Doppio agguato ai sogni di giustizia
C’è un parallelismo tra la vicenda dello sgombero del CPO Experia di Catania e quella di don Alessandro Santoro, il parroco del quartiere “Le Piagge” di Firenze, sollevato dall’incarico dopo aver celebrato il matrimonio tra un uomo di 58 anni e una donna di 64 anni, che alla nascita era un uomo.
In apparenza, si potrebbe dire che si tratta di due episodi differenti, ma nella realtà hanno un comune denominatore, che coincide con un’azione delle istituzioni volta a fermare il lavoro di chi da anni, con pochi mezzi e tanta volontà, si batte giornalmente per ridare dignità e futuro a quartieri e ad esseri umani abbandonati e privati di tutto. Il centro sociale Experia è uno dei polmoni sani della zona di San Cristoforo, rione popolare ad altissima densità mafiosa, un polmone che respira nella lunga via Plebiscito, per anni teatro di omicidi, con una cadenza giornaliera nella fase dura della guerra tra cosche degli anni ’80 e ’90. Una via che è la facciata caotica dietro cui si cela la solitudine di un’intera fetta di popolazione che, come avviene anche per Librino, altro quartiere a rischio, vive nel degrado e nella rassegnazione, dimenticata dagli enti locali, beffata dalle false promesse di una politica comunale che ha sperperato in parcheggi e in clientele tutto il denaro a sua disposizione, denaro che si sarebbe potuto utilizzare per riqualificare le aree popolari, creando strutture, centri di aggregazione, opportunità di lavoro.
Insomma tutto ciò che occorre per strappare molti giovani dalle mani sporche ma invitanti della mafia, sempre pronta ad ammaliare chi vive senza poter nemmeno permettersi di guardare il futuro, imprigionato dentro mentalità taglienti e stretto nella morsa di un’abbagliante promessa di benessere, quel benessere che da rioni come San Cristoforo non passa mai. Eppure, proprio tra le strade affollate di un’area popolare possono nascere i fiori migliori, perché dentro il respiro del popolo c’è la rabbia giusta, c’è il sacrificio a cui si è costretti ogni giorno, c’è la fame che diventa ambizione. Sono qualità rare, che oggi chi vive bene, tra il verde e le luci del centro, spesso mette da parte e a volte sconosce. Sono le stesse qualità, gli stessi sentimenti su cui fa leva la criminalità organizzata, per sradicare quei potenziali fiori e trasformarli in erbaccia ispida. Così si apre una lotta, una battaglia continua tra chi cerca manovalanza criminale e chi prova, in tutti i modi, a contrapporsi, puntando sulla dignità e sulla cultura, sulla speranza e sull’educazione. A contrapporsi, però, non è lo Stato, non sono enti comunali, bensì uomini, armati di ideali di giustizia e di tanta buona volontà, oltre che di dedizione al sacrificio.
Sono questi uomini che decidono di mettersi al servizio delle proprie idee, creando e gestendo uno spazio in cui accogliere la gente del quartiere, i figli senza colpa di una società malata e marchiata dal fuoco mafioso. I centri sociali, come l’Experia, sono luoghi di promozione dell’essere umano, sono ospedali in cui si partorisce la dignità, il rispetto verso il prossimo, la cultura. Non un covo di “drogati, violenti, balordi”, una tana di comunisti sovversivi dediti allo sproloquio, ma una fabbrica di opportunità, istruzione, aggregazione. La politica siciliana, a tutti i livelli, ha fallito, ha mandato i manganelli a picchiare le persone sbagliate, a colpire con violenza inaudita ed inaccettabile uomini e donne che sono dalla parte della giustizia, della legalità, cioè la stessa che uno Stato sano dovrebbe difendere e sostenere. Invece no, si è scelto consapevolmente di fare un favore alla mafia, in nome di una ideologia che vede i “comunisti” come il male assoluto, da respingere e affossare, indipendentemente da ciò che si fa. Siamo alle solite, in Sicilia. La mafia e la politica unite in nome di un nemico comune, che però ha smarrito i propri connotati, un nemico che ha nel suo Dna e nella storia dei suoi padri la lotta alla criminalità, la promozione umana a partire dal basso, la capacità di resistere e non piegarsi.
Il Cpo Experia, infatti, non si ferma e continua a svolgere la propria opera, proseguendo le attività di doposcuola, teatro, sport, educazione alla legalità per strada, davanti a quel portone che lo Stato ha chiuso all’alba di una mattina di fine ottobre. Pochi giorni prima che un altro uomo di periferia, impegnato accanto agli ultimi, guidato dalla forza delle sue idee e dalla sua fede nell’essenza del Vangelo, veniva fermato dalla sua istituzione di riferimento, dal suo Stato, vale a dire la Chiesa. Don Alessandro Santoro è l’anima del quartiere “Le Piagge”, periferia di Firenze, un prete, anzi un “pretaccio” come lo ha definito Cannavò in un prezioso libro (Pretacci, Bur-Rizzoli editore). Un parroco che ha cambiato un intero quartiere, un rione difficile pieno di problemi, abbracciando tutta l’umanità dispersa che vi circolava, trasformandola in comunità di persone con lo sguardo volto al domani, creando cultura, lavoro, solidarietà sociale, tre elementi che oggi latitano in molte città.
Una vita spesa accanto agli ultimi, tra l’indifferenza delle istituzioni comunali, da cui talvolta sono arrivati anche attacchi e insulti. Un’idea di Chiesa lontana dai fasti e dai riti, dai simboli e dai dogmi anacronistici. Un’idea di cristianesimo inteso come cammino accanto ai poveri, come immersione nella realtà di chi soffre, esattamente come recita il messaggio di quel Vangelo da cui don Alessandro si lascia guidare. Un livornese forte e carismatico, pacato e intenso quando parla ed esprime con parole vere e penetranti la sua idea di mondo e di fede. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di capire il suo messaggio, fissando nella mia mente le sue parole, pronunciate in una parrocchia di periferia. Adesso, don Alessandro è senza il suo popolo, sollevato dall’incarico dal vescovo, solo per aver avuto il coraggio di accogliere pubblicamente il sogno d’amore cristiano di due fedeli, di due persone che alle “Piagge” hanno dedicato il loro tempo ed il loro impegno. Esseri umani che per don Santoro avevano il diritto di sposarsi, il diritto di vedersi aprire il portone di una Chiesa che dovrebbe accogliere tutti.
Padre Alessandro lo ha fatto pubblicamente, ha reso noto ciò che già avviene silenziosamente in tante altre parrocchie, squarciando il velo di un’ipocrisia irritante e inaccettabile. E per questo ha pagato, ha visto interrompersi quel grande percorso di progresso sociale, umano, legalitario iniziato quindici anni fa. La chiesa aperta, tollerante, accogliente di don Santoro si è scontrata con la Chiesa dogmatica, autoritaria, mummificata, intollerante e omofobica delle gerarchie. Uno scontro che come sempre vedrà prevalere il “gigante romano”, cieco e sordo dinnanzi alle tante lettere e alle proteste di chi in quel quartiere ci vive e in quella “piccola” chiesa ci crede, sotto ogni punto di vista.
Due vicende gravi, molto simili tra loro, su cui non può calare il silenzio e su cui, al contrario, deve crescere l’indignazione verso ogni forma di potere, un potere arrogante e connivente, che schiaccia le anime migliori di questo pianeta, strozzandole con i lacci di comode etichette strategicamente appiccicate per creare dapprima isolamento e poi per giustificare qualsiasi tipo di “soluzione” finale.
Massimiliano Perna
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.