“Dossier Tav”: una storia italiana
Giuliano Santoro
Un apprezzato sceneggiatore di comics e scrittore come Tito Faraci si lamentava qualche tempo fa del fatto che la felice scelta settimanale di destinare due pagine de “La Lettura”, inserto culturale domenicale del Corriere della Sera, alla pubblicazione di una storia a fumetti venisse registrata dal quotidiano di via Solferino sotto la rassicurante etichetta di “graphic novel”. Letteralmente, cioè, “romanzo disegnato”. Un romanzo di due pagine? Per quale motivo non chiamare quelle due pagine, spesso ottimamente assortite, semplicemente “fumetti”? L’autorevole annotazione di Faraci rimanda ad una questione più generale. Significa che in Italia ancora non si riesce a conferire dignità culturale al “fumetto”, a decenni dallo sdoganamento operato da mostri sacri come Oreste Del Buono e Umberto Eco?
Prendendo in mano il volume del fumetto “Dossier Tav. Una questione democratica” (Becco Giallo, 128 pagine, 14 euro) scritto e disegnato da Claudio Calia si comprende come la timidezza della cultura “ufficiale” italiana sia stata ampiamente superata dai fatti, da una produzione fumettistica cioè davvero in grado di andare oltre gli steccati per raccontare il paese.
Per descrivere meglio il punto di vista di Calia e la sua sensibilità artistica, dobbiamo fare un’altra piccola digressione. Alla fine degli anni Settanta s’era affacciata sulla scena italiana la prima generazione di fumettisti che aveva sovvertito le regole coniugando lo spirito pop della letteratura disegnata e lo sguardo colto del fumetto d’autore. La generazione di Pazienza, Liberatore e Tamburini si era formata nella carne viva e sull’asfalto rovente dei movimenti e delle controculture dell’epoca, aveva assorbito lo spirito eretico dell’epoca e lo aveva trasferito sulle tavole popolate da coatti cibernetici, teppisti cinici e/o sognatori e agenti segreti fotocopiati. Allo stesso modo, Art Spiegelman, il primo fumettista statunitense a vincere un premio Pulitzer veniva fuori dall’underground di gente come Robert Crumb e Gilbert Shelton.
Anche Calia si è formato nelle culture dei movimenti del suo tempo. È parte di una generazione di fumettisti che è cresciuta ed ha operato negli ultimi dieci anni e che hanno diverse caratteristiche ma una comune appartenenza a un universo vasto e plurale. In un ideale terzetto d’attacco della formazione calcistica del fumetto contemporaneo, lo schiereremmo al fianco di ZeroCalcare, che si è fatto le ossa disegnando locandine per i centri sociali e che ha conquistato prima il web e adesso le librerie e di Alessio Spataro, che – tra le altre cose – ha disegnato con rara grazia la vicenda terribile di Federico Aldrovandi e che si appresta a raccontare la storia antifascista del calcio-balilla.
“Dossier Tav” arriva dopo diversi lavori, e per certi versi raccoglie in eredità qualcosa da ognuna delle fatiche precedenti di Calia. È un percorso artistico e politico, un’unica striscia lunga e in bianco e nero dal tratto essenziale, mai ridondante, che racconta gli anni che abbiamo alle spalle, che ci conduce a questo libro. Le vignette con in primo piano manganelli delle truppe di occupazione in Val di Susa rimandano ai disegni cupi e poetici del diario del G8 genovese. Leggendo dell’ambiente minacciato e della fredda forza dei numeri di raccontare i dogmi del potere e dei mass media, si scorge l’epopea velenosa delle ingiustizie e delle lotte operaie di “Porto Marghera. La legge non è uguale per tutti”. E la capacità di mettere in fila gli eventi, di ricollegare le esistenze individuali alla loro trama sociale e universale ricorda “È primavera”, la poetica intervista disegnata a Toni Negri tradotta in diverse lingue.
Calia fa un’operazione raffinata e sottilmente provocatoria: racconta le ragioni del No alla Tav e le lotte che le hanno sostenute rivendicando in stampatello nelle prime pagine del fumetto: “Non sono mai stato in Val di Susa”. Ciò non gli impedisce, all’occorrenza, di parlare in prima persona, di essere a tutti gli effetti voce narrante. L’autore può rivendicare a pieno titolo di essere parte di questa storia. Per le ragioni che elencavamo prima, per quell’intreccio tra il suo percorso artistico e politico e i fatti della Valle. Ma anche per la capacità dei valsusini di essersi fatti contagiare e di aver posto un tema senza farsi ingabbiare, da ideologie semplicistiche o trappole mediatiche, nella cornice della lotta puramente localistica.
Questo “dossier”, dunque, si presenta come una sintesi della questione, un perfetto saggio di “graphic journalism”. Ma il lettore ci troverà molto altro: diversi livelli di lettura, molteplici storie in sottotraccia e un altro capitolo della storia del fumetto italiano che non accetta di farsi puro intrattenimento.
(27 novembre 2012)
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