DON GALLO – La fatica di essere cristiani

don Andrea Gallo

, da MicroMega 2/2001

Sono un prete di strada che da anni conosce «le storie» di tanti poveracci del mondo.
Questa è per me l’occasione di una riflessione che mi permette, «come cittadino», di fare un esame di coscienza. Posso evidenziare i miei errori e posso dire che qualche tentazione grave l’ho superata. Ho ricevuto, da prete, proposte di candidature politiche che ho sempre respinto. Penso che chi ha un ministero nella Chiesa deve restare nello spazio profetico, forzatamente prepolitico, testimone dell’ulteriorità della Fede rispetto alla Politica. Ciò non significa negare che la Profezia abbia una ricaduta nella polis, soprattutto nei momenti difficili.

L’ottimismo storico, la speranza storica, in Occidente, sono quasi scomparsi. Allora come non si può gioire che i cattolici cerchino una testimonianza, alla luce della speranza del Vangelo?
La nostra Comunità (San Benedetto al Porto, Genova) ha sempre sottolineato il valore della proposta di Dietrich Bonhoeffer: «Pregare e fare ciò che è giusto tra gli uomini» e, con determinazione, ha oggi una proposta alternativa: criticare il sistema senza uscire dalla Politica per impedire col voto che tutta la destra e solo la destra, con la sua variegata nomenclatura, vada al Potere.

Commentando con amici sant’Agostino, si parlava dell’opposizione agostiniana tra uti e frui, che è poi ciò che fa la differenza tra le due città. I politici non sono più credibili; il discorso dell’utilità, dell’uti, ha ucciso la credibilità e occorre qualcuno – non politico (?) – che faccia ritornare in onore il discorso della gratuità, del frui agostiniano. Solo col frui, infatti, la politica si salva e diviene servizio alla pubblica utilità, uscendo dalla logica perversa dell’uti e accettando così i ritmi e le logiche del gratuito.

Mi spiego meglio con gli Atti 27,18-20: «Sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno seguente cominciarono a gettare a mare il carico… Da vari giorni non comparivano più né sole, né stelle, e la violenta tempesta continuava a infuriare, per cui ogni speranza di salvarci sembrava ormai perduta». La forte tempesta raccontata dagli Atti può essere letta come l’immagine di una società alla deriva, incapace di governarsi, una società smarrita, manipolata. Ma in quella notte Paolo rincuora e convince: «Vi esorto a non perdervi di coraggio». Vi è dunque un primo e fondamentale aspetto del rapporto Parola (di Dio)/Politica, che concerne la struttura della comunità cristiana, il suo modo di porsi nella storia, nella polis, e che nel contempo interroga questa realtà. Il primato della Parola di Dio esige che la Chiesa sappia far sorgere ambiti comunitari, luoghi di libertà, di presa di parola, di comunicazione fraterna, di ascolto dell’altro. Per i cristiani è essenziale imparare a celebrare l’Eucaristia e ad annunciare l’Evangelo dentro la concretezza delle situazioni umane, cioè fuori di ogni ritualizzazione.

Diventa allora irrinunciabile il ruolo dei cattolici nel sociale. Esso chiama i cristiani alla concreta partecipazione nel quotidiano per edificare rapporti, costruire la polis; diventa indispensabile assumerci la nostra responsabilità storica.
Il documento della Cei del 1981 aveva il titolo profetico di Ripartire dagli ultimi. Questo non significa che nel suo impegno sociale e politico il cristiano creda di costruire il Regno di Dio sulla Terra, tantomeno di edificare la città di Dio nella città dell’uomo; significa che il cristiano trarrà dal Regno veniente i criteri di relativizzazione nelle realtà quotidiane, la lucidità per il discernimento degli idoli, la distanza critica rispetto all’opera delle proprie mani, l’umiltà di chi si colloca accanto agli altri uomini, non in posizione di superiorità.

Il cristiano è pronto a nutrire compassione e ad attivarsi per la pace, per la giustizia verso i più poveri e deboli, i senza dignità, gli oppressi, nella piena coscienza della parzialità, della precarietà, della limitatezza di questa opera e al tempo stesso della sua assoluta necessità e imprescindibilità.

Ciò che deve accompagnare il progetto e il cammino dei cristiani nel mondo e nella storia è la non presunzione, la non arroganza, l’umiltà fino alla debolezza. In questo, nessuna evasione, nessun oblio del loro stare al mondo: i cristiani non sono esentati dalla responsabilità storica; al tempo stesso, però, tutti i loro progetti, le loro mediazioni, i loro tentativi di presenza devono essere portati davanti alla croce per essere giudicati e riconciliati dalla Parola di Colui che ha tanto amato il mondo da dargli il Suo Unico Figlio.
I cristiani, se non hanno chiaro questo, saranno forzatamente tentati da antichi e nuovi trionfalismi e finiranno per presentarsi al mondo con l’arroganza di chi si ritiene già Regno di Dio: una Chiesa signora della storia umana, detentrice di un verbo umano universale.

Non si può dire cristiano ciò che si stempera in Umanesimo, non si può presumere di avere la possibilità di controllare la storia, di interpretarne infallibilmente e provvidenzialmente i segni e di risolvere qualsiasi problema. Se invece si riconosce la dignità autonoma della storia umana, il cristiano si trova collocato in essa, senza giustificazioni previe, senza soluzioni anticipate, senza mentalità di riconquista o di crociata, nella certezza del Regno di Dio che viene. Nessuna forma di vita e di società e nessun progetto appare definitivo e perfetto.

I cristiani possiedono certamente un’ispirazione che viene loro dall’Evangelo, ma non sapranno mai realizzarla in modo pieno e senza ambiguità, né potranno viverla, senza gli altri uomini, in una cittadella.
Con gli altri uomini, riconoscendo di non aver nessun titolo che li abilita più degli altri a tentare di realizzare un qualunque progetto sociale, faranno la fatica della riproposizione – non imposizione – storica dei valori evangelici di tempo in tempo, di luogo in luogo, reinventeranno i segni di comunicazione e i segni del linguaggio culturale, ricercheranno una nuova antropologia in mezzo agli altri, apriranno cammini di pace e di giustizia.

Non cercheranno alleanze strategiche: lo specifico del cristiano consiste, tutto e per intero, nella fede stessa e in null’altro. La fede non fornisce alcuna certezza politica, anzi obbliga il cristiano a rivedere criticamente ogni sua scelta e lo spinge a ricercare insieme a tutti gli uomini la risposta più adeguata all’incessante domanda di costruzione di un mondo più giusto, più umano.
Senza steccati.

La fede ha il diritto e il dovere di esistere, di essere proposta all’uomo come senso del suo destino, di innalzare la voce in nome dei propri valori e il credente in questo fa parte della polis, ha il diritto di fare ascoltare la sua voce tra gli altri uomini, tuttavia non spetta alla religione definire o reggere la società, senza cadere nella deriva del fondamentalismo e dell’integralismo.
Una parola, una testimonianza che sia «eco di Dio».
Allora né i poveri, né i giovani, né gli operai, né i malriusciti o i soggetti ghettizzati, né la logica verde o quella autonoma, né il cuore antico della gente, né la ragione comune, laica, né i migranti si troveranno fuori casa e subiranno scandalo. Per questo annuncio coraggioso e profe
tico, a volte sono necessari «grandi silenzi», a volte una parola chiara, ma gli uni e l’altra dovrebbero avere sempre un’eloquenza profetica.

I cristiani siano sale e lievito nella cultura. I cristiani non devono avere una loro cultura, ma devono abitare la cultura degli uomini, conferendo ad essa, semmai, quell’orizzonte che solo la fede può fare. L’Evangelo non ci consegna una cultura, ma si in-cultura, non fa di noi una città, ma abita le case degli uomini. Il compito dei cristiani è di essere luce, di illuminare sentieri possibili, di offrire indicazioni di senso e di speranza. Il cristiano fa di tutto perché il «pubblico» funzioni. Solo così troverà spazio un vero volontariato, un vero no profit.

Nel contempo i cristiani devono smascherare le disumanità con la capacità di destare il salutare scandalo dell’Evangelo; devono avere il coraggio della denuncia profetica contro le ingiustizie, con vigilanza e istanza critica, contro i rischi dell’assurgere del potere politico a idolo.
La politica suscita sempre idoli.

La virtù della vigilanza, della lotta spirituale, del discernimento deve attuarsi più che mai nell’attuale contesto in cui la Chiesa non è osteggiata, anzi è ascoltata e omaggiata come Chiesa che serve, che mostra un’utilità sociale. La polis deve essere il luogo comune di tutti, spazio di valori umani, campo della vita pubblica, luogo in cui tutti insieme gli uomini e le donne di buona volontà costruiscono un umanesimo, senza contrapposizioni, nella comune passione dell’Uomo.

I cristiani devono riconoscersi in una repubblica democratica, laica e antifascista. Valori fondamentali iscritti nella Costituzione. Non è un optional! Tener aperto il futuro, contro tutte le chiusure e le ghettizzazioni delle frontiere, delle fabbriche, dei partiti, della scuola pubblica, del servizio civile, degli uffici dei pubblici ministeri e dello stesso parlamento.
È fatica divina essere cristiani.

(22 maggio 2013)



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