Don Vitaliano Della Sala | Lettera aperta al cardinale Sepe

don Vitaliano della Sala

, da donvitaliano.it

Signor cardinale,

io non sono tra quelli che – come ha fatto il portavoce del Vaticano che ha parlato di una gestione attuale dei beni della Congregazione, di cui lei è stato Prefetto, “diversa dalla precedente” – scaricano su di lei ogni responsabilità delle scelte poco chiare che oggi emergono nelle varie inchieste della magistratura.

Lei oggi è alla ribalta della cronaca per una vicenda che non fa onore alla nostra Chiesa. Una vicenda sulla quale non spetta certamente a me – né a nessun altro che non sia la magistratura – emettere un verdetto anticipato, ma rispetto alla quale, però, mi sento nel pieno diritto di fare e suggerire alcune riflessioni.

Voglio partire – e fermarmi – dalla presunzione della sua innocenza.

In questo momento lei ha su di sé i riflettori accesi e l’attenzione di stampa e televisione. Da innocente, quale occasione migliore per rendere, di fronte ai molti milioni di persone che la ascoltano e la guardano, un’autentica testimonianza cristiana, un messaggio chiaramente diverso da quello che molti inquisiti potenti hanno mandato in questi anni. Lei è un cardinale, un “cardine” su cui poggia la Chiesa, uno dei prescelti a testimoniare fino all’estremo, fino al sangue, che il rosso porpora della sua veste le ricorda continuamente; è uno dei prìncipi della Chiesa e essere principe nella Chiesa è diverso da essere potenti nel mondo, è essere uno dei prìncipi di quel re, Gesù Cristo, che si è lasciato processare dagli uomini come l’ultimo dei delinquenti. Ma tutto questo non devo essere io a ricordarglielo.

Sono certo che lei non si difenderà “egoisticamente” gettando facile discredito su magistrati inquirenti e giornalisti, come solitamente fanno i potenti; e sono certo che lei non si difenderà abusando della sua posizione e del ruolo che ricopre.

Alcuni anni fa, quando lei era stato scelto da papa Giovanni Paolo II per preparare il Giubileo del 2000, e cominciavano ad essere evidenti le contraddizioni e gli sprechi che si stavano manifestando nella preparazione di quell’evento, le scrissi una lettera, ripresa da alcuni giornali, per ricordarle la condizione di precarietà di ogni povero. Con la mia Comunità parrocchiale stavo riflettendo in modo sofferto sulle contraddizioni del Giubileo, quando un vecchio, che leggeva da un quotidiano le notizie che si rincorrevano in quei giorni, sui finanziamenti sproporzionati per il Giubileo, sorridendo mi chiese cosa ne pensassi; di fronte ai miei imbarazzati giri di parole per dipingere luci ed ombre di un fenomeno che, da esclusivamente religioso quale dovrebbe essere, stava diventando troppo economico, mi ricordò un detto delle nostre zone che forse anche Lei conosce: “Scialate puttane che sta arrivando il Giubileo”. Il grande appuntamento del 2000 stava cominciando a prendere la mano degli organizzatori e, nello stesso tempo, a sfuggirvi di mano. Dietro l’imponente macchina messa in moto si intravedeva, purtroppo, la grande tentazione farisaica dell’esteriorità.

Il Grande Giubileo stava diventando un grande circo, sempre più simile alle olimpiadi o ai mondiali di calcio, ma di ben più grandi proporzioni. Era diventato un treno sul quale chiunque aveva la possibilità di gestire qualcosa stava cercando di salire, non importava se con urti e spintoni, non importava a cosa fossero davvero finalizzati i progetti e quale ne fosse l’utilità e la qualità.

Oggi i nodi vengono al pettine. Spero sinceramente che la sua posizione giudiziaria venga chiarita senza ulteriori conseguenze e che lei risulti estraneo alla corruzione e ad altri reati. Credo, comunque, che questa triste vicenda vada vista come provvidenziale e sia lo stimolo per lanciare nella Chiesa, semmai a partire da lei, una approfondita riflessione sul giusto rapporto che deve intercorrere tra i vertici della Chiesa e quelli civili, tra i vescovi e i potenti, tra il Vaticano e i potentati economici e finanziari, tra i beni terreni che la Chiesa gestisce e i poveri, soprattutto in un tempo di crisi economica globale che l’umanità sta subendo.

Approfittiamo per liberarci dalla frenesia delle cose inutili che ci fanno perdere di vista quelle davvero necessarie; approfittiamo per riconciliarci con la terra, che non deve più essere oggetto di sfruttamento, e con gli uomini e le donne che la abitano, che non devono essere più sfruttati. “Spalancate le porte a Cristo” è stato lo slogan dell’ultimo Giubileo: spalanchiamo le porte ai poveri cristi; spalanchiamo, ad esempio, le porte delle case di proprietà della Chiesa, e lasciamoci entrare i tanti, i troppi senzatetto.

Spalanchiamo le porte delle favelas e di tutte le periferie, delle case di cartone dei barboni, dei campi profughi, dei reparti d’ospedale dove chiudono i loro giorni i malati terminali, delle celle dei prigionieri politici, delle case dei disoccupati e degli sfruttati, di ogni luogo dove è vivo il dolore e troppo debole la speranza. Porte attraverso cui poter entrare, porte attraverso cui qualcuno, grazie anche a noi, potrà finalmente uscire.

Se, anziché queste porte, permetteremo ancora che si aprano le porte delle banche, degli uffici dei progettisti e delle mega imprese, dei burocrati, dei politicanti e degli affaristi, se lasceremo che si aprano ancora di più le porte dei ricchi, allora le porte di Dio resteranno davvero chiuse, soprattutto per noi!

Con cristiana franchezza
don Vitaliano Della Sala

 

(23 giugno 2010)

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