Echi italiani nel regno oscuro della Marvel

Giona A. Nazzaro

L’universo Marvel presta da sempre grande attenzione alla temperie politica degli Stati Uniti. Anche coloro che frequentano sporadicamente il multiverso supereroistico creato da Stan Lee con la complicità di Steve Ditko, Jack Kirby, John Romita Sr., John Buscema, Gil Kane, Gene Golan e Jim Steranko, sanno che l’inesorabile continuità che intreccia fra loro i numerosi albi della Casa delle Idee è solita affacciarsi anche al di qua della tavola a fumetti, dialogando in maniera problematica con le emergenza dell’attualità politica.

Così come il serial televisivo 24 ha di fatto accompagnato il sorgere e il chiudersi dell’era George Bush Jr., al punto di attirarsi infondate accuse di stare dalla parte dei Repubblicani, mentre non ha fatto altro che evocare l’avvento di Barack Obama alla Casa Bianca, allo stesso modo gli ultimi grandi Crossover marvelliani (ossia gli archi narrativi che coinvolgono tutte le testate della casa madre) si sono offerti come interessanti riflessioni e metafore dello Stato dell’Unione (e non solo).

A partire dalla Civil War immaginata da Mark Millar, dove lo spunto è fornito dalla richiesta di registrazione dei supereroi che ha provocato una polarizzazione dei lettori che si sono inevitabilmente schierati. Da una parte coloro che appoggiavano la rivoluzione chiesta da Iron Man e Reed Richards, ossia supereroi privi di identità segrete che agiscono in linea con le direttive governative e dall’altra i fautori dell’anonimato vecchia scuola, contrari ad agire all’interno di strutture burocratiche che trovavano in Capitan America, in assoluto la figura più tragica e complessa dell’intero universo Marvel, il loro inevitabile punto di riferimento.

Con una serie di contraddizione squisitamente “americane”, Millar confondeva le acque. I fan del Capitano accusavano Iron Man e Co. di essere dei “fascisti”, mentre Reed Richards, la voce della ragione della Marvel, chiedeva un atto di responsabilità e quindi di abbassare tutte le maschere. E’ facile intravedere dietro questo dilemma supereroistico, in un momento in cui gli Stati Uniti si laceravano sulla bufala delle armi di distruzione di massa, una profonda riflessione politica sulle leggi che permettevano ai cittadini degli Stati Uniti di continuare ad acquistare armi con enorme facilità.

In nome di un anti-centralismo che negli USA assume anche pericolose derive suprematiste, Capitan America, il simbolo della lotta al nazismo, rifiuta di registrarsi e raccoglie intorno a se i maverick più affascinanti della Casa delle Idee. Dall’altro lato ci sono i nerd marvelliani, capitanati da Richards e Stark, che preferirebbero regolarizzare la loro posizione di vigilante.
Chi sono quindi i Repubblicani? E i democratici?

La Civil War si conclude con la sconfitta di Capitan America e dei suoi ribelli cosa che di lì a poco conduce alla morte di Steve Rogers e all’invasione dei mutaforma verdi noti come Skrull. Ancora una volta il principio stesso di individuazione della realtà di casa Marvel viene messo a dura prova. Chi sono gli amici? Che faccia hanno i nemici?
Per affrontare la minaccia aliena, i “buoni” offrono una possibilità ai “cattivi”: aiutateci a far fuori gli Skrull e vediamo che cosa possiamo fare per le vostre fedine penali.

Il problema è che alla fine della Invasione Segreta a dare il colpo di grazia agli Skrull, in diretta mondiale su tutte le reti, è niente meno che Harry Osborne, l’arcinemico dell’Uomo Ragno, noto come Goblin, scienziato pazzo con manie superomistiche e una psiche che è frammentata peggio di una repubblica balcanica (o della nostra italietta berlusconiana).
A causa del suo ruolo contro gli Skrull, il governo Usa consegna le chiavi dell’impero a Osborne. Tony Stark cade in disgrazia e di fatto inizia il Dark Reign, l’era oscura della Marvel.
Harry Osborne, dunque, finalmente ha accesso proprio a quelle stanze e a quel potere cui da Goblin ha sempre puntato. Ed è proprio questo il punto in cui il crossover marvelliano pare addirittura intrecciarsi con le vicende di casa nostra.

Per prima cosa Osborne stringe una santa alleanza con tutta la peggiore feccia marvelliana. La facciata è quella dell’uomo che si preoccupa del benessere dei cittadini e della loro sicurezza. La realtà è quella del supercriminale che dietro l’impunità concessagli dal suo nuovo potere, un potere tutto politico e nient’affatto fantascientifico, ottenuto con il consenso della “gente”, decide non solo di diventare più ricco, ma di fare a pezzi ciò che resta del precedente ordine democratico supereroistico per potere agire con la massima libertà.

Osborne, con un acume tutto italiano,assume il controllo totale dei media. L’unico giornalista non asservito è il combattivo Ben Urich che dirige un piccolo quotidiano che si fregia con orgoglio dell’aggettivo dispregiativo “sinistrorso”. Onnipresente in tv, Osborne risolve ogni accenno di crisi con nuove promesse, che cancellano quelle precedenti (tutte non mantenute), mentre spreca più energie per tenere sotto controllo i suoi litigiosi alleati, che a dare seguito alle riforme da lui stesso annunciate.

Il problema che il gruppo dei supereroi non registrati si trova ad affrontare è serio. Sul passato goblinesco di Osborne è diventato tabula rasa per decreto governativo. Nominare Goblin è quasi un reato di lesa maestà. Non a caso i media vengono imbrigliati con leggi ad hoc che tutelano la sicurezza nazionale e che permettono a Osborne e ai suoi di operare nell’ombra come sempre hanno fatto. I veri fuorilegge dunque sono i buoni. Che non accettano lo stato di “non diritto” osborniano. Attentare alla vita di Osborne, al di là di questioni etiche e morali, è prima di tutto un crimine e poi un problema di coscienza (e non è un caso che Devil assuma il controllo della setta di sicari nota come La Mano per affrontarlo).
Come uscire da questa terribile empasse, se alla vista di Osborne la gente esulta mentre se avvista l’Uomo Ragno chiama avverte la polizia?

Agli albori del mandato Obama, la Marvel mette dunque in scena un’allucinata distopia politica, forse tirata un tantino per le lunghe, ma senz’altro di notevole efficacia per riflettere sui rischi che corre una democrazia esposta ai rischi di una leadership massmediale e di tipo personalistico.

Chissà se gli architetti della continuità marvelliana hanno pensato al nostro presidente del consiglio per dare corpo all’autocrazia di Harry Osborne. In ogni caso produce un effetto perturbante notare che un personaggio bidimensionale che una volta era solito indossare un costume verde e lanciare bombe a forme di zucca di Halloween non solo diventa il capo del governo del mondo Marvel ma che da quest’altra parte della sottile linea grigia che ci separa dal mondo immaginato da Stan Lee ci sia un persona, in carne e ossa, che si comporta esattamente come Harry Osborne. Con la differenza che non ci sono atletici eroi in calzamaglia a tirarci fuori dai guai. Al regno oscuro italiano possiamo porre fine solo noi.

(22 giugno 2010)

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