“Donne di tutto il mondo unitevi”. L’ultimo appello di Gisèle Halimi
Maria Mantello
Gisèle Halimi, l’avvocata icona dei diritti delle donne, morta il 28 luglio all’età di 93 anni, non ha potuto assistere all’uscita del suo ultimo libro Une farouche liberté (Una feroce libertà), in cui dialoga con la giornalista Annick Cojean.
Il libro è adesso nelle librerie, e la sua uscita postuma ne accentua il carattere di passaggio di testimonial impressole dall’autrice per incitare le nuove generazioni alla conquista radicale dell’autonomia e dell’emancipazione delle donne. Premessa di una rivoluzione globale per cambiare davvero le cose del mondo.
«Ci sono state rivolte, conquiste su singole questioni. Leggi importanti dalla parte delle donne … ma l’ingiustizia permane più che mai intollerabile. E le conquiste saranno sempre fragili se non si sradicano modelli e gerarchie sessiste».
Un appello contro la rivincita del patriarcato sulla democrazia, che chiama all’unità delle donne nell’avere il coraggio della libertà dal sopruso tanto da sentirsene soffocate, così che anche la liberazione diventa ferocemente irrinunciabile.
E potremmo dire che è questo il filo rosso che, dalla percezione dell’ingiustizia alla conquista degli strumenti per contrastarla, ha guidato Gisèle Halimi nata a Tunisi da una famiglia ebrea e con pochissimi mezzi economici, ad essere «ferocemente determinata ad esistere come donna libera».
«Femministe non si nasce, lo si diventa» afferma. E per lei «tutto è iniziato con l’infanzia e l’indignazione provata in tenera età per essere nata bambina». «Alcuni indirizzi umani – sottolinea – si giocano nei primi anni di vita, dai quali nasce, si dispiega e si espande una personalità in tutte le sue dimensioni».
Ha 12 anni quando si ribella in modo radicale all’ingiustizia di dovere fare i servizi di casa anche per i fratelli. «Non è giusto! Non lo voglio fare più!» E dopo anni di battaglie infruttuose la spunta con i genitori riducendosi quasi in fin di vita con lo sciopero della fame. «Ho conquistato la mia prima fetta di libertà», appunta sul suo diario. Quel «Non è giusto!» è la sua sveglia interiore contro la rassegnazione a così va il mondo.
Vuole proseguire gli studi con feroce caparbietà. E ci riesce grazie a borse di studio perché a scuola è bravissima. Così, dopo il diploma conseguito all’istituto femminile di Tunisi, ottiene di andare a Parigi dove frequenta i corsi di Filosofia e Giurisprudenza. In seguito anche quelli di specializzazione dell’Istituto di studi politici (Sciences- Po).
A Tunisi, dove è tornata, con un «altro bel pezzo di libertà», nel 1949 è accolta nell’ordine degli avvocati.
Ma è ancora a Parigi che punta. E a Parigi nel 1956 entra nel forum degli avvocati conquistando ben presto prestigio e fama professionale, legando il suo nome alle battaglie per i diritti umani, per l’indipendenza della Tunisia e dell’Algeria… E sempre più si contraddistinguerà per l’affermazione dei diritti delle donne nei tribunali e nelle piazze. Per tutti diventa l’avvocata delle donne. E quella declinazione femminista della professione è la prima ad esigerla.
A Parigi si snoda la sua vita intellettuale, politica, sentimentale (si sposa per scelta due volte, diviene madre per scelta). Frequenta l’intellettualità progressista. Stringe amicizia con Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. E con l’autrice di Il secondo sesso, firma nel 1960 il libro I carnefici. Denuncia inappellabile della schiavitù sessuale a cui le donne algerine erano costrette da parte di soldati e ufficiali durante la guerra d’Algeria.
Negli anni Settanta Gisèle Halimi diventa una delle figure di spicco del femminismo. E insieme a Simone de Beauvoir fonda il movimento di azione femminista Choisir la cause des femmes (Scegli la causa delle donne).
E una delle più grandi soddisfazioni per sviluppare in Europa una legislazione femminista, Gisèle Halimi l’ha ottenuta da presidente di Choisir nel cercare di vincolare concretamente i paesi della UE nella applicazione della così detta Clausola più favorevole. Per cui ogni stato, comparando tra loro le leggi vigenti in ciascuna nazione, scegliesse per sé le norme più avanzate esistenti per la fattiva affermazione della libertà, autodeterminazione, parità delle donne.
Adottata a febbraio del 2010 dal Parlamento francese, la “Clausola” è andata trovando sempre più ascolto politico-istituzionale in un crescente numero di Stati europei, che hanno istituito tavoli di confronto e studio e commissioni apposite per le pari opportunità.
«Non voglio essere un modello» ripete nel suo Une farouche liberté. Ma sappiamo bene quanto le sue lotte in prima persona siano state determinanti per portare all’attenzione pubblica questioni-tabù come l’educazione sessuale, la contraccezione, l’interruzione volontaria di gravidanza, la violenza sulle donne.
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La capacità di trasformare le sue arringhe nei processi in eventi di risonanza mediatica, animando il dibattito contro l’ipocrisia perbenista e trovando ampi consensi nell’opinione pubblica spinsero il parlamento francese – solo per fare due esempi – a varare la legge sull’IVG e quella che finalmente definiva lo stupro un crimine.
E proprio rispetto a quest’ultima conquista, vale appena ricordare che, uno dei suoi più famosi processi contro tre uomini che il 21 agosto del 1974 avevano violentato due ragazze belghe in vacanza a Marsiglia, è diventato un film nel 2017 Le viol – Cronaca di uno stupro diretto da Alain Tasma.
Non si sente un modello questa grande femminista franco-tunisina. Ma certo è che l’azione nella storia di questa donna libera perché non aggiogabile dal potere della sopraffazione (da avvocata, deputata all’Assemblea Nazionale francese, ambasciatrice presso l’Unesco e l’Assemblea Nazionale Onu… e tanto altro ancora) ha tutti i titoli per lanciare il suo appello ultimo perché finalmente ogni donna possa esistere libera nella piena dignità del suo esistere.
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