Eluana e il «fine vita» di Bagnasco

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«Eluana è grave». Attesa angosciosa. Prima la paura, poi l’emorragia si ferma: così titola l’«Avvenire», il 12 ottobre 2008, la notizia che Eluana Englaro si stava spegnendo di morte naturale nell’ospedale di Lecco, dove è ricoverata in stato vegetativo permanente da 17 anni. La morte naturale di Eluana, benvenuta per il padre, Beppino Englaro, perché segnerebbe la fine delle atroci sofferenze di sua figlia, provoca invece «paura» e «angoscia» al quotidiano della Cei. Dunque, Eluana deve continuare a soffrire? Così l’organo di stampa dei vescovi interpreta la carità cristiana?
Eluana Englaro come Piergiorgio Welby, come altri 2.500 malati terminali a cui la Chiesa cattolica nega oggi in Italia il diritto di morire. Corpi spesso in condizioni disumane di vita-non vita, in stato di totale incoscienza e di morte cerebrale, torturati da un’interminabile agonia, inchiodati, crocifissi a sofisticate quanto impietose macchine di alimentazione e respirazione. Tuttora, anche dopo i recenti autorevoli pareri della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, che riconoscono al padre di Eluana in qualità di tutore la sostanziale e legittima facoltà di decidere sulla sorte di sua figlia, le gerarchie cattoliche continuano ad opporsi a qualsiasi ipotetico intervento legislativo che possa essere anche lontanamente favorevole a testamento biologico ed eutanasia. E continua ad opporsi, anche la maggioranza di centrodestra, ligia, pia e sempre più al clero (ateo)devota, pronta a varare in proposito dure e illiberali decreti di divieto. Contro la Costituzione, la quale, all’art. 32, stabilisce che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario». Nessuno, se non lo vuole. Dunque nemmeno Eluana e altri malati terminali, che, come lei, abbiano dichiarato di non volerlo.
La linea dell’attuale maggioranza di centrodestra su questi temi l’ha dettata il cardinale Angelo Bagnasco all’ultimo Consiglio della Cei, più simile, in realtà, ad una riunione di partito che ad un’assemblea di vescovi, tanto la prolusione del cardinale era irta di «sollecitudini», consigli, giudizi e proposte politiche (su federalismo, scuola, coppie di fatto, ecc.). La legge sull’eutanasia in Italia non s’ha da fare! «Suggerisco al Parlamento nazionale di varare una legge sul fine vita», aveva detto Bagnasco in quell’occasione. «Suggerimento» prontamente accolto dalle forze politiche di maggioranza, e ripetuto a iosa fino ad oggi dalla stampa (filo)clericale.
“Fine vita”? E che significa? Che per morire abbiamo bisogno di una legge dello Stato ispirata ai precetti politico-religiosi di Bagnasco e del Vaticano? Sì, per quanto possa sembrare paradossale, è proprio così, se ci troviamo nella drammatica situazione di un malato terminale come Eluana e Welby.
Eutanasia significa «buona o dolce morte», diritto di rifiutare le terapie, il trattamento medico-sanitario, allorché non ho più speranza alcuna di guarigione; diritto di morire in pace, se lo scelgo consapevolmente (perciò il testamento biologico), e se la mia scelta non lede la libertà altrui.
No! Per Bagnasco, Eluana, così come gli altri malati terminali, non può morire, si direbbe, senza il suo permesso, senza il permesso delle gerarchie e del Vaticano. Il diritto al rifiuto delle terapie non varrebbe nemmeno con un testamento biologico (o qualcosa di equivalente), scritto e sottoscritto dal malato. Il firmatario, si dice, potrebbe aver cambiato intenzione, senza tempo e modo di dimostrarlo. Perciò secondo Bagnasco spetterebbe al medico decidere. Come dire: Tizio ha lasciato per testamento le sue proprietà a nipoti e pronipoti, ma, poiché potrebbe avere nel frattempo cambiato opinione, senza poterlo espressamente documentare, spetta al giudice decidere, indipendentemente dal testamento. E cioè in base alle sue proprie idee, convinzioni e valutazioni.
Una vera e propria assurdità logica e giuridica, difesa e sostenuta pressoché ogni giorno dall’«Avvenire», il quotidiano della Cei, con articoli, inserti speciali e interviste a politici di centrodestra («Ogni valutazione resti in mano ai medici», tuona già oggi in merito al caso Englaro la sottosegretaria filoepiscopale al Welfare Eugenia Roccella).
Nella proposta del “fine vita” di Bagnasco la legittimità della decisione verrebbe insomma a coincidere in sostanza con l’arbitrio del medico. E magari del prete confessore che gli è alle spalle. O delle Asl e delle amministrazioni regionali, da cui le Asl dipendono. Verrebbe così distrutto radicalmente il principio dell’autodeterminazione individuale.
Il malato terminale?
Espropriato persino della sua morte.

Michele Martelli

(13 ottobre 2008)



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