DON GALLO – La primavera dei movimenti

don Andrea Gallo

, da MicroMega 2/2002

C’è un palese tentativo berlusconiano, fin qui fallito, di criminalizzare i movimenti che con la loro spontaneità, gioiosità, serenità e con intransigenza stanno «rompendo» a sinistra e a destra tanti vecchi schemi della società.
L’assassinio dell’economista Marco Biagi scuote la scena politica nel pieno dello scontro sullo statuto dei lavoratori, nemmeno il tempo di una lacrima. Scattano le invettive contro il sindacato che aizza lo scontro e la violenza che si annida in chi sta in piazza.
I movimenti devono rispondere a queste intimidazioni richiamandosi alla grande utopia come è definita da Edoardo Galeano. «Lei (l’utopia, n.d.a.) sta all’orizzonte, mi avvicino di due passi, lei si allontana dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungo mai. Quindi, a che serve l’utopia? Serve a questo: a camminare».
Si cammina in tutte le direzioni. Giustizia, scuola, sanità, lavoro, migranti.
C’è da augurarsi che i «girotondi» continuino. È stato ripreso un filo perduto.

I movimenti hanno fatto emergere che la democrazia e la libertà del nostro paese sono esposte a rischi concreti derivanti da una concentrazione di potere economico e mediatico senza trasparenti confronti nel mondo civile.
È la democrazia diretta che si è decisamente svegliata ed è indispensabile andare avanti.
Quanti interrogativi!
Nessuno contesta l’insostituibilità dei partiti per la vita democratica del paese e neppure si cercano capri espiatori. Si chiede lealtà e dignità. Chi è stato sconfitto dovrebbe ritirarsi. È necessaria molta franchezza. Andare giù di brutto. La mia domanda da prete della strada è: «I leader, i politici di professione sono sinceramente in ascolto?». C’è ancora tanta «burocratizzazione» che spaventa.
I giovani dei movimenti sono molto perplessi. C’è, da tempo, una soffocante inerzia autoconservativa dei ceti dirigenti.
Si respira ancora un arrugginito monopolio della direzione politica.
I movimenti significano una voglia autentica di partecipazione democratica non volendo cambiare il proprio mestiere. Ogni gruppo, prendendo coscienza del clima soffocante, vuol essere un «detonatore». Si scopre dolorosamente l’assenza di una mentalità adeguata nei partiti.
Si aspettano i movimenti, segni chiari dei partiti dell’Ulivo. Segni visibili, trasparenti.
I giovani, vi assicuro, non li hanno ancora intravisti: temono l’inciucio.

È vero, i movimenti appaiono, scompaiono, si allargano. A volte si disperdono in mille grida. Si cercano forme di coordinamento per farle servire da catalizzatore.
Ma questa primavera è un benefico contagio. C’è una domanda cruciale: quali rapporti tra loro, con i sindacati, col Social forum? Non c’è una fotografia dei numerosi movimenti, qualcosa di statico che ne fissa per sempre l’immagine, ma solo «tappe» di un percorso appena iniziato. Nel camminare ognuno è libero di modificare le cose e se stesso.
Si dovrà certamente tener conto della nuova vitalità del sindacato, del movimento antiliberista che ha tenuto, da tempo e da solo, l’opposizione pagando prezzi altissimi.
La prima risposta dovrà essere «il dialogo». E il segreto sarà nel tenersi fermi «sulla base dei temi sociali». C’è un «motore» acceso dei numerosi Social forum sorti in Italia dopo il G8.
La posta in gioco è alta.

I gruppi dominanti hanno buon gioco nel rilevare che i movimenti antagonisti sono «incapaci» di passare dalla protesta alla proposta. L’obiettivo di tutti, anche dei piccoli gruppi, deve tradursi in una ricerca di alternativa. Evidentemente, non si tratta qui, con i nuovi movimenti di primavera, di innescare la ricerca, perché sul piano nazionale ed internazionale tale ricerca è in atto: essa ha fortemente segnato gli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio. Si tratta di informarsi il più ampiamente e precisamente possibile sulla ricerca in atto a livello nazionale, mondiale e locale e di definire i termini di una partecipazione ad essa a vari livelli. Quanti segnali da Pôrto Alegre…
Il punto di partenza di una ricerca alternativa dev’essere la presa di coscienza della sua urgenza e delle sue difficoltà.
La ricerca dell’alternativa, implica il superamento della profonda crisi dell’ottimismo storico e della militanza e la rifondazione della speranza.

I movimenti di primavera sono minoranze che possono essere considerate interpreti autentiche della condizione e della potenzialità della maggioranza e come «veri detonatori» della sua coscientizzazione e mobilitazione.
I tratti che caratterizzano i movimenti sono: l’estrema varietà, il livello di coscienza e di mobilitazione, la tendenza alla costituzione di «reti». Lo sforzo maggiore sarà quello, per tutti i movimenti, di ritenersi «soggetti di ricerca».
Una ricerca che non deve essere affidata unicamente agli «intellettuali organici» ma che deve essere opera di un impegno collettivo e partecipativo di tutti i militanti.
Ciò suppone però che i movimenti scoprano le risorse intellettuali dei loro membri, che credano nella loro fecondità e considerino loro compito prioritario la creazione delle condizioni di una ricerca partecipativa, in cui quelle risorse vengono valorizzate, per la ricerca di alternative locali e globali. Fiducia nella forza del diritto, della giustizia, della pace. Soprattutto la fiducia in quelle risorse morali, intellettuali e politiche ancora inesplorate: accenno solamente al movimento delle donne.
L’obiettivo dovrà essere: coordinare tutte le forze, i movimenti, nel rispetto della loro diversità.
Tra i fattori di questa unità va rilevato: il rigetto del modello del neoliberismo.

Si dovrà tendere a prendere le decisioni col consenso e non a maggioranza.
È indubbiamente decisivo, per tutti i gruppi, che sono minoritari, il problema di resistere alla tentazione dell’avanguardismo, mantenendo fermo l’obiettivo della «coscientizzazione» e «mobilitazione» di tanta altra gente, in tutti gli schieramenti e in tutti i ceti della società.
Cercare di pensare e agire localmente e nello stesso tempo di pensare e agire globalmente.
Rinnovare il volontariato e il settore del no profit.
La scelta strategica prevalente dovrà essere «non violenta», fondata sulla fiducia nella forza del diritto e non nel diritto della forza, nella libertà, nella solidarietà liberatrice.
Non si può tralasciare però l’approfondimento della «disobbedienza civile» nelle varie forme.
Dialogo serio e paziente, meditato e senza pregiudizi tra le componenti del movimento, qualificante in senso non violento, e tutte le altre, fino a quelle più esposte al mito disumano della violenza per isolare il vandalismo e fare muro al terrorismo di qualunque specie.
Il lavoro da fare è immenso. Non si deve dimenticare che la violenza più radicata e più grave è l’ingiustizia strutturale, più invisibile e rispettata, più giustificata, sempre in maschera (la violenza è alleata della menzogna), più spregiudicata nel difendersi pesantemente.

L’Europa intera ha assistito al G8 di Genova.
Nessuno può negarlo: l’urlo di Moretti echeggia ancora
in tutte le piazze. Raccolto dal Palavobis a Milano si è esteso e scuote tutti.
I partiti dell’Ulivo sono spiazzati. Si sentono sotto processo e mal lo sopportano. Ma il messaggio è chiaro: i movimenti l’hanno fatto sentire: non vogliono dare una delega in bianco a questi partiti.
Vogliono essere cittadini attivi accanto ai partiti.
Emerge chiaramente che c’è estrema e preoccupante sfiducia nei confronti del personale politico del centro-sinistra; gli appelli che chiedono risposta sono pacati, ma fermi nella sostanza.
Si chiede di fare «opposizione» al governo Berlusconi su temi precisi. Poteri giudiziari, informazione, immigrazione, scuola pubblica, Statuto dei lavoratori, sanità.
C’è un’Italia che vuole esprimersi e vuole finalmente sentirsi rappresentata. Da chi?
Vuole «oppositori» e non semplici interlocutori del governo.
Vuole «avversari» intelligenti, fermi e decisi contro l’ondata crescente di una democrazia limitata nella difesa della Costituzione.
I movimenti di primavera hanno segnato una svolta entusiasmante e difficile per il paese.
È suonata la «sveglia» per tutti gli italiani, quali e quanti saranno ancora i sordi?

(22 maggio 2013)



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