Don Vitaliano Della Sala: Tibet, anche dalla S. Sede due pesi e due misure

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Nell’antichità le Olimpiadi si svolgevano durante un tempo sacro nel quale bisognava essere in pace con tutti, perciò, mentre si svolgevano i giochi, le guerre e le contese cessavano, o venivano almeno sospese. Oggi abbiamo ridotto le Olimpiadi a una vetrina pubblicitaria per il Paese che le ospita, a un’occasione di affari, a fiction sportiva. Non importa se il Paese ospitante sia in guerra, violi sistematicamente i diritti umani, reprima la libertà e il dissenso: il profitto viene prima di tutto; il dio denaro viene prima di tutti dei dell’Olimpo! La Cina è l’esempio eclatante di quanto gli affari e il mercato siano più importanti del rispetto dei diritti più elementari; se la Cina fosse stato un Paese povero e ininfluente nell’economia mondiale, la risposta internazionale alla repressione sproporzionata e violenta della polizia contro il dissenso tibetano di questi giorni, sarebbe stata l’occasione per scatenare una guerra e invadere il novello “Paese canaglia”, semmai giustiziando sommariamente il sanguinario dittatore. E invece, come sempre, si usano “due pesi e due misure”!
La sanguinosa e vergognosa repressione da parte delle forze dell’ordine cinesi contro i cittadini del Tibet e contro i monaci buddisti che chiedono maggiore libertà, ha provocato morti e feriti, come sempre, come in tutte le dittature di destra, di centro e di sinistra, come in piazza Tienanmen a Pechino nell’89, come in Myanmar nei mesi scorsi, come a Genova in occasione del G8 del 2001, come ogni volta che si compromettono gli affari dei potenti e il “popolo sovrano” pretende partecipazione. E allora cadono le maschere e viene fuori l’ipocrisia di chi gestisce il potere come “cosa sua” e si arrabbia quando i cittadini si permettono di dissentire: dai gerarchi e i militari cinesi, ai troppi Saddam Hussein, Noriega, Pinochet, Ceausescu, Milosevic; dalle decine di potenti fantoccio, impresentabili, ma che fanno comodo per gli affari, a quei presidenti eletti più o meno democraticamente che rappresentano l’elettorato fin quando questo non li mette in discussione… sono tutti uguali quando si tratta di reprimere e zittire il dissenso, e tutti affidano la repressione a forze di polizia uguali dappertutto.
E se hanno ragione il Dalai Lama e il Papa che “con la violenza non si ottiene nulla”, è vero anche che senza la “violenza” dei manifestanti tibetani nessuno si sarebbe ricordato del Tibet che da 50 anni subisce l’occupazione e la repressione cinese.
Nel suo intervento, dopo un significativo silenzio durato alcuni giorni, il Papa ha chiesto che cessassero le violenze in Tibet; ma il suo è sembrato più un appello rivolto ai manifestanti tibetani che alle autorità cinesi. Inoltre il Capo della Chiesa cattolica non ha mai citato l’omologo capo dei tibetani, il Dalai Lama. Il Vaticano è esperto in silenzi, parole misurate, equilibrismi diplomatici, che mettono a tacere la coscienza e salvano la faccia, senza essere per nulla efficaci. C’è un “peccato” che noi cattolici non consideriamo mai: quello di omissione. Riguardo al Tibet, con il nostro silenzio e l’omissione di iniziative di solidarietà nei confronti dei fratelli buddisti tibetani, ci stiamo macchiando di questo grave peccato, che grida vendetta al cospetto di Dio e diventa assordante con il silenzio della S. Sede e del Papa. È vero, proprio in un momento nel quale i rapporti tra il Vaticano e la Cina si stanno appianando, consentendo un probabile e graduale allentamento della repressione nei confronti dei cattolici cinesi, non conviene urtare le autorità cinesi appoggiando le richieste del Dalai Lama, ma non è moralmente giusto “fare il male in vista del bene”, peccare di omissione nei confronti dei tibetani, in vista di una situazione migliore per i cattolici cinesi. In tutto questo c’è tanta ipocrisia! “Cercate prima di tutto il Regno dei cieli” – dice Gesù nel Vangelo, ma subito aggiunge – “e la sua giustizia…”; la stessa giustizia che sembra mancare nelle sacre stanze del palazzo apostolico quando si tratta di difendere diritti che valgono per alcuni e non per altri popoli. Eppure le conseguenze del silenzio vaticano di fronte alla barbarie nazista avrebbero dovuto insegnare qualcosa!

Don Vitaliano della Sala

(4 aprile 2008)



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