Droghe, il Vaticano contro l’Europa

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L’11 e 12 marzo, a Vienna, si terrà una sessione della Commissione Droghe delle Nazioni Unite, che dovrà formulare il documento, prodotto ogni 10 anni, di indirizzo delle politiche antidroga: tra le proposte, largamente condivise, dovrebbero essere inserite le strategie di riduzione del danno, già identificate come obiettivo primario dal documento strategico dell’Unione Europea 2005-2012. Sul Guardian, il 27 Febbraio, ne parla Duncan Campbell.

La posizione della Santa Sede, riportata dal Guardian, recita: “L’uso della droga è una scelta contro la vita e rende l’uomo privo di una volontà propria e la cosiddetta riduzione del danno porta alla liberalizzazione dell’uso di droga” . Nello stesso articolo viene riferito di perplessità sintoniche dell’Italia e di reazioni di Organizzazioni non governative quali l’inglese Release: "con la sua dichiarazione contro la riduzione del danno il Vaticano ha indicato che l’obiezione morale all’uso di droghe è superiore alla tutela del valore sacro della vita”.
In tempi di grande attenzione alla tutela della vita, dal suo concepimento alla sua fine, dovrebbe destare una certa sorpresa il fatto che il Vaticano venga così accusato di mettere a rischio la vita di migliaia di persone, soprattutto nelle popolazioni più emarginate del mondo, con il tentativo di influenzare le scelte politiche delle Nazioni Unite, alla soglia dell’emanazione di una importante dichiarazione internazionale. Al di là dell’eroina, questa posizione sembra ignorare che, senza programmi di riduzione del danno, ogni giorno decine di migliaia di giovani, anche tanti figli di normali famiglie cattoliche, incontrano sostanze che non conoscono e da cui non sanno come difendersi.

La posizione del Vaticano sembra prescindere dalle acquisizioni scientifiche sull’efficacia dei programmi di riduzione del danno e dalle conseguenti applicazioni in sanità pubblica. Ma soprattutto contrasta con la storia e l’esperienza di tante organizzazioni e tanti uomini illustri di ispirazione cattolica, che hanno considerato la riduzione del danno uno strumento importante ed efficace del loro impegno morale e civile: Elio Guzzanti che, ministro della sanità, diede grande impulso a questi programmi per la prevenzione dell’AIDS, Adriano Bompiani che, Ministro della Solidarietà Sociale promosse le prime valutazioni di questi programmi. Mario Picchi, che con il suo CEIS integrò la riduzione nel danno nei programmi di recupero, Luigi Di Liegro che aiutò i programmi di riduzione del danno di Roma con la “sua” Caritas, per non parlare di Luigi Ciotti e del gruppo Abele. Ma ricordiamo anche la comprensione e il sostegno prudente e discreto di Mons. Fiorenzo Angelini, quando i primi programmi di riduzione del danno iniziavano a Roma su decisione di un coraggioso assessore cattolico che a lui chiedeva consiglio.
Il documento strategico dell’Unione Europea 2005-2012 propone una strategia di contenimento della domanda articolata in interventi rivolti a potenziare l’accesso ai programmi di prevenzione e sensibilizzazione, ad assicurare il trattamento mirato e diversificato degli stati di abuso e dipendenza da droghe, ad assicurare la prevenzione e trattamento dell’HIV/AIDS, dell’epatite, degli altri danni per la salute e per la società connessi alla droga.

La cosiddetta “riduzione del danno” è all’interno di una strategia complessiva rivolta a promuovere la vita senza droghe, la salute e la qualità della vita; corrisponde alla funzione primaria della medicina, ovvero alla necessità di preoccuparsi per le conseguenze sanitarie di patologie riconosciute quali l’abuso e dipendenza da sostanze. Tradotta in termini meno tecnici e più umani, essa si propone di non abbandonare le persone e le famiglie alle conseguenze spesso devastanti della tossicodipendenza e, possibilmente, recuperarle senza che abbiano dovuto “toccare il fondo”. Perché “è impossibile recuperare un tossicodipendente morto”.

E’ fondamentale sgomberare il campo dall’ambiguità che viene riproposta con la dichiarazione del Vaticano: la “riduzione del danno” non porta alla “liberalizzazione” dell’uso della droga, ma all’adozione di misure (terapie con metadone e buprenorfina, fornitura di siringhe sterili, accesso a programmi di accoglienza a bassa soglia, etc.) rivelatesi efficaci non solo per il controllo di specifiche patologie, infezioni HIV ed AIDS soprattutto nella popolazione generale, ma anche per consentire a ciascuna persona tossicodipendente di vivere fino al momento nel quale possa trovare la forza, il coraggio e soprattutto l’aiuto per uscire dalla dipendenza. Aiutando a vivere una minoranza di tossicodipendenti emarginati si aiuta l’intera società a vivere meglio.

In attesa della realizzazione della risoluzione delle Nazioni Unite nel 1998 “un mondo libero dalla droga – ce la possiamo fare”, diversi Paesi si apprestano ad assumersi la responsabilità di scelte pragmatiche, per la vita e la salute. Laddove il patrimonio di conoscenza e presidi igienici e terapeutici consentono interventi efficaci ed appropriati, scelte ideologiche contro la “riduzione del danno” rischiano di tradursi in ”aumento del danno”.

Pier Paolo Pani
Presidente della Società Italiana delle Tossicodipendenze

Marina Davoli, Vice Chair,
Carlo A. Perucci, Past Chair
Comitato Scientifico, EMCDDA, Osservatorio Europeo sulle Tossicodipendenze di Lisbona

(11 marzo 2009)



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