ma abita le case degli uomini.
Allora né i migranti, né i poveri, né i giovani, né gli operai, né i malriusciti o i soggetti ghettizzati, né il cuore antico della gente, né la ragione comune laica, si troveranno fuori casa e subiranno scandalo.
Non vogliamo, cari fratelli e sorelle in Cristo crocifisso e risorto, per la nostra Chiesa una sorta di «corsia preferenziale» sottratta alla verifica di tanti credenti e non credenti, che cercano, con onestà intellettuale, di ordinare il traffico delle idee nella storia contemporanea, con profondo spirito critico reciproco.
Non mi sembra più possibile continuare a sostenere: «Cristianesimo uguale Occidente». Ci vuole estrema chiarezza quando si parla di «radici cristiane».
Da questo «caso» del «crocifisso» emerge in modo settario una politica, non solo leghista, incolta e arrogante e accomodante, pronta a riconoscere per il proprio tornaconto elettorale, l’utilità sociale della religione.
Deve essere però una religione che fornisce coesione, forza e motivazioni trascendenti di fronte al «nemico» che arriva o quando addirittura viene creato.
Se ne sente l’urgen
za in questa società così frammentata.
La Chiesa cerca forse applausi e doni in cambio, da questa ipocrita classe dominante?
La politica suscita sempre idoli.

La virtù della vigilanza, della lotta spirituale, del discernimento, deve attuarsi, più che mai nell’attuale contesto in cui la Chiesa non è osteggiata, anzi è ascoltata e omaggiata come Chiesa che serve, che mostra un’utilità sociale.
La croce di Gesù tiene aperto il futuro, contro tutte le chiusure e le ghettizzazioni delle frontiere, delle fabbriche, dei partiti, della scuola pubblica, del servizio civile, degli uffici dei pubblici ministeri e dello stesso parlamento.
La Chiesa è davanti ad una drammatica tentazione.
Un povero prete di strada si chiede: può la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica abbandonare la profezia (cieli nuovi, terre nuove) pur impegnandosi nella «polis» ed identificarsi con l’Occidente ricco e potente, dove è frequentemente violata la legalità internazionale e continua, nonostante gli appelli del santo padre, l’«escalation» verso la violenza fatta di risposte «militari univoche» alle centrali del terrore che non aspettano altro che alzare il tiro e trovare disperati proseliti per la guerra santa?
Cito con tanta gioia il monaco Giuseppe Dossetti, uno dei padri della Costituzione: «Sono aumentati», dice Dossetti poco prima di morire, «quanti pensano che la fede non possa sostenersi senza l’appoggio dei poteri, senza politiche culturali, senza organicità sociale che la presidi e la “difenda”, senza insomma proclamare la “civiltà cristiana”, la religione civile, la religione di Stato».
Vecchio prete, mi ripeto: è questo il futuro del cristianesimo?

In tutto il mondo, nelle comunità ecclesiali, sono ancora numerose le sentinelle del mattino, sentinelle della libertà, della pace, della giustizia, in mezzo a tanti popoli, oggi veramente «crocefissi», che attendono la loro risurrezione.
È possibile recuperare il crocifisso alla cultura della pace?
Alla pace come frutto del riscatto storico e della giustizia?
È possibile vedere, onorare il crocifisso come frutto della cultura dei diritti di tutti? Il vescovo di Roma, il papa, ci ha ammonito recentemente: «Bisogna costruire ponti, non muri», in tutti i sensi.
Vogliamo piuttosto, umilmente, come cristiani, in ginocchio davanti ai nostri crocefissi delle nostre chiese, fare memoria di quelle e di quelli che nei secoli, «con la croce», abbiamo condannato, colonizzato, ucciso, martirizzato, esiliato, disprezzato?
Quante volte papa Wojtyl´a ha chiesto perdono?
Senza cambiamento non si dà pentimento. Cambiamento di rotta, cambiamento di mentalità, di vita; scoprire il dialogo, l’ascolto, la riconciliazione.
Un appassionato dialogo con l’uomo che ci stimoli e ci renda capaci di mettere in discussione radicalmente noi stessi, pensando la radicale finitezza di ogni esperienza, di ogni interpretazione umana.
Il padre del crocifisso non è onnipotente, o meglio lo è, ma nell’onnipotenza dell’amore che è un’altra cosa di quello che pensano le donne e gli uomini che adorano la forza, le imposizioni, le guerre preventive, il mercato selvaggio, le nuove crociate, la retorica del falso patriottismo.

Da prete di strada, spero, con l’aiuto di Dio, di incontrare ancora numerosi cattolici, vescovi, preti, monaci, fratelli cristiani, che mi annuncino la Buona Novella, con coerenza evangelica.
Col crocifisso di Gesù, unico mediatore tra Dio e gli uomini, unico sacerdote, i cristiani con i loro pastori devono smascherare le disumanità, con la capacità di destare il salutare «scandalo» del¬l’Evangelo; devono avere il coraggio della denuncia profetica contro tutte le ingiustizie, con vigilanza e istanza critica, contro i rischi dell’assurgere del potere politico, economico a idolo, con tutte le donne e gli uomini che Dio ama.
«Camminare domandando», nella via della non violenza, della pace, alla scoperta delle «cause» della «struttura» oppressiva.
Tutti, credenti e non credenti, possano giungere ad un ritrovamento di un nuovo significato: cercare la verità e sperare sempre nella possibilità di un mondo migliore.
Tutto ciò per i singoli e la stessa convivenza civile.
C’è un ampio «spazio» per credenti di tutte le religioni e per i non credenti per la nostra laicità del villaggio globale. Non si torna indietro.
Vorrei esprimere un augurio per il nuovo anno: liberarsi dalle paure.
Il male sta dove manca la speranza del bene.
Con papa Giovanni termino gridandovi, con la Pacem in terris: «Non ascoltate i profeti di sventura».

(22 maggio 2013)



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