Eluana, nella Chiesa una legittima pluralità di opinioni
La legittima pluralità di opinione nella Chiesa in relazione alla scelta del padre di Eluana e alla sentenza della Cassazione
In questi giorni, sulla stampa e alla TV, è tornato alla ribalta un dibattito avvenuto già in passato, in un’occasione simile, per la morte di Welby. Anche questa volta il dibattito coinvolge appassionatamente persone e gruppi.
L’occasione è stata la sentenza della Cassazione che autorizza la sospensione dell’alimentazione artificiale di Eluana Englaro in coma irreversibile ormai da 17 anni.
Nell’opinione pubblica si sta affermando la convinzione che la Chiesa su questo problema ha una posizione uniforme e monolitica, cioè la scelta del padre di Eluana e la sentenza della Cassazione sono inaccettabili. In altre parole, ancora una volta, si identifica la Chiesa con il Papa e i Vescovi, dimenticando che il popolo cristiano è una realtà composita: ci sono le Comunità parrocchiali e i gruppi, i laici e i preti, i religiosi e le religiose, i Vescovi e il Papa, con la presenza dello Spirito che dà forza a tutti coloro che sperano e credono. Tutto questo in una diversità di funzioni, ma in una comune responsabilità.
Noi intendiamo affermare che nella Chiesa, a tutti i livelli di responsabilità e di partecipazione, c’è una legittima pluralità di opinione a questo riguardo. Ed è una grande ricchezza che sia così.
Il Cardinale Carlo Maria Martini scrive sul ‘Sole 24 Ore’ del 21 gennaio 2007, e ci risulta che la sua posizione non è isolata:
"La crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili. Senz’altro il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona.
È di grandissima importanza in questo contesto distinguere tra eutanasia e astensione dall’accanimento terapeutico, due termini spesso confusi. La prima si riferisce a un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte; la seconda consiste nella "rinuncia … all’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo" (Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 471). Evitando l’accanimento terapeutico "non si vuole … procurare la morte: si accetta di non poterla impedire" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2.278) assumendo così i limiti propri della condizione umana mortale.
Il punto delicato è che per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. In particolare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete — anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite — di valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate. Del resto questo non deve equivalere a lasciare il malato in condizione di isolamento nelle sue valutazioni e nelle sue decisioni, secondo una concezione del principio di autonomia che tende erroneamente a considerarla come assoluta. Anzi è responsabilità di tutti accompagnare chi soffre, soprattutto quando il momento della morte si avvicina. Forse sarebbe più corretto parlare non di "sospensione dei trattamenti" (e ancor meno di "staccare la spina"), ma di limitazione dei trattamenti. Risulterebbe così più chiaro che l’assistenza deve continuare, commisurandosi alle effettive esigenze della persona, assicurando per esempio la sedazione del dolore e le cure infermieristiche. Proprio in questa linea si muove la medicina palliativa, che riveste quindi una grande importanza".
Noi ci sentiamo in sintonia con queste prese di posizioni e nelle nostre parrocchie, comunità di base, associazioni, molte persone le condividono, come a suo tempo condivisero la critica verso il rifiuto del funerale in Chiesa di Welby.
Don Renzo Fanfani (già) parroco di Avane, Firenze
Don Sergio Gomiti della Comunità cristiana di base dell’Isolotto
Don Fabio Masi parroco di Paterno, Firenze
Don Enzo Mazzi della Comunità di base dell’Isolotto, Firenze
Don Alessandro Santoro prete della comunità di base Le Piagge, Firenze
Firenze 18 dicembre 2008
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