Emma Nanetti

MicroMega

Studentessa di Filosofia, Università di Pisa

1) Una delle accuse che vengono rivolte dai sostenitori della “riforma” Gelmini (ammesso che di riforma si possa parlare) al movimento di protesta è quella di rappresentare interessi corporativi ed esprimere istanze conservatrici.
E’ una critica fondata secondo te? Se si/no perché? Qual è l’idea di scuola e di un’università che questo movimento esprime? Quali sono le direttici di riforma che – se pur confusamente, come non potrebbe essere diversamente visto il carattere multiforme e composito del movimento – questa protesta tende a delineare?

Chi accusa il movimento di scendere in piazza coi “baroni” probabilmente dimentica che gli interessi corporativi e le istanze conservatrici sono propri di quella parte politica che si schiera a sostegno della “riforma”. L’Università che ci proponiamo di costruire è senz’altro un’Università senza favoritismi o clientelismi ed è pertanto di fondamentale importanza che resti pubblica e accessibile ad ogni fascia di reddito.

2) Al di là delle strumentali posizioni sostenute dal governo, è oggettivamente difficile difendere la scuola, ma soprattutto l’università, così come sono oggi. Quest’ultima è il regno della gerontocrazia, dell’immobilismo, del feudalesimo accademico, della totale mancanza di meritocrazia. Quali sono secondo te le linee su cui dovrebbe essere impostata una “riforma organica” del sistema formativo e della ricerca?
Quali provvedimenti concreti si potrebbero adottare per migliorare le cose? Es. diverse regole per i concorsi, per l’assegnazione dei fondi, revisione delle lauree 3+2 e del sistema dei crediti, commissioni internazionali per la ricerca, nuovo sistema per la definizione degli insegnamenti, ecc…
Su questi temi sarebbero auspicabili proposte dettagliate.

L’Università di oggi sembra assumere sempre di più tratti che la rendono somigliante al mondo dell’economia da un lato (“crediti, “debiti”) e all’istruzione liceale dall’altro (sistema del 3+2), dai quali dovrebbe assolutamente smarcarsi. L’Università nella quale mi piacerebbe studiare è un luogo in cui ciascuno ha la possibilità -in primo luogo economica- di coltivare i propri interessi senza alcun presupposto utilitaristico. Non è perciò di meritocrazia che c’è a mio avviso bisogno: la formazione dell’individuo non deve essere legata alle sue capacità. A questo proposito sono fortemente contraria ai corsi di laurea a numero chiuso e ai test d’ingresso.

3) Vista l’assoluta trasversalità di questo movimento, che riunisce praticamente tutte le figure del variegato sistema formativo italiano (studenti, insegnati, maestre, dottorandi, ricercatori precari, professori di ogni ordine e grado) è possibile che esso trovi la forza e la “maturità politica” per districarsi tra interessi che possono rivelarsi anche molto contrastanti tra loro se posti di fronte a proposte concrete di riforma? Ogni seria riforma – e per essere seria non può che porsi come obiettivo anche quello di rimescolare rapporti di forza consolidati da decenni – tende a toccare interessi molto concreti. Così come si è configurato questo movimento, può fare i conti con queste sfide? Ne è all’altezza? Quali interessi corporativi è disposto a colpire?

Il movimento è ancora immaturo politicamente, questo è fuori questione. Ma spero possa trovare le energie e la risoluzione necessarie per non cedere terreno. Nel panorama dell’Università di Pisa le figure più determinate hanno ruoli assolutamente trasversali: non è detto, per intendersi, che la radicalità sia propria degli studenti e la disponibilità al dialogo dei docenti. Ecco perché non appare infondato l’augurio che la risposta alla manovra governativa possa spingersi fino a ridipingere molti degli aspetti ritenuti fino a questo momento incontrovertibili.

4) Il governo – scottato dal crollo dei consensi che la protesta universitaria ha provocato – sembra voler procedere con maggiore prudenza nella riforma dell’università. Dopo una prima fase di straordinaria mobilitazione, riuscirà il movimento a mantenere alta la tensione e il coinvolgimento delle persone? Quali sono gli obiettivi di medio termine che dovrebbe porsi? Come dovrebbe procedere la mobilitazione? Quali idee concrete possono essere messe in campo per proseguire la lotta?

Ad una prima fase “calda” dell’agitazione ha fatto seguito una normalizzazione della protesta. Alcuni punti fermi devono rimanere, tra questi senz’altro la capacità di informazione e di coinvolgimento del maggior numero possibile di soggetti. Personalmente ritengo sia finito il tempo delle “passeggiate”: solo azioni più incisive contribuirebbero in questa fase a tenere alto il tono della mobilitazione. Bell’esempio è il blocco effettivo della Facoltà di Ingegneria di Pisa a seguito del ritiro della disponibilità, da parte dei precari, a svolgere compiti non specificati nel contratto.

5) Si è discusso molto sulla presunta “apoliticità” del movimento. E’ una lettura realistica e soddisfacente secondo te? Secondo te si tratta veramente di un movimento apolitico o forse è più che altro un movimento “apartitico”? Quali aspetti – se ve ne sono – ne determinano la “politicità”? Questo superamento delle tradizionali collocazioni – se c’è stato – ha aiutato il movimento a diffondersi o può essere una sua fonte di debolezza quando dalla protesta si passa alla proposta?

Il movimento non è apolitico e -per quanto mi riguarda- non deve esserlo. L’Università che vogliamo costruire è pubblica, libera, critica, egualitaria: tutte rivendicazioni fortemente di sinistra. Così come la riforma è fortemente di destra: essa, trasformando le Università in fondazioni e aumentando esponenzialmente la tassazione per gli studenti, mina alla base la possibilità per ciascun individuo di studiare e di farlo in modo libero e critico. Nonostante ciò, osservo nel movimento una sostanziale indifferenza nei confonti dei problemi politici che si sono aperti con la mobilitazione e un malcelato astio nei confonti di partiti di sinistra come Rifondazione.

6) E’ condivisibile che si ricerchi un’intesa anche con organizzazioni studentesche esplicitamente di destra in nome dell’unità della protesta studentesca oppure no? La partecipazione di queste organizzazioni a manifestazioni pubbliche dovrebbe essere incoraggiata, tollerata, oppure concretamente osteggiata?

Concretamente osteggiata. Il nostro non è un movimento di studenti che vogliono mercanteggiare meno tagli per l’Università, il nostro è un movimento di studenti che non vogliono questa idea di Università, un’idea -come ho detto- chiaramente di destra. Io non vorrei che i soldi per l’Università venissero reintegrati sottraendoli, che so, alla sanità. Auspicherei magari riduzioni alla spesa militare e questo perché sono di sinistra e provo vergogna all’idea di scendere in piazza con qualcun che non ha tra i propri valori l’antifascismo.

7) Negli ultimi anni il nostro Paese è stato caratterizzato da una grande diffusione di movimenti (da quello no-global, ai girotondi,
al movimento per la pace, alla battaglia sindacale per la difesa dell’articolo 18, alle vertenze territoriali come il No-Tav e No-Dal Molin, ecc.). Colpisce però la discrepanza tra la straordinaria capacità di mobilitazione, di fare “massa critica” anche ad un livello sociale e culturale diffuso, e la scarsissima “capitalizzazione politica” che ne è seguita. Oggi siamo addirittura l’unico Paese europeo a non avere una riconoscibile rappresentanza di sinistra nelle istituzioni rappresentative. Il problema dello “sbocco politico” è un problema che questo grande movimento nato nelle scuole e nelle università si deve porre? Oppure va privilegiata la totale “autonomia” del movimento? Quali rapporti possono essere instaurati con le forze politiche esistenti? E se quelle esistenti non offrono possibilità di un’interlocuzione soddisfacente, può essere utile e realistico porsi l’obiettivo di una organizzazione politica nuova, che superi anche i limiti del “modello partito” tradizionale, o più modestamente di liste elettorali di “società civile”, senza partiti, nelle diverse occasioni?
Insomma, il problema della rappresentanza è un problema che questo movimento – che si definisce “irrappresentabile” – dovrà prima o poi porsi?

No, l’autonomia rivendicata anche da altri movimenti in passato credo abbia già rivelato i propri limiti e no, l’obiettivo di una organizzazione politica nuova mi pare francamente ridicolo. Alcuni ritengono che la rappresentanza parlamentare come la conosciamo oggi abbia cessato di essere un oggetto d’interesse per i movimenti ma io non mi trovo d’accordo con questa posizione. Quei partiti che oggi sono fuori dal Parlamento dovrebbero cercare di guardare all’esterno per capire quanto sia viva nella società l’idea di una diversa società. E il movimento che questa diversa società sta cercando di costruirla dovrebbe analogamente accettare con maggiore serenità il presupposto ideologico che in larghissima parte lo anima e lo sostiene.

(25 novembre 2008)



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