Eluana: i punti fermi, le incertezze, le immagini
di Guido Salvini
Qualunque posizione si abbia sulla vicenda di Eluana l’immagine di questa ragazza che si trova in un territorio sconosciuto, orfana della vita e della morte, è forse l’unica o una delle poche che anche in questo inizio di anno passa probabilmente ogni giorno per qualche attimo nella mente di ciascuno di noi.
Del caso è stato scritto tutto, neurologi, teologi, politici, sono intervenuti innumerevoli volte ed è difficile dire qualcosa di nuovo ma aver ascoltato le parole di tutti permette ormai di fissare i punti fermi e che hanno il diritto di rimanere tali.
Prima di tutto nessuno, Chiesa o gruppo di pressione che sia, può far subire agli altri l’idea che la vita, divenuta una tortura fisica permanente o ridotta al funzionamento di alcuni organi, non possa comunque essere rifiutata in quanto dono di Dio, proprio come un comune regalo che si deve accettare a scatola chiusa.
Molti, non solo laici ma anche credenti o seguaci di altri culti, non lo pensano e danno alla vita un altro significato e un’altra origine non meno rispettabile. Li difende da questa ingerenza teocratica l’art. 32 della Costituzione, di cui la sentenza Englaro è applicazione, secondo cui nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario.
Questo concetto laico dei diritti della persona è ben presente nella Costituzione, il patto civile che regola i nostri rapporti reciproci oggi come uomini sani domani come pazienti, medici o soggetti in stato di incoscienza, il minimo comun denominatore che offre a tutti il massimo di libertà responsabile indipendentemente dalla collocazione ideologica di ciascuno. Un concetto ripetuto, in questi mesi, una infinità di volte, che resiste sul piano giuridico a qualsiasi critica razionale.
Come resiste sul piano etico ad altre obiezioni sottilmente ricattatorie secondo cui tale principio sarebbe espressione di un relativismo che nasconde egoismo e mancanza di amore per gli altri.
Ma in Italia, a differenza di altri Paesi, USA compresi, ove nella sanità impera il gelido sistema delle assicurazioni private, nessun paziente rischia di essere lasciato morire con meccanismi di darwinismo sociale e quindi una legge sull’eutanasia e sul testamento biologico presenta rischi assai minori.
Inoltre nessuno di coloro che sostengono la posizione del padre di Eluana può essere accusato di parlare di qualcosa di diverso dal porre fine alla propria vita e solo alla propria ed essere sospettato di parteggiare perchè i malati che hanno compiuto scelte diverse dalla loro non siano più curati come zavorra inutile.
Proprio la dedizione per 17 anni di papà Englaro alla figlia prova il contrario della mancanza di capacità di compassione e di soffrire insieme. Come, è bene ricordare, non è in discussione la dedizione delle suore che hanno assistito Eluana in questi anni. Difficilmente sarebbe stato possibile farlo meglio
Sempre tirando le fila di ciò che è stato detto, è poco più di un gioco di prestigio l’idea secondo cui non può essere intralciata la volontà di Dio che avrebbe riservato a Eluana una fine “naturale” in un momento futuro che ancora non conosciamo e su cui non possiamo interferire.
Nella sua esistenza attuale, di non-morta, termine che non sottrae alla realtà la sua crudezza, non c’è più nulla di naturale. Essa è il prodotto di un tentativo coraggioso della scienza di contrastare quella che sino a qualche decennio fa sarebbe stata subito una morte sicura e immediata, un tentativo purtroppo in questo caso fallito che ha prodotto un’esistenza artificiale che si mantiene solo con il nostro intervento.
Chiamare naturale o divino questo prodotto di risulta della scienza, affidato ormai, dopo la sua resa, solo alla tecnica di alcuni infermieri, forse suona quasi offensivo per chi crede davvero nella volontà di Dio. Se è una volontà ridotta ad esprimersi tramite i tentativi scientifici, perdipiù quelli falliti, e a poter agire con tutta la sua forza solo nei Paesi tecnologicamente avanzati: in India o in qualsiasi Paese del Terzo Mondo questa volontà non avrebbe potuto manifestarsi, nemmeno volendo, si perdoni il paradosso, perché una ragazza come Eluana sarebbe morta in pochi giorni senza che peraltro a nessuno in quei luoghi venisse in mente di maledirne la minor presenza.
Sono poi comparsi, e questo è un altro punto fermo, i legislatori e gli scienziati dell’ultima ora.
Un Ministro, presto costretto a qualche passo indietro, che, quantomeno per eccesso di zelo, ha pensato di annullare con un atto amministrativo, neanche con una legge, una sentenza definitiva emessa in nome del popolo italiano, di tutto il popolo, non solo di coloro che lo hanno votato.
Un neurologo “cattolico”, come se il funzionamento del nostro encefalo tenesse conto delle differenze di idee di chi vi alberga, che ha sostenuto che Eluana, essendo in grado in parte di deglutire, potrebbe essere imboccata “naturalmente”e non nutrita con il sondino, dimenticando che cercando di sfruttare questo incerto riflesso involontario Eluana sarebbe soffocata in breve tempo.
Vi è forse chi ancora immagina, inconsciamente influenzato dalla girandola di fotografie che quotidianamente i mass-media ci offrono attualizzando momenti di gioia di Eluana identici a quelli che vediamo in ragazze che ci sono accanto, che Eluana si risvegli o almeno manifesti un barlume di coscienza o di autocoscienza.
A questa illusione, che si agita in qualche nostra zona inconscia, risponde la stato attuale delle conoscenze della comunità medica internazionale che, senza sconti, ricorda alla nostra parte razionale che dopo l’incidente è cessata irrimediabilmente quella rete di impulsi che dà unità a singoli organi ancora funzionanti trasformandoli in quella che chiamiamo persona.
Ma anche se fosse pensabile qualcosa di diverso da questo degrado irreversibile, una specie di miracolo, se la scelta di por fine alla vita dovesse comunque misurarsi con un’esilissima speranza di qualche accadimento fortunato o di qualche futura scoperta che modificasse gli strumenti di intervento disponibili, nulla nella sostanza cambierebbe.
Migliaia di malati ogni anno, e anche illustri, decidono di non sottoporsi a cure o interventi che allo stato attuale offrono scarse o nulle speranze e invece molti rischi reali di una sofferenza più prolungata. E nessuno li condanna, e muoiono spesso nei sacramenti.
Al diritto di chiudere la propria vita non si può chiedere come condizione, a rischio di smarrirlo, l’assoluta impossibilità anche teorica ma solo l’improbabilità razionale di un dignitoso miglioramento della vita stessa.
Certo anche chi come noi condivide le decisioni della magistratura su Eluana, o meglio sarebbe a dire per Eluana, non può fingere di non scorgere il punto debole delle decisioni dei giudici.
La sua volontà non è stata individuata sulla base di una scelta inequivoca, meditata e formalizzata. E’ stata ricostruita, certo con zelo e attenzione nella motivazione, attraverso confidenze della ragazza su un proprio ipotetico destino, sicuramente avvenute e non slegate dalla concezioni di vita della ragazza, ma anche espresse a parenti e amici in forma emotiva e magari reattiva di fronte ad esempio all’incidente accaduto ad un amico.
Forse non abbastanza per ricostruire con certezza una volontà, ma l’ingrato e, se si vuole, anche costruito su un terreno friabile, lavoro di interpretazione che hanno dovuto fare su questo punto i giudici trova origine nell’opera di supplenza cui, come molte altre vo
lte, la politica li ha condannati.
Se i giudici milanesi e la Cassazione hanno dovuto decidere solo utilizzando indizi e presunzioni e non leggendo un preciso testamento biologico quale già da anni esiste in molti Paesi europei, ciò è solo perché da più legislazioni, già presente il caso Eluana e molti altri simili, il Parlamento, sottoposto anche a condizionamenti esterni, non è riuscito ad approvare una legge ragionevole ed equilibrata sulla fine della vita.
Anche per questo il caso Eluana è un punto di rottura. Comunque si concluda nulla sarà più come prima e nessuno potrà dire che non era informato e non ci aveva mai pensato.
Due parole ancora sul ruolo dell’informazione e soprattutto quello dell’immagine.
Quasi tutta la stampa ha svolto bene il suo ruolo di vettore di conoscenza dando spazio a tutte le voci e spiegando anche ai profani le implicazioni delle varie scelte.
Molto enfatico e più discutibile è stato invece, come accennato il ruolo delle immagini.
Quotidiani e mass-media ci hanno offerto non una o poche fotografie di Eluana, ricordiamo l’unica foto sofferente di Terry Schiavo, ma una galleria di ritratti e di diverse sequenze di vita: gite in montagna, pose per amici, momenti di allegria.
Ciò ha creato, e pochi se ne sono accorti, un terzo spazio tra chi pensa a Eluana come a una persona morta e chi la pensa come viva, con le conseguenze che ne seguono: lo spazio di una vita virtuale che sembra prolungarsi e ripetersi indefinitamente attraverso le pagine dei giornali.
Un effetto che ricorda da vicino, nessuno lo ha notato, il racconto "L’invenzione di Morel" di Adolfo Bioy Casares, allievo di Borges.
Nel racconto si narra di un naufrago che raggiunta fortunosamente un’isola da tempo abbandonata, vi scopre una villa in cui donne e uomini dai modi raffinati sembrano trascorrere una piacevole villeggiatura tra feste e riunioni spensierate.
Scoprirà poi che in realtà gli ospiti sono tutti morti da molto tempo ma che Morel, lo scienziato padrone della villa ne ha filmato con una speciale macchina di sua invenzione sette giorni di vita che vengono riprodotti all’infinito in una forma assai simile alla realtà.
Il naufrago, attratto dal desiderio di conoscere una elegante fanciulla ospite della villa, attiva a sua volta la macchina e si immortala anch’egli, come Morel e gli altri, in quella vita illusoria entrando a sua volta nella proiezione.
La somiglianza tra l’effetto dell’invenzione di Morel e le quasi infinite immagini di Eluana, che proiettano entrambe vite non più esistenti ma che sembrano tali, è molto forte.
Non so se questa riproposizione continua e inutile di una giovane che non esiste più ma che sui media si avvicina ad una vita virtuale abbia fatto bene alla discussione su Eluana e quali sensazioni abbia suscitato.
Certo pensare oggi di rallentare notizie e immagini, nell’epoca di internet e della riproducibilità infinita di qualsiasi cosa, è quasi ingenuo.
Ma la vita virtuale di Eluana, che avrebbe meritato come persona reale più discrezione, confonde forse il paesaggio dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.
In chi crede che Eluana sia viva rafforza la convinzione che debba e possa continuare a esserlo perché ogni giorno ci sorride come una ragazza viva, avvicina questa convinzione all’onnipotenza infantile che non conosce il dolore.
Per chi crede che a Eluana sia negata la morte cui ha diritto e in cui già si trova, le immagini creano una indefinibile e sotterranea incertezza che avvicina al senso di colpa.
La realtà virtuale se non crea la realtà certo la modifica in termini su cui non abbiamo ancora riflettuto e con conseguenze e distorsioni percettive che ancora non conosciamo del tutto.
Non è un caso che il naufrago dell’isola di Morel prima di scomparire nella proiezione infinita, nell’ultima pagina del racconto, distrugga in un momento di lucidità la macchina avendo compreso che l’immortalità rivolta contro la realtà ne divora l’essenza, la bellezza, il significato morale.
(1 gennaio 2009)
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