Elezioni europee: cambiare tutto per non cambiare niente

Alessandro Somma


Le elezioni europee non ci consegnano un Parlamento dell’Unione dominato dai cosiddetti sovranisti: questi trionfano in alcuni Paesi, Italia in testa, ma arretrano in altri e complessivamente non sfondano, anche se incrementano la loro rappresentanza a Bruxelles. Non è però da simili dati che possiamo avere riscontro del peso che la destra xenofoba ha acquisito nel Vecchio continente. Il suo principale successo lo ha infatti ottenuto nel momento in cui è riuscita a cavalcare una particolare caricatura dello scontro politico in atto: quella per cui esso oppone Salvini e i suoi sodali a una composita alleanza che parte dal leader greco Tsipras e arriva sino al francese Macron.
Questa caricatura ha schiacciato il confronto elettorale entro uno schema tipicamente populista: da un lato i rappresentanti del popolo, i sovranisti, e dall’altro i rappresentanti delle élite, Socialisti e Popolari europei in testa.
I sovranisti hanno scaldato le piazze con i loro slogan tutti incentrati sulla promozione di valori premoderni: dio, patria, famiglia, sangue, terra. Hanno inteso difendere i popoli agitando rosari, invocando la protezione dei Santi, e soprattutto indicando nei migranti la vera minaccia alla pace e alla prosperità europea: è colpa loro se manca il lavoro, se le società sono sprofondate nel disordine e nella violenza, e soprattutto se orde di infedeli stanno insidiando non meglio definite tradizioni europee.
Socialisti e Popolari non si sono sottratti al gioco e si sono loro malgrado presentati come i difensori delle élites. Entrambi hanno qua e là discusso di Europa sociale, ma solo per creare una cortina fumogena destinata a nascondere la vera sostanza dei loro discorsi: rivendicare la correttezza della politica economica e monetaria europea, ed eventualmente intensificarla.
Nessun reale ripensamento per i mitici parametri di Maastricht, nessuna critica al principio del pareggio di bilancio, nessuna denuncia dei danni che questo ha provocato al welfare di tutti i Paesi europei, inclusi i più ricchi. E soprattutto nessuna riflessione sul ruolo che in tutto ciò ha rivestito la moneta unica: solo l’esaltazione del mercato come unico strumento di inclusione sociale, accompagnata dalla demonizzazione dello Stato in quanto ostacolo allo sviluppo del mercato. Il tutto mantenendo un’ambiguità di fondo sulle politiche migratorie, a riprova della sudditanza nei confronti dell’agenda politica dettata dai sovranisti, particolarmente evidente nella scelta dei Popolari di non rompere con l’ungherese Viktor Orban.
Insomma, i sovranisti non hanno vinto le elezioni e non potranno impedire la formazione di una maggioranza, ad esempio tra i liberali dell’Alde, i Popolari e i Socialisti, nonostante questi ultimi siano stati puntiti severamente per aver tradito la loro ragione d’essere. Salvini e i suoi sodali hanno però conquistato le redini dell’agenda politica e soprattutto sono stati capaci di nascondere la loro vera natura di difensori di valori premoderni, ma non anche di avversari della politica economica e monetaria europea. Al netto di qualche invettiva contro i burocrati di Bruxelles, infatti, nessun sovranista ha mai messo seriamente in discussione i parametri di Maastricht. Chi ha strillato, come i Leghisti, si è poi ridotto a negoziare i famosi zerovirgola, o peggio a sentenziare che il lavoro e il benessere possono derivare unicamente dal funzionamento del mercato.
Se così stanno le cose, il quadro politico è monopolizzato da due modi di interpretare il neoliberalismo come ideologia fondativa dell’Unione europea: un neoliberalismo nazionale, che alimenta la xenofobia al solo fine di nascondere i crimini commessi in nome del libero mercato, e un neoliberalismo cosmopolita, che per gli stessi fini utilizza invece una retorica antistatalista.

Il prossimo Parlamento europeo sarà dominato da una maggioranza che si riconosce in quest’ultima variante del neoliberalismo, che probabilmente si coprirà a destra adottando politiche di matrice xenofoba. Chi vuole combattere la centralità del mercato, difendere il welfare, rilanciare le politiche di piena occupazione, è dunque privo di rappresentanza politica. Potrà forse trovarla, un giorno, in una formazione finalmente capace di intendere il recupero della sovranità nazionale come ripristino del controllo democratico sul funzionamento dei mercati.

(27 maggio 2019)






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