Due perquisizioni in otto giorni. Criminale? No, giornalista
di Gabriele Paglino, Radio Città Aperta, da www.radiocittaperta.it
Alcuni giorni fa, in seguito alla pubblicazione di un’inchiesta sugli affari della Camorra nel nord Italia, su ordine della procura di Napoli, la guardia di finanza ha perquisito (per la seconda volta nell’arco di otto giorni) la redazione del settimanale l’Espresso, a Roma, e gli appartamenti dei giornalisti che hanno firmato l’inchiesta.
La prima perquisizione risale invece a venerdi 12 settembre subito dopo la pubblicazione dell’articolo "Così ho avvelenato Napoli". Le persone perquisite sono sempre le stesse: i firmatari dell’inchiesta "Gomorra fronte del Nord", ovvero i colleghi Emiliano Fittipaldi e Gianluca Di Feo.
Cosa sta succedendo alla libertà di stampa, alla libertà di informazione, lo chiediamo proprio ad uno dei due autori delle inchieste "indiziate" (è il caso di dirlo).
Gianluca Di Feo, avete toccato un nervo scoperto, questo è indubbio. Ma due perquisizioni nel’arco di otto giorni sono preoccupanti, praticamente come se foste voi i camorristi. A questo punto la prima domanda che sorge spontanea è perchè i cittadini non possono essere informati su cosa realmente accade? A chi non piaciono questi articoli, la serenità di chi vanno ad intaccare?
Di Feo: La Procura interviene a tutela del segreto istruttorio. Noi riteniamo però che questo intervento sia assolutamente sproporzionato nei modi e nei mezzi utilizzati: personalmente ho subito nella mia attività professionale una decina di perquisizioni e una cinquantina di procedimenti penali però non si era mai vista una azione del genere non soltanto nei confronti dei singoli giornalisti ma anche nei riguardi della redazione. La perquisizione di sabato mattina (20 settembre), scattata in un momento in cui il settimanale era chiuso, in un momento quindi in cui non c’era assolutamente nessuno, ha visto l’ingresso di una dozzina di finanzieri con dei periti tecnici esterni in tutta la redazione de l’Espresso, con un mandato della Procura di Napoli che permetteva a loro le ricerche più vaste e indiscriminate sull’attività di un intero giornale. Questo è qualcosa che non ha precedenti nella storia del giornalismo di qualunque democrazia occidentale.
Qual’è esattamente l’ipotesi di reato contenuta nel mandato di perquisizione?
Di Feo: L’ipotesi di reato è abnorme: noi la consideriamo un insulto alla storia de l’Espresso e all’attività professionale mia e di Emiliano Fittipaldi.
Perchè oltre ad essere accusati della violazione del segreto istruttorio, che ci aspettavamo e che abbiamo violato consci di servire un bene pubblico superiore ovvero la libertà di stampa, in più ci accusano di aver favorito la camorra casalese. Con questa contestazione, che personalmente vivo come un insulto, possono utilizzare contro di noi tutti gli strumenti di indagine antimafia: dalle intercettazioni alle microspie, con qualunque procedura invasiva. A noi sono state perquisite la macchina (ad Emiliano Fittipaldi due volte) e il motorino. Però anche il numero di persone impiegate è veramente abnorme: per una settimana oltre venti finanzieri si sono occupati de l’Espresso e questo è accaduto nella settimana in cui i Casalesi mettevano a segno altri otto omicidi.
Cosa vi hanno sequestrato?
Di Feo: Hanno sequestrato completamente i nostri computer. La prima volta hanno sequestrato il mio hard-disk e hanno fatto copia della memoria di Fittipaldi. La seconda volta hanno proprio portato via integralmete il mio computer e a Fittipaldi, oltre al computer, hanno portato via le copie che glia avevano consegnato la prima volta. Quindi noi abbiamo perso completamente tutte le nostre banche dati, le nostre mail, gli archivi e tutto quello che era il nostro background informatico. In più a me hanno sequestrato diverso materiale riguardante i Casalesi e i loro rapporti con la politica. Tutto materiale lecitamente acquisito, nulla insomma che fosse coperto da segreto istruttorio.
A casa non hanno sequestrato nulla ma le perquisizioni a casa dei giornalisti sono un qualcosa di assurdo: nessuno in un mondo di informatica si tiene a casa qualcosa, sia per non esporre le famiglie al rischio di perquisizioni invasive, diventate ormai prassi, sia perchè in un settimanale si lavora in redazione non si va a casa. Eppure questa prassi viene ripetuta, anche di sera: a casa della collega Fiorenza Sarzanini (NdR redattrice de Il Corriere della Sera) hanno identificato la figlia quindicenne e le amicche della figlia. Cosa pensavano che fosse un raduno di brigatisti?
In questo secondo "raid", nelle stesse ore a Napoli veniva perquisita anche la casa di collaboratore de l’Espresso «del tutto estraneo» alle inchieste no?
Di Feo: Lui non ha firmato nessuno degli articoli di questa inchiesta, aveva cofirmato con me un precedente ritratto del personaggio chiave dell’inchiesta, ed è probabilmente la figura che ha determinato indirettamente la violenza delle perquisizioni, ovvero il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino.
Io e il collega Claudio Papaianni avevamo scritto assieme un ritratto delle relazioni pericolose di Cosentino. Papaianni è un collaboratore esterno ed è anche un testimone della vicenda, quindi in qualità di testimone non ha diritto alla facoltà di non rispondere, che abbiamo noi, è obbligato a fornire informazioni. A lui, oltre ad aver perquisito la casa e averlo trattenuto fino al pomeriggio sotto interrogatorio, hanno sequestrato il computer della moglie senza rilasciargli una copia, creando con ciò un danno professionale gravissimo all’attività della moglie.
Purtroppo il vostro caso (tuo, di Fittipaldi e di Papaianni) non è isolato. Poco più di una settimana fa perquisizioni sono arrivate anche contro, come ricordavi tu, Fiorenza Sarzanini e Guido Ruotolo colleghi rispettivamente del Corriere della sera e de La stampa "rei" di aver informato gli italiani sugli sviluppi delle indagini di polizia e magistratura sugli appalti legati alla Expò Milano 2015. Ecco alla luce di questo pensi che in Italia abbiano valore le sentenze europee che tutelano la libertà di stampa?
Di Feo: Le sentenze europee che tutelano la libertà di stampa vengono sistematicamente ignorate dalle procure italiane le quali ignorano anche alcune sentenze di Cassazione che hanno annulato i sequestri e le perquisizioni nei confronti dei giornalisti soprattutto quando vengono eseguite in modo indiscriminato. Cioè se loro stanno indagando su una fuga di notizie per stabilire chi ha commesso questo reato devono ricercare materiali attenenti la fuga di notizie, non possono impadronirsi della mia intera vita professionale contenuta nel mio computer. Perchè la legge riconosce ai giornalisti il segreto professionale, ma non perchè siamo una categoria privilegiata ma, perchè la possibilità di mantenere la riservatezza sulle fonti è l’unica garanzia di poter accedere a notizie riservate, a notizie scomode, e quindi è l’unica garanzia che permette ai giornalisti di esercitare quella libertà di stampa fondamentale per il funzionamento di una democrazia. La prassi delle perquisizioni con modo intimidatorio è incominciata a dilagare in Italia nel 1993, fu la prima ondata. Io ne subii una enorme nel ’94, quando feci la fuga di notizie sull’avviso di garanzia a Be
rlusconi per Il Corriere della sera, e poi tanti colleghi la subiscono. La subiscono i colleghi che scrivono cose scomode. Scrivere di rapporti tra Casalesi e politica a me non darà nessun
vantaggio, contrariamente alla contestazione che è stata fatta, ma può soltanto dare guai. Questo sistema adottato dalle procure italiane, nonostante le sentenze, non è stato sanzionato da nessuno, perchè a fronte dei contenuti dell’inchiesta de l’Espresso e a fronte delle perquisizioni tutta la classe politica, tutti gli organi istituzionali preposti alla libertà di stampa se ne sono beatamente fregati. E alla fine anche la maggior parte dei giornali italiani scrivono "C’è stata una perquisizione qual’è il problema?" La duplice perquisizione de l’Espresso ha innalzato l’invasività: la perquisizione dell’intera redazione in assenza di testimoni negli uffici della direzione
non c’era mai stata. Ma le reazioni quali sono state? Voi mi state intervistando, ieri l’altro Il manifesto ha intervistato la mia direttrice (NdR Daniela Hamaui ), la grande stampa, i grandi media, soprattutto il mondo delle tv se ne frega.
La politica compatta se ne frega. E’ un segnale drammatico, cosi come è drammatico che sui contenuti dell’inchiesta, ossia i rapporti, evidenziati dalle indagini della Procura di Napoli, tra un sottosegretario di Stato e i gruppi camorristici che hanno trasformato l’emergenza rifiuti campana in un’occasione per avvelenare un’intera regione e fare tanti soldi, siano completamente taciuti dalla classe politica. E’ un argomento che l’opposizione ha sostanzialmente ignorato e che tutti i partiti hanno fatto finta di non vedere.
Di Feo, arriviamo a ciò che ha fatto scattare queste perquisizioni: ovvero la pubblicazione dei vostri due articoli. Il primo "Cosi ho avvelenato Napoli", mea culpa dell’ex boss e attuale collaboratore di giustizia, Gaetano Vassallo, che svela, con l’ausilio anche di alcuni documenti, 20 anni di nefandezze legate allo smaltimento illegale di rifiuti tossici con la complicità di alcuni politici e imprenditori. Un articolo dal quale vengono fuori verità agghiaccianti che confermano come i rifiuti, siano essi urbani o industriali, sono una fonte ineseauribile di ricchezze, legata spesso ad attività illecite, ma non solo in Campania?
Di Feo: Si è vero il business dei rifiuti è un’attività italiana ed europea.
Il problema è che in quell’articolo la figura di Gaetano Vassalo riguarda un aspetto drammatico: come per 20 anni i rifiuti tossici e nocivi di tutta Italia siano stati sistematicamente smaltiti in una parte della Campania grazie ad un accordo tra imprenditori, massoneria, politica e clan. Ci tengo a dire che quando abbiamo avuto in mano questi verbali, abbiamo avuto un’unica preoccupazione evitare dei favoreggiamenti (in questi verbali c’è un elenco mostruoso di pubblici ufficiali, amministratori locali e imprenditori coinvolti in questa attività criminale) quindi abbiamo riportato soltanto nomi di personaggi che fossero indagati. Allo stesso tempo ci siamo posti quello che
è il nostro dovere ossia informare i lettori. E non si poteva tacere delle accuse circostanziate, supportate a un membro del Governo (Nicola Cosentino) che in questo momento ha responsabilità nella gestione attuale della situazione rifiuti a Napoli e soprattutto, quale sottosegretario all’Economia, gli è stata affidata la gestione di un budget enorme. Lui ha respinto le accuse, è giusta la presunzione di innocenza ma è anche da vedere la compatibilità di una persona sotto accusa per crimini cosi gravi con un incarico di Governo. Tantissimi ministri nel momento in cui è stata aperta un’indagine contro di loro hanno scelto le dimissioni. Ricordo una prassi che era stata mantenuta anche durante la prima Repubblica. Non capisco perchè invece adesso siamo arrivati al paradosso che neanche venga posto il problema.
Possibile che la magistratura, la GdF, che ha perquisito la sede de L’espresso, l’appartamento tuo e quello di Fittipaldi, non hanno mai effettuato dei reali controlli in queste imprese che si occupano ( usiamo questo termine) di rifiuti? Nessuno ha mai ispezionato quei 70/80 autotreni carichi di rifiuti che – come racconta Vassallo – ogni giorno formavano sulla strada una fila di 1,5Km?
Di Feo: Vassallo descrive un sistema di corruzione in cui ci sono uomini delle forze dell’ordine, gli ispettori dele asl, gli ispettori della regione ein cui ci sono gli uomini del commissariato di Governo. Vassallo descrive come le varie emergenze dei rifiuti urbani siano servite per poter mantenere intatto per 20 anni il sistema di smaltimento dei rifiuti tossici. "Noi – racconta Vassallo – avevamo delle discariche legali ma senza confini: la regione ci autorizzava ad aprire una discarica senza stabilire quanto materiale ci dovessimo mettere dentro e che confini dovessimo avere. Noi continuavamo ad allargare la discarica e la riempivamo di rifiuti tossici provenienti da tutta Italia. Poi quando c’era la prima emergenza di rifiuti (urbani) a Napoli, interveniva il commissariato di Governo che gettava nelle nostre discariche, pagandoci a caro prezzo tutti i rifiuti urbani di Napoli". Quindi sopra ai rifiuti tossici veniva fatto un gigantesco strato di rifiuti urbani con un effetto micidiale sull’ambiente. Ma allo stesso tempo legalizzando e rendendo impossibile ogni controllo sull’attività illegale precedentemente svolta, per 20 anni! Gaetano Vassallo nel corso di questi 20 anni è stato arrestato
almeno tre volte. Lui stesso racconta che dopo l’arresto per circa un anno e mezzo era tagliato fuori dall’attività, poi, appena esplodeva una nuova emergenza rifiuti
Napoli, la priorità di rendere pulite le strade di Napoli faceva si che si rivolgessero a lui nonostante fosse sotto processo per poter sfruttare la sua "professionalità" e ricominciare a trovare buchi dove versare rifiuti.
Dalla vostra inchiesta, che lo ricordiamo, fa riferimento alle confessioni di un pentito, saltano fuori i nomi di alcuni politici collusi con la camorra come il sottosegretario all’Economia, Cosentino ma anche il presidente della Commissione di vigilanza della Rai, Mario Landolfi se non sbaglio?
Di Feo: Si anche Landolfi. Lui è chiamato in causa da Vassallo per le vicende di un consorzio di raccolta rifiuti di Mondragone. Per questa vicende Landolfi è stato già indagato, ha già ricevuto un avviso di garanzia con l’accusa di corruzione aggravata dal favoreggiamento alla camorra. Attualmente dovrebbe essere in corso l’udienza preliminare per decidere il rinvio a giudizio. Anche Landolfi ha smentito i fatti che si basano sulle dichiarazioni di imprenditori e su intercettazioni telefoniche. Teniamo presente che uno dei protagonisti di questa vicenda, uno dei personaggi che ha accusato Landolfi e Cosentino per le attività di questo consorzio, è l’imprenditore Orsi
assassinato dai casalesi il 1 giugno 2008. Non stiamo parlando di vicende banali come bustarelle o cose del genere.
A proposito di politici coinvolti: qualche mese fa, Marco Travaglio per aver ricordato durante una trasmissione tv le confessioni di un altro pentito, Francesco Campanella, riportate peraltro qualche anno prima dal tuo collega di redazione Marco Lillo, confessioni relative ai rapporti di amicizia del presidente del Senato, Schifani con persone condannate per mafia. Ebbene Travaglio, cosi come illo tempore anche Lillo, è stato querelato. Pensi che oltre alle perquisizioni possa arrivare anche la querela da parte di alcuni dei politici menzionati?
Di Feo: Loro l’hanno già annunciata ma non vedo che problema ci sia. La querela non mi preoccupa perché io sono in grado di portare elementi a suffragio di tutto quello che ho scritto
. Mi sento assolutamente tranquillo nei confronti di una querela per diffamazione. Anzi la querela per diffamazione può essere la sede per affrontare tantissimi aspetti sulla "carriera" di questi politici. Mi permette di portare davanti ad un giudice tantissimi elementi che altrimenti restano chiuse nei cassetti delle procure. Non vedo l’ora.
(2 ottobre 2008)
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.