Eluana, Dacia Maraini: I principi astratti nemici della verità
di Dacaia Maraini, Corriere della Sera, 10 febbraio
«Salvare Eluana!», gridavano i fondamentalisti della morale pubblica. Ma salvare da cosa? da chi? Evidentemente dalla morte e dal padre. La morte, a dire il vero, si era già preso quel corpo e ne aveva lasciato solo la sua ombra. Il padre, che amorevolmente l’ha curata per quasi vent’anni e ha assistito alla trasformazione di un essere giovane e sano in un tronco prosciugato senza volontà e senza autonomia, oggi piange dopo avere chiesto la fine dello strazio per amore di quella figlia. Il padre conosceva meglio di chiunque la pena di un organismo affidato completamente a mani altrui, incapace di deglutire, di orinare, di comprendere e di sentire. Quell’uomo che conosceva l’orgoglio e la gioia di vivere della ragazza, chiedeva la fine di una tortura umiliante. E cosa gli si è risposto? Che mentiva, che non sapeva, che voleva sopprimerla. Ma che cosa aveva da guadagnare da una richiesta civile e logica un padre che è già stato tanto provato?
Eppure sarebbe bastato che mettesse in giro una sola fotografia della figlia come era ridotta dopo 17 anni di immobilità, di incoscienza, di nutrimento forzato, perché la gente capisse. Sono sicura che l’immagine avrebbe suscitato la comprensione di chi riteneva che si trattasse di una ragazza sana, sorridente e felice come appare nelle fotografie, che veniva condannata a morte per fame e per sete. Englaro non l’ha mostrata quella immagine, proprio per preservare la dignità della figlia. Preferiva che venisse ricordata come una ragazza giovane e attiva piuttosto che mettersi al sicuro dietro una sembianza «avvilente e devastata», come l’ha definita un dottore. Avrebbe potuto portarla all’estero, dove la «morte dolce» è considerata una soluzione amorevole per risolvere la questione. Ma non l’ha fatto. Avrebbe potuto portarsela a casa e vedersela con un medico pietoso. E non l’ha fatto. Possiamo davvero pensare che questo sia stato il comportamento di un uomo incosciente, barbaro, che voleva il male della sua creatura?
Chi pratica gli ospedali sa che la morte dolce da noi è già una realtà. E nasce dalla consapevolezza che la tecnologia diventa sempre più invadente e presuntuosa, che la malattia e la morte hanno i loro tempi che non sempre coincidono con quelli delle macchine. Come dice Veronesi, oggi la tecnologia ospedaliera è capace di tenere in vita un corpo in coma quasi all’infinito. Se si fa una breve inchiesta si scopre che tanti si comportano così con genitori sfiniti da malattie e cure ossessive, tenuti in vita artificiosamente in un simulacro di penosa esistenza. La pratica quindi la accettiamo, purché sia tacita. Ma appena qualcuno pretende di agire alla luce del sole, secondo la legge della pietà e dell’amore, diamo in escandescenza.
Chi davvero conosceva quel corpo martoriato, chi ha percorso tutta la spinosa strada del coma, dapprima colmo di speranza e poi mano mano sempre piu disilluso e scoraggiato, chi, dopo quasi vent’anni di tormenti e attese, chiedeva la fine del supplizio, credo avesse diritto alla nostra fiducia. O veramente abbiamo perso ogni capacità di giudicare un caso, un uomo, la sua onestà, i suoi affetti, le sue decisioni dolorose, per correre dietro ai principi astratti?
(10 febbraio 2009)
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.