Si pecca per atti

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Dai “600 euro” al “Raggi bis” passando per le discoteche aperte in tempi di pandemia. Da una parte il fallimento del Movimento 5 stelle, dall’altra un Partito democratico ormai ridotto a un coacervo di bande. È un triste agosto: per i diritti, per Roma e per il nostro futuro.

di Paolo Flores D’Arcais

Si pecca per atti, ma anche per omissioni, come sappiamo fin da piccoli, quando andavamo al catechismo. Peccano molto i partiti della maggioranza di governo, peccano orrendamente e ontologicamente i partiti dell’opposizione pre-fascista, peccano senza ritegno i potenti dell’establishment finanziario e imprenditoriale, peccano spudoratamente i loro sciamannati aedi del lugubre canto mediatico liberista.

Prendiamo i mascalzoni del bonus. L’articolo 54 della Costituzione stabilisce che “i cittadini cui sono state affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. I parlamentari e consiglieri regionali che hanno richiesto i seicento euro hanno inzaccherato questo articolo col proprio letame, i partiti che li hanno “sospesi” anziché espellerli e invocare una legge immediata che li renda ineleggibili a vita dimostrano di essere otri d’ipocrisia.

Il governo che ha promosso la sciagurata legge che ha innaffiato dei seicento euro ricchi e poveri, ugualmente, ha commesso l’imperdonabile peccato di “indurre in tentazione”. Questo per ministri credenti e presidenti fedeli di Padre Pio. Per quelli laici, l’imperdonabile ingiustizia di non cogliere nella sofferenza Covid l’occasione per operare una inversione radicale di tendenza: ogni giorno meno diseguaglianze, quale abc di ogni misura. Un poco di eguaglianza, cioè una ciclopica redistribuzione delle ricchezze, questa dovrebbe essere la stella polare di una politica minimamente lungimirante. E invece.

Ma bisognava fare in fretta, si dice, come controllare la veridicità delle domande se si fossero posti limiti di reddito o altro? Sono però più di undici mesi che il governo “Conte 2” è in carica, perché non si è messo mano alle misure che rendano trasparenti le ricchezze di ciascuno? E perché, visto il quasi anno di omissioni, non si comincia l’opera immediatamente, avendo davanti altri due anni di legislatura?

La trasparenza delle ricchezze, l’anagrafe delle ricchezze cui nessun cespite di nessuna natura possa sfuggire, è la precondizione per qualsiasi politica fiscale decente, più o meno progressiva che sia (la Costituzione la vuole “più”, e anche un elementare sentimento di umanità, si direbbe). Oggi invece l’opacità è di prammatica.

Ogni anno vengono inguattati nei paradisi fiscali decine di miliardi di evasione, per tenersi alle stime ufficiali più basse (poi ci sono quelli delle mafie e della corruzione). Ormai è tecnicamente possibile “tracciare” ogni spostamento fisico, ogni provenienza di tessuto o di frutta, figuriamoci se non è possibile “follow the money”. Basta volerlo. Cioè basta essere dalla parte dei cittadini anziché di speculatori, affaristi, ladri. Perché c’è una dismisura di ricchezze, tuttavia legali, cui la legge dovrà porre freno e inversione, ma la ricchezza frutto di evasione, che si occulta nei paradisi del latrocinio, è ricchezza alla lettera ob-scaena, sottratta alla scena: ricchezza oscena, la cui non persecuzione grida vendetta al cospetto di Dio.

Redistribuire le ricchezze, visto che l’impreparazione di fronte alla pandemia è stato massimamente dovuto a quarant’anni di liberismo furioso, di odio per il welfare, di “arricchitevi e calpestate”. Ma ancora si sentono gli impagabili soloncelli liberisti ammonire che per redistribuire bisogna prima produrre, e dunque sotto con i sacrifici, lavoratori e disoccupati, che poi ne avrete vantaggio anche voi.

Questa solfa risuona da quarant’anni, e l’aumento produttivo, dovuto sempre alla fatica e ai sacrifici dei lavoratori (molti dei quali resi disoccupati dai “necessari” tagli all’occupazione) hanno moltiplicato i profitti e ridotto i salari reali. La decenza minima esige che oggi si inverta il timing dei fattori: una gigantesca e prolungata redistribuzione di ricchezze come viatico e motore di una rinnovata ripresa produttiva.

Ma per i partiti della maggioranza governativa tutto questo appartiene evidentemente al “de minimis non curat praetor”. Sono infatti affaccendati intorno a questioni di ben altro rilievo per il benessere pubblico. Ad esempio come completare la distruzione di Roma dando luogo alla famosa “fase 3”, dopo le due precedenti riassunte nel noto “quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini”: Virginia Raggi nuovamente sindaco. Un’alleanza di governo con un collante ideale e programmatico appena superiore allo sputo si metterebbe a cercare un candidato all’altezza delle necessità della città. È infatti statisticamente implausibile che su alcuni milioni di abitanti non ne esista uno capace di rinverdire il passato di Ernesto Nathan o Luigi Petroselli.


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Avesse qualche anno di meno, un nome verrebbe alla mente, Vittorio Emiliani: conosce Roma a perfezione, è stato uno dei migliori direttori di quello che era davvero il quotidiano della città, ha una vita politica di coerenza (sinistra socialista), una adamantina sensibilità per i beni culturali (cruciale fonte per il turismo a Roma) e l’ecologia, e mi fermo qui. Ma il Pd romano è ormai un coacervo di bande, perfino al quadrato rispetto al già desolante quadro nazionale. E il M5S … velo pietoso (doppio e triplo).

Intanto si prepara la nuova ondata di pandemia per settembre. Gli scienziati (seri) hanno un bel ripetere che non siamo abitati alla percezione dei fenomeni di accrescimento lineare, e non ci rendiamo conto che l’accumularsi di focolai di questi giorni è innesco pressoché certo di una progressione esponenziale nelle prossime settimane, a meno che non si prendano subito alcune misure elementari per impedire nuovi assembramenti. Discoteche chiuse, niente rave party e altri falò, controlli veri su chi rientra da vacanze a rischio. È tutto previsto, ma puoi chiudere le discoteche il giorno in cui centinaia di migliaia di giovani non possono rinunciare a festeggiare l’assunzione in cielo della Madonna?

Gramsci si consolava con “pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”. Evitiamo di consolarci, lasciamo da parte pessimismo e ottimismo, proviamo solo a esercitare la ragione, malgrado tutto. Perché, come diceva un film ormai condannato al rogo dal politically correct, “domani è un altro giorno”.

(14 agosto 2020)




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