“È normale che questa Italia abbia paura di Dario Fo”
Daniele Nalbone
Matthias Martelli, quanto accaduto è assolutamente grave e la reazione che c’è stata lo dimostra. A mente fredda, come analizzi i fatti di Massa Martana?
Come ha spiegato Vladimiro Zagrebelsky su La Stampa, non c’è nessun motivo per poter affermare che uno spettacolo teatrale non è adeguato. Entro i limiti costituzionali, la libertà di espressione va tutelata e garantita. Non c’entra – ha ragione il costituzionalista – il fatto che Mistero Buffo abbia una religiosità popolare, anche se non l’avesse sarebbe dovuta andare in scena ugualmente. In fondo l’arte in generale e il teatro in particolare hanno l’obiettivo non solo di divertire ma di sovvertire, di "guardare sotto", smascherare. Far vedere un’altra realtà. Per questo i bigotti e i custodi del potere in fondo detestano il teatro, perché è sempre stato uno strumento di rivolta culturale. Detto ciò, nessuno – nessuno! – può decidere cosa sia adeguato o meno per la popolazione.
La sensazione, come ha spiegato , è che si cerchi più la kermesse comica che non l’opera d’arte per “non disturbare”.
Purtroppo, è così. Oggi c’è una visione del comico come qualcosa di altro rispetto all’arte, qualcosa di leggero, che sia solo svago, che in fondo non dice niente. Si chiede di ironizzare sulle banalità. A me piacciono anche i comici che parlano "di marito e moglie", hanno il diritto – e il dovere – di essere tra i protagonisti del mondo dello spettacolo, ma il teatro comico non può essere solo quella cosa lì. Credo che quanto accaduto sia solo la punta dell’iceberg: paradossalmente noi abbiamo avuto la "fortuna" di essere stati censurati pubblicamente. Ma quanti spettacoli e rappresentazioni vengono depennate in sede di discussione del cartellone senza che nessuno sappia realmente il motivo?
La reazione che c’è stata dimostra però che questa linea – la ricerca dello spettacolo comodo e leggero – non è così "attraente" per la gente.
Quando abbiamo preparato il comunicato e poi fatto il video non mi sono posto la questione. Non potevo immaginare che saremmo finiti su tutti i giornali. Leggere le parole di Zagrebelsky è stato importante e significativo. Ho centinaia di messaggi di solidarietà che non riesco a leggere. Questa ribellione dimostra che la gente ha la percezione di questa spasmodica ricerca dello show digestivo a discapito di uno spettacolo "importante". Ripeto: quanto accaduto deve essere campanello di allarme di una situazione culturale più ampia. Questa battaglia è più grande del comune di Massa Martana, del suo sindaco, di noi attori e registi, del Movimento 5 stelle, della Lega o del Partito democratico.
Il fatto che un’opera "vecchia" di mezzo secolo faccia ancora così paura cosa racconta?
Concordo con Jacopo Fo quando dice che in fondo è una bella notizia, perché significa che è ancora attuale. In fondo è un’opera contro il potere e i poteri. E il potere c’è e ci sarà sempre. Dall’altra parte, però, ci dice che cinquant’anni dopo non siamo ancora liberi dai bigottismi.
Non credi però che una simile notizia possa essere un duro colpo per i giovani attori e le giovani compagnie teatrali? Che possa passare il messaggio "meglio rappresentare una commedia leggera che però va in scena che non un’opera che rischia di essere censurata?"
Io ho 34 anni e ho iniziato a fare questo spettacolo quando ne avevo 29. Da quello che mi arriva girando con Mistero Buffo i giovani sono tutt’altro che rassegnati. In fondo, la reazione che c’è stata dimostra quanto la censura, per chi la utilizza, sia un’arma a doppio taglio. A livello pubblico è sempre inaccettabile e può spingere le persone a reagire. Non a caso lo stesso sindaco ha tentato in ogni modo di negare la censura. Credo che simili situazioni possano spingere i giovani a essere ancora più coraggiosi.
Eugenio Allegri, la "censura" di Mistero Buffo è arrivata da una giunta di sinistra. Come sottolinea Jacopo Fo nell’intervista a MicroMega, in buona parte della sinistra c’è un evidente problema culturale. Ritiene sia così?
Ha ragione Jacopo Fo. La sinistra italiana, ma forse non solo italiana, è in grande confusione culturale. Potremmo attribuire il tutto al fatto che la nostra generazione non ha saputo interpretare e declinare al tempo presente l’eredità dei grandi padri della cultura di sinistra che dal dopoguerra in poi hanno alimentato il più grande dibattito civile e sociale che il nostro paese abbia conosciuto. Potremo anche dire che la borghesia italiana, pur rivendicando il diritto a essere unica classe dirigente, non ha capito quali alleanze culturali e politiche strategiche produrre, col risultato di impoverire via via quel dibattito che si annunciava fecondo ancora per molti anni. Penso però che prima ancora che sul piano culturale generale la sinistra abbia pagato lo speronamento dell’etica politica prodotta dal trasformismo socialista degli anni Ottanta. Nel 1976 un partito della sinistra, il più grande e forte d’Europa, quello comunista italiano, convocava al teatro Eliseo di Roma gli stati generali della cultura e metteva a confronto laicamente decine, se non centinaia, di pensatori, intellettuali, artisti di ogni settore, operatori culturali, e tanti altri circa le sorti del futuro della cultura e del progresso civile del paese. Nel ’77 l’ala creativa del Movimento produceva un progetto di contro-cultura che forse sarebbe stato meglio non demonizzare e dunque ostacolare da parte della sinistra tradizionale, visto che molte delle istanze e delle forme di linguaggio deflagrante contenute in quel progetto avrebbero irradiato le modalità della comunicazione e dell’arte nel futuro del nostro paese. Poi però il vento craxiano ha spazzato i tavoli distruggendo i primi e rimodellando, diluiti culturalmente e disinnescati politicamente, gli altri. Craxi era il capo del Partito socialista italiano, dunque un partito della sinistra. Oggi l’eredità di quel trasformismo politico e culturale è identificabile con l’azione di Fratelli d’Italia. Hai voglia a parlare di confusione della sinistra se non la collochi storicamente.
La motivazione che ha portato alla cancellazione della messa in scena del vostro spettacolo suona come il disperato tentativo di non disturbare nessuno. Una decisione che viviamo quotidianamente nella politica italiana. Le larghe intese, larghe coalizioni, alleanze strambe hanno portato qualsiasi amministratore all’abitudine di muoversi come il classico elefante nel negozio di cristalli?
È così. L’elefante purtroppo non ha la grazia da ballerino di Dumbo, e comunque i cristalli intorno non sarebbero di Boemia bensì provenienti dal vicino discount. Scherzi a parte, in Italia mi sembra che ormai da tempo l’azione politica si sia irrigidita inesorabilmente. L’amministrazione pubblica poi, anche di piccoli comuni, deve fare i conti con le mille variabili locali che possono urtare la sensibilità di quello o quell’altro assessore o consigliere di maggioranza, il quale poi minaccia di spostare
l’equilibrio politico di coalizioni formatesi in consigli comunali incollati a freddo. Il trasformismo, di cui parlavo prima, ai suoi tempi era stato subito accompagnato da due fenomeni paralleli: la corruzione pubblica e la creazione del politico-manager. Spesso e volentieri i due fenomeni interagivano. Il prevalente scopo di “interesse” che Norberto Bobbio imputava alla cultura politica delle destre, al tempo del Caimano si è insinuata organicamente nella cultura di sinistra. Il modello manageriale si è imposto in ogni settore anche non produttivo. Oggi un sindaco, ripeto anche di un piccolo comune, nella maggior parte dei casi dovrebbe avere a disposizione una struttura politica, organizzativa e mediatica come quella di Apple o di Fiat-Chrysler per affrontare il mondo attorno a sé, pena la rigidità politica che se non altro gli può garantire una certa durata nel tempo. Non si osa fare perché così non si sbaglia. E se non si sbaglia si può essere confermati al secondo mandato. Per fare cosa, poi, però, non si sa. Penso alla giovane Greta Thunberg, la quale un giorno ha alzato lo sguardo verso l’orizzonte, ha dato un’occhiata alle cose che non andavano, ha riabbassato lo sguardo intorno a sé e a quel punto l’orizzonte ha alzato lo sguardo verso di lei. Bisognerebbe che molti politici locali, soprattutto di sinistra, riluttanti a recepire la insinuante azione della destra, potessero liberamente e serenamente abbassare il proprio sguardo intorno a sé. L’orizzonte poi si adeguerebbe. Se si strutturano culturalmente in maniera adeguata, possono farcela.
A questo punto, devo però chiedere: esiste un’arte, un teatro, che non disturba nessuno?
Il fatto è che non lo sappiamo, o meglio: io non lo so. Soprattutto non so chi possa essere quel “nessuno”. Oggi il consumo dell’arte, e in gran parte del teatro, è per lo più inscatolato e preconfezionato per una serie di clienti che sanno già cosa comprano, che al limite se trovano un prodotto non corrispondente a quanto richiesto non si sentono più di tanto disturbati, lo restituiscono al produttore e se ne fanno rimandare un altro funzionante e assolutamente uguale al precedente. Dunque, sì: esiste un’arte e un teatro che non disturbano quel “nessuno” che non c’è o che io non so se c’è. Parafrasando Pirandello, potrebbero essere centomila, ma in realtà ciò che manca a molti di noi, me compreso, è l’individuazione dell’“uno”, poiché da molto tempo l’arte e il teatro non sanno a chi si stiano rivolgendo. E poiché il problema è che quell’“uno” non è che lo si possa creare prima in laboratorio, ma lo si genera con l’arte e il teatro stessi. Bisogna fare continui tentativi di inseminazione artistica per generare “uno” in quanto pubblico vivente. A propria volta questo potrà generarne altrettanti e allora probabilmente riusciremo a disturbare tanti “nessuno”, che è ciò che l’arte e il teatro dovrebbero riuscire a fare continuamente.
Chi può essersi sentito disturbato, o chi potrebbe oggi sentirsi disturbato, da un’opera come Mistero Buffo?
Oggi credo che si tratti soltanto di ignoranza, nel senso che ad essere “turbati” possono essere soltanto coloro che non sanno chi siano né dove vivano. Oppure posso pensare che a scoprirsi turbato possa essere chi non voglia accettare a priori alcuna forma di dialogo. “Mistero Buffo”, diciamolo, non ha più la stessa carica di provocazione che aveva negli anni Settanta. La nostra società odierna, disincantata e cinica, non assomiglia per nulla a quella che sognava e operava per il cambiamento del proprio destino e che poteva trovare in un’opera teatrale le ragioni per imprimere più forza alla propria azione. I giovani non sono più protagonisti, o non lo sono in quanto tali. Tuttavia, coloro i quali in questi tre anni, cioè da quando Matthias Martelli e io siamo andati in scena con “Mistero Buffo”, hanno manifestato segnali di fastidio verso “Mistero Buffo”, e lo hanno fatto più o meno blandamente, si sono espressi con un linguaggio arcaico e improprio che sembrava parafrasare e scimmiottare quello bigotto degli anni Settanta. Incomprensibile e ridicolo. Il lavoro che abbiamo svolto Martelli e io in questi quattro anni potremmo definirlo “pedagogico”: durante le prove, fin dall’inizio della nostra avventura, ho preteso di attivare i “Cantieri aperti”, ovvero sessioni di due/tre giorni di prove aperte al pubblico durante le quali modellavamo a vista il nostro spettacolo, mettendoci in gioco con gli spettatori, interloquendo, chiedendo consigli e suggerimenti e, perché no, consensi se c’erano. Abbiamo mirato a educare, a rimettere in circolazione le idee e a ridare forza comunicativa al linguaggio teatrale, non a cambiare il mondo. Certo è possibile che a qualcuno, magari nemmeno troppo ignorante, tutto questo oggi possa dare fastidio. Del resto in un tempo in cui prevalgono gli insulti mediatici e le condanne assolutiste, praticare la dialettica può essere un atto fastidioso.
Censurare un’opera pone una duplice questione. La prima: un duro colpo alla libertà di espressione. Ma l’altra faccia della medaglia è ridare forza a quell’opera visto che è stata scritta cinquanta anni fa. Perché Dario Fo e Franca Rame sono ancora così "temuti" dopo tanti anni?
Certo non si può tollerare nel 2020 che le opere dell’intelletto umano vengano censurate negando a decine o migliaia o milioni di cittadini la possibilità di sapere ciò che spesso solo pensano di conoscere. Nel caso di “Mistero Buffo”, che fa già parte del patrimonio letterario italiano e mondiale e il cui geniale autore Dario Fo, affiancato dall’altrettanto genio di Franca Rame, è stato insignito del “Premio Nobel”, risulta paradossale che si debba a un caso di “censura” la fama di una versione messa in scena cinquant’anni dopo. Certo se si tratta di riscoprirne il valore, da un certo punto di vista è bene che sia così. Noi non abbiamo aspettato questo “brutto sogno di censura di mezza estate” per rilanciare il valore di quell’opera. Le opere, tuttavia, non sono cose statiche, sono prodotte da esseri umani per altri esseri umani e possono cambiare la propria funzione e forza insieme ai cambiamenti che riguardano l’umanità. Se poi affondano la loro origine nella tradizione orale divengono ancor più dirompenti e popolari. Il cosiddetto “Grammelot” mantiene intatta una forza rivoluzionaria per come, attraverso quel linguaggio, episodi e concetti riescano a penetrare ancora oggi nell’immaginario collettivo. Il fatto poi che Dario Fo e Franca Rame siano ancora così “temuti” penso dipenda dalla impossibilità, che fu di allora ma anche di oggi, di collocarli comodamente in qualche casella a noi usuale. Il loro anticonformismo, il loro essere stati agitatori politici demonizzati e messi ai margini dalle istituzioni e da una chiesa allora schierata su posizioni fortemente conservatrici, il loro essersi presentati spesso con posizioni contraddittorie e anticonvenzionali li ha resi inafferrabili alle categorie del pensiero. Hanno attraversato combattendo sessant’anni di storia di un paese che del resto ne ha fatte, a tanti di noi, di tutti i colori. Non è che possiamo starcene lì tranquillamente a farci dare continuamente legnate, ringraziando magari il “bastone nocchieruto” di turn
o.
Che spazio ritiene ci sia oggi in Italia per una comicità come quella della commedia dell’arte? Pensa sia una forma teatrale ancora viva?
Beh, qui il discorso si fa molto ampio anche se è facile per me rispondere, visto che non ho mai smesso di praticare, difendere e diffondere, pur con grande difficoltà e nella quasi totale indifferenza del teatro italiano, la commedia dell’arte partendo dallo studio delle sue origini cinquecentesche. Pur in deficit di ironia, credo che in Italia lo spazio per il teatro comico vi sia. La comicità della commedia dell’arte non solo è ancora viva, ma è necessaria. Lo aveva capito ovviamente Dario Fo che vi ha aggiunto di suo il tributo riconoscente verso il teatro di Ruzante. L’ho imparato io, subito, la prima volta in cui ho “calzato maschera” di Arlecchino, durante lo stage che Jacques Lecoq tenne in Italia, a Bologna nel 1978, presso la scuola di Nuova Scena, a trent’anni di distanza dalla sua ultima presenza nel nostro paese. Ho continuato ad imparare tanto altro grazie a Carlo Boso e ai colleghi veneziani del Tag Teatro mentre, in tournée negli anni Ottanta, venivamo acclamati in mezza Europa. Ciò che gli attori possono apprendere attraverso il teatro di maschera è qualcosa che ti lascia addosso un patrimonio inestimabile di conoscenza e di consapevolezza che diviene incancellabile. Imparare a rispettare le regole dello spazio scenico, della tecnica del movimento che sostiene l’azione delle maschere, analizzare e ricostruire continuamente la gamma dei caratteri e dei personaggi della commedia, affrontare l’improvvisazione per poi articolare un canovaccio di scene con ricchezza di temi e trame, caratterizzare i dialoghi attraverso il linguaggio dei dialetti italiani con la commistione di lingue straniere e in più arricchire il proprio bagaglio personale attraverso lo studio delle discipline parallele del canto, della musica, della danza, dell’acrobazia drammatica, della giocoleria è qualcosa di straordinario che nel suo esito finale arriva a restituire sulla scena la meraviglia del teatro. È ed è stata una passione, la mia, che a un certo punto ha spinto un grande maestro come Leo De Berardinis a mettere in scena “Il ritorno di Scaramouche” chiedendomi di dirigere uno stage propedeutico durante il quale lui stesso calzò la maschera chiedendo ai “suoi” attori di fare altrettanto; quegli stessi meravigliosi attori, di cui peraltro sino a poco prima ero stato, con orgoglio, collega sulla scena. Con Leo il teatro colto e popolare della commedia dell’arte percorse strade inesplorate e moderne. Saper fare ridere uno spettatore senza nemmeno sfiorare per un attimo la volgarità non solo è un atto straordinario, ma è necessario. Oggi risulterebbe rivoluzionario. E se da parte del teatro italiano, che per molti anni ha fatto finta di nulla, mi verrà data la possibilità, io continuerò a mettere in scena e a portare nei teatri e nelle piazze spettacoli di commedia, cercando di raggiungere il livello in cui quest’arte teatrale merita di essere collocata.
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Per concludere: teme che questo tipo di scelte politiche (perché di questo si tratta) possa spingere i giovani attori, le compagnie teatrali indipendenti, a mettere nel cassetto determinate opere per andare verso rappresentazioni o spettacoli più "digestivi" per il pubblico? Per essere chiaro: sapere che un’opera come Mistero Buffo corre il rischio di essere censurata, può portare i giovani a preferire commedie "televisive" per poter comunque andare in scena, stante la crisi del settore, a discapito di opere più importanti ma scomode?
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