Due teologi attaccano Englaro: seguace di una cultura arcaica che sacrifica la vita dei figli
di Valerio Gigante, da Adista n.31/09
Altro materiale per Beppino Englaro, che in questi giorni sta valutando l’opportunità di procedere legalmente per calunnia e diffamazione nei confronti di tutti coloro che lo hanno accusato di aver ucciso sua figlia. Un durissimo attacco al papà di Eluana è arrivato infatti l’8 marzo scorso da Gianni Gennari e Filippo Di Giacomo, conduttori di “La Bibbia del mattino”, una rubrica del programma radiofonico “Oggi 2000” che va in onda su Rai Radio 1 tutte le domeniche in due parti: la prima alle 5.50; la seconda alle 23.52.
Gennari, teologo e prete sposato (dopo aver ottenuto la dispensa dal Vaticano), è da anni curatore sul quotidiano dei vescovi Avvenire di una rubrica intitolata “Lupus in pagina”, a firma Rosso Malpelo. Nei primi tempi della sua collaborazione con Avvenire, lanciava quotidianamente, sotto pseudonimo, giudizi velenosi contro chi, sulla stampa laica, si permetteva di criticare la gerarchia o la “dottrina” cattolica, e sotto la firma Gianni Gennari, con una rubrica sulla rivista Jesus manteneva l’aura di teologo progressista che si era guadagnato negli anni precedenti come editorialista di Paese Sera e uomo di riferimento del Pci all’interno del mondo cattolico. Poi l’identità del “Lupus” fu rivelata (v. Adista n. 71/98), e su Jesus scomparve la sua rubrica.
Filippo Di Giacomo, ex carmelitano, passato al clero della diocesi di Sora, è curatore di alcune trasmissione radiofoniche e collaboratore di diversi giornali. Come Gennari, anche lui sotto pseudonimo: per alcuni mesi – firmandosi Vladimir – sul quotidiano della Margherita Europa criticava le ingerenze del card. Camillo Ruini nella vita politica italiana. Poi, come accadde a Malpelo-Gennari, saltò la copertura dello pseudonimo, e cessarono gli editoriali critici.
La mattina dell’8 marzo, nel corso della rubrica “La Bibbia del mattino”, Gennari e Di Giacomo commentano il brano biblico del sacrificio di Isacco da parte del padre Abramo. Spiega Gennari: “Era la tradizione di tutti i popoli orientali, compresi i greci, quella di sacrificare alla divinità la primizia della propria fertilità, il primo figlio o la prima figlia (basta ricordare Agamennone)”. La Bibbia però rappresenta una cesura rispetto a questa pratica: “Dio mette fine con Abramo ai sacrifici umani ed è lui che sacrifica se stesso nella persona del figlio suo e che diventa il difensore della nostra esistenza”. “Grande discorso”, commenta Di Giacomo. Ancor più da “condividere in questi giorni, quando ci sono padri che sacrificano letteralmente le figlie e poi le buttano in piazza semplicemente per sostenere un’idea politica. Trovo aberrante – afferma Di Giacomo – che il politicamente corretto ci impedisca di dire l’orrore che tali gesti comportano, perché sembrano moderni e invece ci riportano a strutture arcaiche. È l’immondizia antropologica quella che portiamo sulle piazze”. Accortosi che i toni travalicavano, Gennari tenta di gettare acqua sul fuoco, chiosando: “Ovviamente non c’è un giudizio sulle persone”. Ma aggiunge: “Lo ius vitae et necis sugli altri uomini e sui figli era superata definitivamente dalla civiltà ebraica-cristiana, e se sta tornando in nome della modernità è davvero una brutta cosa”. Momentaneamente distratto dalla dotta citazione, Di Giacomo sembra a quel punto riportare la discussione su toni più accademici e bacchetta il collega: “Ti correggo, perché lo ius vitae necisque lo supera definitivamente solo il cristianesimo, nel momento in cui Giustiniano codifica il diritto cristiano”. La disputa giuridico-teologica lascia però immediatamente spazio ad un violentissimo affondo finale: “A me ha spaventato molto la mancanza di cultura per cui il patto di sangue a cui qualcuno si è riferito per prendere una decisione che la figlia non aveva probabilmente preso (perché visto che lui stava all’estero a lavorare e la figlia sceglieva di andare a scuola dalle suore e pure all’università cattolica, qualche scelta in vita l’avrebbe pure fatta diversamente), questo patto di sangue in epoca moderna era l’alleanza con cui le Ss si legavano all’interno di quello che era il loro progetto”.
Con la puntata ormai definitivamente tracimata, a Gennari non resta che cercare di salvare il salvabile con una puntualizzazione: “Senza giudizi sulle persone, ma sulle cose sì; e anche sugli eventi”. “Un po’ dura per essere una riflessione mattutina”, deve alla fine ammettere anche Di Giacomo, chiudendo la trasmissione.
Per completezza d’informazione pubblichiamo le lettere di Gianni Gennari e Filippo di Giacomo, citati nell’articolo, e le risposte del direttore di Adista Angelo Bertani e di Valerio Gigante.
Caro Bertani,
leggo su carta (Adista, n. 31, pp. 5/6) uno scritto anonimo, mentre su internet lo trovo a firma Valerio Gigante, e desidero segnalarti che contiene molte cose imprecise che mi riguardano, frutto di disinformazione e soprattutto di pregiudizio ostile, che tuttavia non riesco ad attribuire, perché non ho l’onore di conoscere Valerio Gigante… È il caso allora che, senza dover ricorrere all’art. 8 della Legge sulla Stampa, Adista pubblichi questa mia.
A proposito della mia collaborazione quotidiana ad Avvenire, leggo a p. 5 che il sottoscritto lì, ma "sotto pseudonimo lanciava giudizi velenosi", mentre "sotto la firma Gianni Gennari con una rubrica sulla rivista Jesus manteneva l’aura di teologo progressista che si era guadagnato negli anni precedenti come editorialista di Paese Sera e uomo di riferimento del Pci all’interno del mondo cattolico, ma poi l’identità del ‘Lupus’ fu rivelata (v. Adista n. 71/98), e su Jesus scomparve la sua rubrica".
È davvero così? Vediamo. La mia rubrica quotidiana su Avvenire ebbe inizio il 1.mo agosto 1996, e il Direttore ‑ pensando che ogni giorno avrei dato fastidio a qualcuno ‑ mi propose di cercare uno pseudonimo. Di qui la firma "Rosso Malpelo". Gli dissi subito, però, che se e quando lui avesse voluto non avevo problemi a firmare con il mio nome. La cosa avvenne, per la cronaca, giovedì 2 ottobre 2003, e da allora la rubrica ha sempre anche il mio nome. Intanto, e da anni, credo sei o sette, collaboravo con Jesus, avendo la mia rubrica che Adista da "aura di teologo progressista", e il direttore di Jesus sapeva benissimo che scrivevo anche, come "Rosso Malpelo", su Avvenire. Tanto più che ben prima che se ne accorgesse Adista (n. 71 del 1998) l’identità vera di Rosso Malpelo era stata "rivelata" dal Borghese di Daniele Vimercati e offerta al grande pubblico sul Corriere della Sera da Dario Di Vico, il 20 aprile 1998, a p. 17. E qui è il punto: fu forse allora, come sostiene Adista, che "su Jesus scomparve la mia rubrica"? No. Infatti essa finì un anno e otto mesi dopo, e cioè con il numero di dicembre 1999, e per accordo reciproco. Falso, dunque, e diffamatorio, presentare la cosa come se Gianni Gennari/Malpelo fosse stato colto, dalla Direzione di Jesus, con le dita nella marmellata di uno pseudonimo furbacchione!
Tutto qui? No. A parte l’attribuzione di "giudizi velenosi" a 13 anni di scritti quotidiani, che fa pensare a chissà quante falsità, segnalo che in tutto questo tempo, quindi per quasi 4000 articoli, la rubrica "Lupus in pagina" non ha mai avuto una querela. Neppure una. Per la verità solo Radio Radic
ale l’ha minacciata un paio di volte, ma poi si è ben guardata dal mantenere la minaccia. Purtroppo! E a questo punto aggiungo che l’idea di una querela, stavolta ad Adista, può venire anche a me e al mio collega Di Giacomo. Vedremo…
Adista ricorda poi il mio "credito" guadagnato come "editorialista di Paese Sera e uomo di riferimento del Pci all’interno del mondo cattolico". E fa bene. Infatti sia il povero Franco Leonori, se fosse vivo, che ricordo con affetto e stima, sia altri ad Adista potrebbero ricordare le varie volte in cui mi fu chiesto di accompagnare a Botteghe Oscure, dal severo e mitico cassiere del Pci di allora, chi a nome di Adista chiedeva fondi per soccorrere alle difficoltà finanziarie dell’Agenzia, e con successo…
E allora? Allora Adista ha descritto male una realtà che nei fatti non è opinabile, mentre le opinioni restano sempre libere. Quanto a me credo di poter dire a testa alta che sui punti di "dottrina di fede cristiana e cattolica" non ho mai mutato atteggiamento. Tutto qui. Questo per la mia parte specifica. Quanto poi alla trasmissione "Oggi2000 La Bibbia" può far piacere anche a me ‑ e al collega Filippo Di Giacomo, che provvederà per suo conto a difendere la sua buona fama ‑ apprendere che c’è gente, illustre o meno illustre, che ci ascolta attenta alla 5 e 50 del mattino, anche se poi ne trae spunto, anonimo su carta e in rete firmato Valerio Gigante, per un attacco piccolo piccolo. Con qualche malinconia.
Gianni Gennari, Roma
Caro Gianni Gennari,
non vi è certo bisogno della legge sulla stampa per convincermi a pubblicare la tua lettera che contiene alcune utili precisazioni quali solo la persona direttamente coinvolta può dare. Benvenute dunque le precisazioni. Altri dettagli, ma non molto significativi, potrei aggiungere anch’io personalmente. Ma più dei dettagli personali contano e meritano attenzione i grandi fatti e le vicende storiche (ecclesiali e civili) che abbiamo attraversato: vicende complesse, spesso dolorose, tuttora in larga parte irrisolte. Abbiamo infatti camminato lungo itinerari che si sono incrociati, spesso nei medesimi luoghi e giornali (compresi Avvenire e Jesus) e con tante amicizie comuni. Ricordo i tuoi vivaci articoli su Paese Sera e quando ne parlavamo con Piero Pratesi. Certo ognuno ha fatto la sua strada, ha compiuto le sue scelte, ma sappiamo che sono state compiute in buona fede e con intenzioni non mediocri.
Sappiamo, tu ed io, quanto il mondo è cambiato in questi anni. Quanti collateralismi discutibili sono caduti, e quanti altri forse ancora meno nobili, sono cresciuti! Ed è ben possibile, e dimostrato dai fatti, che le stesse persone abbiano cercato di perseguire i medesimi ideali e progetti in tempi diversi e in ruoli e schieramenti e aggregazioni differenti. Così come è potuto accadere, e accade, che nella stessa "impresa" si ritrovino persone e sensibilità e intenzioni assai diverse.
La notizia di Adista cui ti riferisci nasceva dal desiderio di dar conto della trasmissione radiofonica sul caso Englaro, dello stile e delle affermazioni contenute. E Valerio Gigante, bravo e accurato com’è, aveva fatto riferimento al numero di Adista in cui a suo tempo fu ripresa la notizia del collegamento svelato tra un nome e uno pseudonimo; non diceva che Adista fosse la "fonte rivelatrice"; anche se il lettore può forse fraintendere. Ma tant’è: a chi si affaccia oggi su queste vicende antiche, con il desiderio di "guardare dentro" e di ricostruire ragioni e cause, può capitare qualche volta, di fare un processo alle intenzioni o di scambiare le apparenze con la realtà profonda.
Come succede spesso a me (e credo a molti altri) di sbagliare quando si prende una decisione o si compie una scelta, così può certo capitare che qualcuno interpreti in maniera opinabile le nostre decisioni e le nostre scelte antiche o nuove.
Per questo è utile spiegarsi ed è importante, nel nostro mestiere di giornalisti (e persino in quello tanto più solenne degli storici di professione), mantenere uno stile di rispetto reciproco e di ricerca umile e continua. Certo, tu dici, distinguere i fatti dalle opinioni. È giustissimo, ma è tutt’altro che facile perché non di tutti i fatti siamo spettatori obbiettivi e dunque cogliamo i fatti attraverso molteplici filtri (nostri e altrui). Anche nel dialogo radiofonico fra te e Di Giacomo con riferimento al caso Englaro non è facile distinguere fatti e opinioni, eventi e persone, esegesi e teologia, diritto e vangelo. E così i nostri giudizi: non sempre sono distillati dal nostro libero convincimento, ma possono essere frutto di emozioni, di influenze. Spesso per leggere dei fatti che ci sembrano indecifrabili ricorriamo ad ipotesi di lavoro e, nell’esporle, si può facilmente cadere in giudizi temerari. Proprio perciò credo che sia necessario esercizio di virtù quello di mantenersi aperti al confronto, giorno dopo giorno, con tutti. Solo così si può costruire una memoria condivisa; e trasmetterla e renderla comprensibile anche alle generazioni più giovani. Da una memoria condivisa, approfondita ascoltando tutte le voci, potrà forse nascere, chissà!, anche un progetto condiviso per migliorare la vita degli uomini nella società e nella comunità ecclesiale.
Mi rendo conto che il mio invito al dialogo "a tutti i costi" può sembrare una predichina (sia tu che io ne abbiamo fatte tante! tu in verità hai saputo usare, brillantemente e in varie direzioni, anche il sale della polemica e un acuminato fioretto). Ma non è solo una predichina (1 Cor 6, 1‑11). Per me è un progetto che ha segnato la vita; del quale non mi sono mai pentito e che mi ha consentito tra l’altro di non ricorrere mai né all’anonimato né a nome de plume. E, dicendo questo, non intendo affatto giudicarne l’uso come fosse una cattiva azione. Certo, può destare sospetti, curiosità e interpretazioni; ma può anche essere giustificato da buone ragioni e non ho dubbio che sia stato così nelle vicende da cui siamo partiti per queste considerazioni. Quanto infine all’accenno circa il tuo antico patronage presso il Pci di allora, potrà sorprendere qualcuno (non tutti conoscono il tuo lungo viaggio); ma non vedo che cosa abbia a che fare con gli argomenti di cui stiamo discutendo. Tuttavia le persone cui ho chiesto, e che potevano essere informate, mi hanno detto ‑ e per quel che mi risulta ho tutti i motivi per credere loro ‑ che le cose non sono andate come tu scrivi.
Caro Gianni, vorrei contribuire a trasformare in serenità e fiducia la parola che conclude la tua lettera: malinconia. Ma se sono riuscito anche solo a dissiparne una piccola parte sarei contento. Con cordialità,
Angelo Bertani
Gentile direttore,
mentre il mio avvocato sta valutando ogni tutela di legge, e mentre rileggo con divertimento un vostro scritto del 1997 con il quale venivo descritto come un “uomo di Ruini”, con la presente vengo a pregarla di notificare al signor Valerio Gigante e ai vostri lettori che, contrariamente a quanto da voi asserito su Adista n. 31 pp. 5-6 e relativa pagina online, la firma “Vladimir” è apparsa su Europa dal primo numero di quel quotidiano e fino al marzo 2008, e quindi ben oltre le illazioni alle quali il signor Gigante, per mancanza di informazioni, fa ricorso. Ma anche di questo, ovviamente, discuterò con l’interessato in una sede più opportuna. Nel frattempo, senza dover ricorrere con Lei ad ulteriori atti formali, spero che questa mia sia sufficiente per ottenere una sollecita e doverosa rettifica.
Cordiali saluti
Filippo Di Giac
omo, Roma
Pubblichiamo volentieri anche la Sua lettera, che abbiamo ricevuto successivamente a quella di Gianni Gennari. Certo (e nulla di male se lo ricordiamo ai lettori): la firma Vladimir apparve su Europa fin dal primo numero, il 12 febbraio 2003, a pag 8. Ma, per essere precisi, non si tratta di una rettifica ma di una informazione aggiuntiva: la notizia di Adista si riferiva chiaramente al periodo in cui Vladimir "criticava le ingerenze del card Camillo Ruini nella vita politica italiana". Ma ogni notizia in più, per quanto ad abundantiam, è benvenuta… meglio se non è scortata da toni minacciosi.
Cordialmente (ab)
Potrei ribattere punto su punto alle lettere di Gennari e Di Giacomo, ma la mia replica sarà brevissima. Non ho nulla da aggiungere, da togliere o da rettificare a quanto scritto sul n. 31/09 di Adista, anche perché, nel merito delle frasi a loro attribuite, Gennari e Di Giacomo, nella loro “smentita”, non smentiscono proprio nulla. Ciò che hanno detto nel corso della trasmissione “Oggi 2000” resta nel virgolettato della nostra notizia. E resta al giudizio dei lettori. Il resto, invece, contribuirebbe solo a deviare l’attenzione dal vero nodo della notizia di Adista, ossia le dure accuse a Beppino Englaro. Quanto poi ai “vedremo…” ed alla “sede più opportuna”, Adista, e il sottoscritto, sono a disposizione.
Valerio Gigante
(16 marzo 2009)
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