Eolo e l’ombra di Michelangelo

Mariasole Garacci

La mostra a Palazzo Venezia sulla scultura a Roma nel XV secolo attrae il pubblico con i nomi di Michelangelo e Donatello e fa un buco nell’acqua. Tutta colpa dei tagli alla cultura?

La manovra di riduzione delle spese nel triennio 2011-2013 messa a punto nel decreto 78/2010 da poco convertito in legge, prevede una dolorosa serie di misure volte alla contrazione degli sprechi nell’ambito del generale contrasto alla crisi finanziaria che continua a tormentare l’Italia e l’Europa. Tra di esse il taglio delle spese per studi, consulenze, convegni, celebrazioni, cerimonie e mostre, che non potranno essere superiori al 20% della spesa sostenuta nel 2009. Un indirizzo che giustamente provoca la riprovazione di quella parte dell’opinione pubblica interessata al destino del patrimonio storico-artistico e, più in generale, culturale del paese, ma che, così come è stato formulato, individua un noioso vizio (risolverlo è altra cosa). Per fare un esempio, le lodevoli attività del Comitato Nazionale “Andrea Bregno”, istituito nel 2006 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per il quinto centenario della morte dello scultore lombardo, hanno prodotto in quattro anni una serie di convegni, mostre e pubblicazioni culminanti con la strana mostra da lungo tempo programmata e aperta lo scorso giugno a Palazzo Venezia.

“La forma del Rinascimento. Donatello, Andrea Bregno, Michelangelo e la scultura a Roma nel Quattrocento” è un titolo ad effetto che promette molto, non significa nulla di preciso ed esprime un’idea ambiziosa, proporre ed affrontare la problematica categoria di scultura romana del XV secolo (ed eventualmente, sembrerebbe, studiare l’influenza esercitata dai due grandi toscani), salvo peraltro disattendere l’intento iniziale con incursioni eterogenee per un risultato quantomeno dispersivo. Così, trascurando quegli esemplari significativi di un momento e di una cultura figurativa di grande importanza che costituiscono un patrimonio inamovibile e diffuso, per esempio i monumenti sepolcrali delle chiese della città, in mostra sono ammesse presenze del tutto ingiustificate assieme ad esemplari davvero pregevoli che però non bastano a formare un insieme scientificamente esaustivo o almeno a dare conto di un discorso critico; poche, del resto, le opere di Bregno, disperse in un allestimento irrazionale più simile al negozio di un antiquario che ad un percorso espositivo. Nel contesto di una mostra che per motivi di ordine pratico è stata ridotta a pochi pezzi talvolta di valore trascurabile, è anche più lampante e colpevole la presenza delle tre opere impudentemente attribuite a Michelangelo, peraltro senza alcun riferimento documentario valido: inammissibile (e generalmente non accettato dalla critica) il San Giovannino della chiesa romana di San Giovanni dei Fiorentini, anche se ascritto ad una fase giovanile (“ante 13 gennaio 1493”), e di nuovo inammissibile il Leone reggistemma di Capranica su cui è ipotizzato per amore di prudenza l’intervento di un collaboratore.

L’opera simbolica della mostra, il rilievo in marmo datato 1520 circa raffigurante Vento marino o Eolo proveniente dal Museo Diocesano di Palestrina, è poi un’opera di livello mediocre che la gradina o la fantasia fa incautamente attribuire al maestro evocando i passaggi tonali dello stiacciato donatelliano e la scabrosità chiaroscurale del Tondo Pitti. Il “pezzo forte” è stato teatralmente isolato in fondo al secondo, enorme ambiente completamente vuoto, su un brutto supporto, enfaticamente colpito dalle luci dei faretti direzionati; nello spazio sacro creato per meglio ammirare l’epifania del genio divinizzato, un sottofondo sonoro appositamente composto “finge, ma non imita, il suono del vento, in un gioco continuo fra ambiente naturale e duplicato artificiale” (sic!).

Tra le iniziative del comitato presieduto da Claudio Strinati, la mostra di Palazzo Venezia sarebbe potuta essere, per visibilità e perché al termine di quattro anni di lavoro, il momento rappresentativo e il luogo per rendere conto dei risultati del progetto di ricerca, che si prefiggeva tra gli altri lo scopo di indagare la figura di Bregno in rapporto alla scultura veneziana e padovana della prima metà del Quattrocento, alle figure di Donatello e Mantegna e a quegli artisti presenti nell’area pontificia come Mino da Fiesole e Giovanni Dalmata, e anche di spiegare l’importanza di questa congiuntura nel panorama del Rinascimento italiano ed europeo. Meglio sarebbe stato, allora, rinunciare a trattare la scultura nella Roma del Quattrocento: più che i tagli dei fondi che hanno costretto a ridimensionare la mostra, il problema infatti sembra la corretta individuazione del tema, come si capisce anche scorrendo il catalogo.

La forma del Rinascimento. Donatello, Andrea Bregno, Michelangelo e la scultura a Roma nel Quattrocento
Roma, Palazzo Venezia – Via del Plebiscito, 118
Orario: da martedì a domenica, 10.00 – 19.00; chiuso il lunedì
www.andreabregno.it

(26 agosto 2010)

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